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Dante, Maometto e Charlie Hebdo

«Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com’io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.

Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e ‘l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.

Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
guardommi e con le man s’aperse il petto,
dicendo: ‘Or vedi com’ io mi dilacco!”

vedi come storpiato è Mäometto!’»

(Inferno, XXVIII, 22-31).

Così Dante Alighieri descrive la figura ripugnante dello ‘scismatico’ Maometto, tagliato/squartato come lui volle tagliare/squartare l’unità cristiana del Mediterraneo. Ancora una volta i monoteismi confermano tutta la loro carica di violenza, gli uni contro gli altri. Nel presente i CharlieHebdo_Maomettopiù pericolosi e armati di tali monoteismi sono quello di Israele e quello degli islamisti. Massacrare i redattori del giornale parigino Charlie Hebdo perché hanno «offeso il Profeta» è semplicemente ripugnante. E conferma ancora una volta tutta la violenza insita nell’Identità senza Differenza, nell’Uno.

veil-charlie-hebdo«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile. Non avere altri dèi di fronte a me. […]  Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti» (Deuteronomio, cap. 5, versetti 6-10).
«Allah testimonia, e con Lui gli Angeli e i sapienti, che non c’è dio all’infuori di Lui, Colui Che realizza la giustizia. Non c’è dio all’infuori di Lui, l’Eccelso, il Saggio». (Corano, sura III, versetto 18).
«Egli Allah è Unico, Allah è l’Assoluto. Non ha generato, non è stato generato e nessuno è eguale a Lui» (Corano, sura CXII, versetti 1-4).
«E i miscredenti che muoiono nella miscredenza, saranno maledetti da Allah, dagli angeli e da tutti gli uomini. Rimarranno in questo stato in eterno e il castigo non sarà loro alleviato, né avranno attenuanti. Il vostro Dio è il Dio Unico, non c’è altro dio che Lui, il Compassionevole, il Misericordioso» (Corano, sura II, versetti 161-163).

Terra e Tempo

Stephen Jay Gould
LA FRECCIA DEL TEMPO, IL CICLO DEL TEMPO
Mito e metafora nella scoperta del tempo geologico
(1987)
Traduzione di Libero Sosio
Feltrinelli, 1989
Pagine 232

Questo libro è la prova che si può scrivere un testo che sia insieme una storia della geologia e un saggio di epistemologia appassionante come un romanzo. La vicenda che racconta con coinvolgente stile narrativo è quella delle origini della scienza geologica. Una storia che diventa paradigmatica dell’intreccio tra filosofia ed empiria in cui la scienza consiste e dei rischi di ogni dogmatismo scientista.
Contrariamente a quanto la pigrizia dei  libri di testo tramanda, infatti, le opere e le ipotesi di Thomas Burnet (1635-1715), James Hutton (1726-1797), Charles Lyell (1797-1875) non rappresentano momenti separati e opposti di una storia che va dalle tenebre delle favole teologiche alla luce del metodo empirico. Burnet, che elaborò una teoria sacra della Terra nella quale cercava di giustificare con dati empirici il racconto biblico, fu in realtà più attento del suo ottimo amico Isaac Newton «al regno della legge naturale e più di lui desideroso di abbracciare spiegazioni storiche» (pag. 52). I due “eroi illuminati” Hutton e Lyell non sono, a loro volta, riducibili alla leggenda che li vuole fondatori della geologia scientifica intesa come attività svolta sul campo, dalla quale scaturirebbe poi per induzione la scoperta delle leggi generali che governano la Terra. Hutton, infatti, fu un aperto e convinto sostenitore del finalismo aristotelico e negò costantemente il divenire storico del pianeta; Lyell, oltre a rimanere all’interno di un paradigma antropocentrico, propose il suo metodo di datazione degli strati della crosta terrestre come applicazione di un’ipotesi generale sulla Terra -l’uniformitarismo o attualismo- di carattere in parte teoretico e negante anch’essa la radicale variabilità e direzionalità dei fenomeni geologici nel tempo. Gould trova «una squisita ironia nel fatto che la storia convenzionale presenti la vittoria di Lyell come il trionfo delle ricerche sul campo, mentre in realtà i veri campioni di una lettura letterale della documentazione geologica furono i catastrofisti» (145). La visione moderna della geologia non è dunque certamente quella teologico/biblica di Burnet ma neppure quella astorica di Hutton o attualista di Lyell «ma piuttosto è un miscuglio inestricabile ed equilibrato di uniformismo e di catastrofismo» (189). Più in generale, «Hutton e Lyell condivisero, soprattutto, la visione di controllo del ciclo del tempo, l’uniformità di stato» (163).
Sta qui il significato filosofico del libro. Attraverso la geologia e la sua storia, infatti, Gould sostiene che il contributo delle scienze della Terra alla comprensione del mondo è duplice e consiste in primo luogo nella scoperta del tempo profondo, dell’immensità temporale che precede la comparsa della vita e dell’umano. Un’enormità cronologica che è tuttora «così difficile da capire, così estrane(a) alla nostra esistenza quotidiana, da rimanere un ostacolo importante alla nostra comprensione» (14).
L’intera ricerca di Gould è incentrata intorno al secondo contributo della geologia: la comprensione del rapporto fra ciclo del tempo e freccia del tempo. Un rapporto che lo scienziato dimostra non essere escludente ma coniugante. Le immagini che aprono ogni capitolo (tranne il primo) fanno riferimento alla compresenza di variazione e di stabilità, fanno riferimento a quel ciclo temporale della materia che è insieme mutamento degli eventi e permanenza delle strutture nelle quali essi avvengono: «Frecce e cicli sono “metafore eterne”» (203) con le quali si esprime la comprensione umana -scientifica ma anche mitologica, filosofica, religiosa- della compresenza di unicità/differenza e regolarità/identità:

La freccia del tempo è l’intelligibilità di eventi distinti e irreversibili, mentre il ciclo del tempo è l’intelligibilità di un ordine atemporale e di una struttura simile alla legge. Noi abbiamo bisogno di entrambe le cose. (28)
Qualche cosa di profondo nella nostra tradizione richiede, per l’intelligibilità stessa, sia la freccia dell’unicità storica sia il ciclo dell’immanenza atemporale, e la natura dice sì a entrambi. (211-213)

Nello specifico delle scienze biologiche e geologiche, «gli organismi seguono la freccia del tempo della storia contingente; i minerali seguono il ciclo del tempo dell’immanente logica geometrica» (208). Si tratta di una metodologia critica che rifiuta il dogmatismo scientista ed è invece del tutto consapevole della storicità di ogni conoscenza umana. Gould appare dunque vicino all’epistemologia di Kuhn, alla sua identificazione delle scienze con il loro sviluppo, alla sua richiesta di un’adeguata conoscenza della storia delle proprie discipline da parte degli scienziati empirici, conoscenza che scongiuri l’inevitabile danno che alle scienze deriva «da un atteggiamento di chiusura, dal suo presentarsi come custode di un rito sacro chiamato il metodo scientifico» (19).
Il rispetto per le altre forme del sapere umano -altre rispetto alle scienze- si mostra qui non come un dato estrinseco o relativistico ma come interno alla scienza stessa e fondante il significato della conoscenza, che per Gould si basa ovunque sui medesimi modelli che vengono poi declinatgouldi in modi, forme e linguaggi differenti. È significativo che il libro si chiuda su un’analisi della simmetria -e dunque del ciclo del tempo- nelle cattedrali medioevali, simmetria che coniuga anche in questo caso l’unicità degli eventi delle storie sacre con la regolarità ciclica che ne guida l’apparire e gli sviluppi. Un’apertura che rende possibile il risultato complessivo al quale questa ricerca perviene: «Mostrare che le metafore della freccia del tempo e del ciclo del tempo formarono un centro focale della discussione e si dimostrarono non meno fondamentali per la formulazione del tempo profondo di qualsiasi osservazione sul mondo naturale» (25-26).
La passione dell’autore si trasmette al lettore. Una passione che nasce dall’autentico piacere che ogni rigorosa indagine su dei grandi libri regala a chi la intraprenda. Una passione che ha come risultato la gaia scienza.

C’è una cosa così elementare e fondamentale che spesso trascuriamo di dirla: lo studio dei testi principali di grandi pensatori non ha bisogno di alcuna giustificazione al di là del puro piacere fornito da un tale esercizio intellettuale. La principale motivazione per la mia strategia è stata semplicemente la gioia. (30)

Lezione sul tempo (e su altro)

Zammù Multimedia ha preparato e pubblicato un video con una sintesi delle Giornate di orientamento che il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania ha organizzato il 14 e il 29 aprile 2014.
Il titolo è Ti presento Scienze UmanisticheAlcuni docenti del Dipartimento hanno illustrato le materie dei corsi di laurea: dalla cultura russa alle strategie di comunicazione, da Perceval ai segreti della lingua araba.
In Rete anche due delle SimuLezioni svolte in quell’occasione: Decifrare il Tempo (mia) Capire la propaganda per capire Facebook del collega Davide Bennato.

 

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=EOxYBq5wNDM[/youtube]

 

Il tempo, un barlume

Il caso, vale a dire la necessità degli eventi, ha voluto che a distanza di meno di una settimana uscissero due miei nuovi libri. Li presento quindi insieme.
Temporalità e Differenza è un testo non molto lungo ma denso, nel quale ho cercato di comunicare ciò che sinora ho appreso del tempomondo. Sono contento che sia stato pubblicato da una casa editrice che da più di 125 anni è un punto di riferimento per gli studi umanistici, in Italia e non solo. È diviso in 21 paragrafi, ciascuno con un proprio titolo. Una struttura che nelle mie intenzioni lo rende simile a un vino da meditazione, da gustare senza fretta.
Un barlume di fasto è uno dei quattro volumi che inaugurano una nuova casa editrice che si chiama ScritturImmagine. ebook e multipli d’autore. Si tratta quindi di ebook, pensati però non come trasposizione del cartaceo ma come una diversa forma della comunicazione. Lo si vede anche dal modo in cui sono impaginati i testi. Per la pagina a me dedicata gli editori hanno scelto una poesia che si intitola Desiderio e quei versi mi sembrano già diventati oggettivi, diversi da me pur se da me nati. Gli editori hanno deciso di non proteggere gli ebook, affidandosi alla correttezza dei lettori. Credo che sia una scelta temeraria. Speriamo bene.

 

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Temporalità e Differenza
Leo S. Olschki
Firenze 2013
Pagine VIII-120
€ 18,00

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Un barlume di fasto
Scrimm Edizioni
Catania 2013
Pagine 60
€ 4,99

Identità e Differenza

Martin Heidegger
IDENTITÀ E DIFFERENZA
(Identität und Differenz, 1957: Der Satz der Identität; Die onto-theo-logische Verfassung der Metaphysik)
Trad. di Giovanni Gurisatti
Adelphi, 2009
Pagine 101

L’identità non è uguaglianza. Per la seconda sono necessari due termini, per la prima ne basta uno soltanto, «giacché mentre nell’uguale la diversità svanisce, nello stesso la diversità appare» (p. 58). Il rapporto dell’umano con l’essere e la relazione dell’ente all’essere sono caratterizzati da identità e non da uguaglianza. Essi si coappartengono perché rimangono diversi pur essendo l’identico, la cui identità consiste proprio in tale coappartenersi. Senza l’uno quindi non si dà l’altro, anche se l’uno non è l’altro se non nella relazione stessa che li fonda.
È certo «singolare», come riconosce Heidegger, che l’ente e l’essere vengano trovati a partire dalla loro differenza e nella differenza. Ed è proprio tale condizione a rendere del tutto inadeguata la struttura linguistica soggetto/oggetto che domina il Moderno, avendo la sua radice nella concezione dell’umano quale animal rationale.  “Soggetto” e “oggetto”, infatti,

sono già il prodotto di una specifica caratterizzazione dell’essere. Chiaro è soltanto il fatto che nel caso sia dell’essere dell’ente sia dell’ente dell’essere si tratta ogni volta di una differenza. Ne deriva che noi pensiamo l’essere in modo aderente alla cosa solo se lo pensiamo nella differenza dall’ente, e quest’ultimo nella differenza dall’essere. Soltanto così la differenza balza propriamente agli occhi. Se però tentiamo di rappresentarla ci troviamo subito indotti a concepire la differenza come una relazione che il nostro rappresentare ha aggiunto sia all’essere che all’ente. È così che la differenza (Differenz) viene ridotta a una distinzione (Distinktion), cioè a un artificio del nostro intelletto. (80)

Numerosi sono i modi nei quali il pensiero ha dispiegato l’oblio della differenza tra essere ed enti. È tale dimenticanza della differenza (Vergessenheit) -e non soltanto la differenza- che Heidegger intende pensare.
Un oblio che si è di volta in volta manifestato come «Fu@siv Lo@gov,  çEn, Ide@a, Ene@rgeia, sostanzialità, oggettività, soggettività, volontà, volontà di potenza, volontà di volontà» (87). In tutte queste determinazioni la metafisica mostra se stessa non soltanto come oblio della differenza ma anche come onto-teo-logia, che guarda o al fondamento comune degli enti (onto-logica) oppure alla totalità dell’ente supremo che fonda ogni cosa (teo-logica).
La concezione rappresentazionale dell’essere e l’oblio della differenza -in una parola la metafisica- arrivano per Heidegger al culmine nella tecnica, intesa come legittimazione del dominio di uno degli enti, l’umano, sull’intero.

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Diversa, diffusa, molteplice

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Un amore di Swann
di Marcel Proust
Traduzione di Giovanni Raboni
Drammaturgia di Sandro Lombardi
Con: Sandro Lombardi (Charles Swann), Elena Ghiaurov (Odette de Crécy), Iaia Forte (Madame Verdurin)
Regia di Federico Tiezzi
Sino al 19 maggio 2013

La volgarità è uno dei temi della Recherche du temps perdu.
Volgarità dei salotti, di una società che vive di snobismo, di pettegolezzi, di meschinità elevate al rango di significati. Madame Verdurin ne costituisce l’emblema. Charles Swann la descrive come un uccello le cui piume sono state bagnate nel vino caldo. Questa donna spregevole articola con i suoni appunto di un uccello il proprio odio per tutto ciò che non riesce a comprendere e che la supera.
Volgarità della seduzione. Della finzione d’amore volta soltanto al dominio sull’altro. Di dolci parole vibrate come pietre a colpire il cuore di chi le ascolta. E sottometterlo. Per poi -una volta ottenuto l’obiettivo di farsi sposare o mantenere- volgere la seduzione in insulto, tradimento, ironia. Odette de Crécy -prostituta d’alto bordo, ignorantella e fasulla- conquista in questo modo il tempo e il rango di Charles Swann.
Volgarità del desiderio. Che non si accorge di come stiano arrivando tempeste di sabbia nella vita, onde di polvere, a intasare la lucidità dei neuroni e la calma dei sentimenti. Charles Swann in verità se ne accorge, tanto da rispondere ai primi gesti seduttivi di Odette dicendole che non vuole conoscerla meglio “per non diventare infelice”. Ma cede poi alla menzogna di una donna della quale, molti anni dopo, dirà «j’ai gâché des années de ma vie, j’ai voulu mourir, j’ai eu mon plus grand amour, pour une femme qui ne me plaisait pas, qui n’était pas mon genre!» (À la recherche du temps perdu, “Du côté de chez Swann”, Gallimard 1999, p. 305).
I tre attori che danno vita a questa fenomenologia della ferocia alternano la voce del Narratore con quella dei personaggi, riuscendo in tal modo a trasmettere almeno un’idea della magnifica ricchezza del testo proustiano. Esso ci mostra che L’Altro è un pericolo, l’Altro è un concorrente, l’Altro è un fastidio, l’Altro è anche “l’enfer” (Sartre) ma questa differenza dell’Altro è così drammatica perché l’Altro è la nostra identità, l’Altro siamo noi. L’alterità è costitutiva della vita mentale. Un’alterità che nella vita amorosa diventa  identità. Il soggetto amoroso è un soggetto nichilistico in quanto vorrebbe eliminare la differenza duale a favore dell’identità unica. Ma l’altro rimane irriducibile. È altro perché non è io, è un io che non è me e che non potrà mai diventare me come io non potrò diventare lui. Se lo diventassi, lo annullerei. Se lo diventassimo, ci annulleremmo come alterità. Se infatti l’Altro fosse raggiunto, esso sarebbe negato in quanto Altro. Anche per questo, dato che la ripetizione amorosa è una ripetizione seriale (Deleuze), l’innamorato è un serial killer che opera in base ai due principi della ripetizione e della differenza.
Insignificanza, volgarità, nullità costituiscono la condizione naturale dell’Altro. È soltanto il desiderio di possedere il suo corpotempo -fatto di eventi e di memorie, assai più che il corpo fatto di organi e tessuti- a trasfigurare l’oggetto amoroso nella favolosa e asintotica meta della nostra passione. L’oggetto amoroso è dunque un segno. Un segno dell’intero al quale vogliamo pervenire, là dove la scissione tra il tempo che siamo e il tempo che è possa finalmente annullarsi nella totalità. «Di per sé lei è meno di niente, ma nel suo essere niente c’è, attiva, misteriosa e  invisibile, una corrente che lo costringe a inginocchiarsi e ad adorare una oscura e implacabile Dea, e a fare sacrificio davanti a lei. E la Dea che esige questo sacrificio e questa umiliazione, la cui unica condizione di patrocinio è la corruttibilità, e nella cui fede e adorazione è nata tutta l’umanità, è la Dea del Tempo» (Beckett, Proust, SE 2004, p. 41).
La dea del tempo innamorato è una sorta di Madonna del Desiderio. Appare con volti diversi, abita istanti diffusi, occupa luoghi molteplici. Swann la incontra sotto le specie di una cortigiana bella e feroce. È per Swann e tramite Swann che Odette assume la figura di una Dea sotto il cui incedere “si volgono i mondi”: «Tout d’un coup, sur la sable de l’allée, tardive, alentie et luxuriant comme la plus belle fleur et qui ne s’ouvrirait qu’à midi, Mme Swann apparaissait. […] Or, autant que du faîte de sa noble richesse, c’était du comble glorieux de son été mûr et si savoureux encore, que Mme Swann, majestueuse, souriant et bonne, s’avançant dans l’avenue du Bois, voyait comme Hypatie, sous la lente marche de ses pieds, rouler les mondes» (À la recherche du temps perdu, “À l’ombre des jeunes filles en fleurs”, Gallimard 1999, pp. 503 e 506).

 

Il Partito Unico

E così tutto è compiuto. Il sogno della fazione di destra del Partito Comunista Italiano -ricondurre una forza anticapitalista dentro l’alveo di un’Europa subordinata agli Stati Uniti d’America- si è realizzato al di là delle stesse speranze di colui che ha tenacemente operato per decenni in questa direzione: Giorgio Napolitano. Passato dallo stalinismo all’ultraliberismo, costui ha mantenuto costante il nucleo autoritario che lo ha sempre ispirato, sino a negare ora apertamente i tre capisaldi di qualunque democrazia degna di tale nome: la distinzione tra maggioranza e opposizione, la divisione dei poteri, l’informazione come strumento di critica dell’azione politica.

Contro la fisiologica e necessaria dialettica parlamentare tra governo e opposizione, Napolitano esorta da anni alla formazione di una maggioranza che si estenda a tutte le forze politiche, ha promosso un’unità intessuta di complicità, di interessi personali, di reciproci ricatti. Quando si poteva cancellare l’anomalia criminale del berlusconismo -nel novembre del 2011- sciogliendo le Camere e dando vita a un governo di sinistra, ha invece affidato l’Italia a un banchiere spietato, incapace e clericale, offrendo alla destra più corrotta d’Europa tutto il tempo per ricostituirsi. Ha poi predeterminato il risultato politico qualunque fosse stato l’esito delle elezioni. E infatti nonostante il 75% degli italiani che si sono recati alle urne abbia espresso con chiarezza la volontà di farla finita con Berlusconi, Napolitano ha operato affinché costui fosse di nuovo al centro della dinamica politica, esito non contrastato dal defunto Partito Democratico anche per la ragione indicata da Franco Berardi Bifo: «Il cinismo è il suo [del medium televisivo] tono morale predominante, perché l’inconscio collettivo prevale sulla ragione critica, e l’inconscio collettivo si identifica ora con la figura narrativa del vincente. La sinistra pensava che l’immoralismo avrebbe portato alla sconfitta del mammasantissima. Sbagliava perché gli italiani che vivono nel mondo descritto in Reality da Matteo Garrone voteranno Berlusconi anche quando lo vedranno inculare il bambino Gesù (purché sia mostrato in tivù)» («L’evento italiano», in Alfabeta2, n. 28, aprile 2013, p. 6).
Contro la divisione dei poteri ha lentamente ma inesorabilmente eroso l’autonomia del legislativo sottoponendolo all’azione dilatata di un esecutivo che a sua volta risponde soltanto a un potere -quello del Presidente della Repubblica- al quale la Costituzione nega un simile spazio. Napolitano ha poi sistematicamente umiliato il potere giudiziario sino alla clamorosa richiesta di un intervento della Corte Costituzionale che gli desse ragione nei confronti di chi stava indagando sui suoi amici.
Contro la libertà dell’informazione ha evocato il dovere per quest’ultima di «collaborare» con il governo. Affermazione di inaudita gravità antidemocratica.

La logica dell’Identità, il monoteismo autoritario e verticale del Padre, ha così prevalso sulla logica della Differenza e sulla pratica della molteplicità. Il panorama è quello plumbeo dei vecchi paesi sovietici, verso il totalitarismo dei quali l’anima di quest’uomo non ha in realtà mai cessato di rivolgersi.
E affinché sia ancora più chiara la fine che devono fare quanti osano davvero proporre la differenza, Napolitano e i suoi complici nel governo e nei partiti assistono gelidi all’inusitato attacco alla libertà e ai diritti dei parlamentari del M5S eletti da più di otto milioni di cittadini, assistono compiaciuti alla violazione delle loro caselle di posta elettronica, dei loro computer, delle loro vite private e delle azioni politiche, in modo che nessun personaggio importante che tenga a se stesso e voglia far carriera si azzardi a stare dalla parte di questi appestati. Sta accadendo qualcosa di simile a ciò che si verificò tra il 1922 e il 1924, quando l’immunità parlamentare garantì i fascisti ma non Gramsci e i nemici del Duce.
C’è molta ideologia nell’azione di Napolitano e dei suoi complici, c’è molta fedeltà al fascismo perenne della storia italiana e al sogno di società chiusa del comunismo sovietico. Ma credo ci sia anche la potenza di un ricatto che lo stesso Presidente subisce. Ricatto del quale le intercettazioni prontamente distrutte dopo la sua assurda ma emblematica rielezione sono la prova, il sigillo, il veleno.

In un denso articolo del 24 aprile scorso, Barbara Spinelli paragona l’azione del Movimento 5 Stelle al “folle volo” dell’Ulisse dantesco, al testardo rifiuto di morire nella quiete della non speranza, alla lotta contro «l’ideologia […] con cui Pangloss indottrina l’inerme Candide, in Voltaire: stiamo andando verso il migliore dei mondi possibili, l’Europa meravigliosamente si integra, ed ecco  – horribile visu!-  una coorte di paradossali e tristi sovvertitori mirano proprio al contrario: alla dis-integrazione».
Soltanto delle menti e delle vite profondamente autoritarie, meschine e complici dell’ingiustizia possono interpretare come “dis-integrazione” la parola che dice no, l’anelito alla differenza, la molteplicità politica e ontologica. Nel fallimento di quel folle volo -che non è di Beppe Grillo o del Movimento 5 Stelle ma è di chiunque voglia ancora vivere libero- c’è tutta la tragedia di un’Italia destinata alla miseria antropologica prima che economica; c’è il lutto senza fine di un Paese che da secoli è servo; c’è la prefigurazione di ciò che si vorrebbe diventasse l’intero pianeta, le cui risorse e bellezza e differenze devono cedere alla rapace azione di un unico potere che prende di volta in volta le maschere della finanza, dei Bilderberg, di tutte le massonerie e di tutte le mafie; un mondo le cui risorse e bellezza e differenze devono inabissarsi in un solo gorgo.
«E la prora ire in giù, com’altrui piacque, / infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso»
(Commedia, «Inferno», canto XXVI, vv. 141-142).

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