Skip to content


Strumento / Sguardo

Henri Cartier-Bresson e gli altri.
I grandi fotografi e l’Italia
Palazzo della Ragione – Milano
A cura di Giovanna Calvenzi
Sino al 7 febbraio 2016

Cartier-Bresson e altri 35 fotografi stranieri per guardarecomprendere l’Italia. Dagli anni Trenta del Novecento al presente si dispiegano allo sguardo centinaia di immagini tra le più profonde e più belle dedicate al nostro Paese, immagini che descrivono e scolpiscono guerre, manifestazioni religiose, vescovi, contadini, città, borghi, luna park, musei, set cinematografici, splendidi edifici e palazzi fatiscenti. Una bellezza pervasiva, assoluta e tenace, nonostante distruzioni, abbandoni, incuria, degrado; nonostante l’«Architettura della rassegnazione» documentata da Jay Wolfe mediante immagini che però sono anch’esse belle,  potenti, geometriche.
Il bianco e nero si alterna al colore nel disegnare i paesaggi, gli oggetti, i volti, gli eventi e soprattutto le città. La città -i comuni- sono la grande invenzione italiana del Basso Medioevo. Ha ragione Michael Ackerman a dire che Napoli «sia l’ultima vera città d’Europa» e a documentare la vita anche dolorosa tra i quartieri di questo luogo impareggiabile.
Altre città ritornano in varie forme: la Roma sanguigna di William Klein e quella elegante di Helmut Newton; la Venezia malinconica, onirica eppur felice di Alexey Titarenko, quella subacquea di Art  Kane, la Venezia ironicamente inquietante di Nobuyoshi Araki e quella colorata e barocca di Steve McCurry.
Irene_Kung_Milano_DuomoMilano appare solitaria e vuota allo sguardo Thomas Struth e lontana, metafisica, divina nelle splendide foto di Irene Kung.
L’identità dello strumento tecnico di questi grandi professionisti si coniuga alla differenza irriducibile ad unum del loro sguardo. Il Rinascimento e lo Squallore convivono in Italia, inseparabili. E in questo modo gli spazi della Penisola confermano la suggestione e il significato dell’affermazione che introduce alla mostra: «Il tempo corre e passa e solo la nostra morte riesce a raggiungerlo. La fotografia è una mannaia che nell’eternità coglie l’istante che l’ha abbagliata». Parole che sono un vortice estetico e teoretico nel quale traluce la potenza del tempo. E del tempo la fotografia è una manifestazione tra le più profonde, tra le più inquietanti.

De gli eroici furori

Giordano Bruno
De gli eroici furori
In Dialoghi italiani / Dialoghi morali
A cura di Giovanni Gentile e Giovanni Aquilecchia
Sansoni Editore, 1985
Pagine 925-1178

eroici_furoriLa tonalità mistica viene applicata da Bruno agli oggetti naturali, in primo luogo al sapere stesso, che costituisce l’obiettivo del furore eroico. Il filosofo crede in un «ordine delle cose» che distingue gli umani tra di loro, gli ignobili dai nobili, poiché senza tale ordine gli sembra che si cada nella perversione di «certe deserte ed inculte repubbliche» (Parte II, Dialogo II, p. 1114). Ciò a cui Bruno mira è una forma d’essere nella quale si possa diventare «megliori, in fatto, che uomini ordinario», sino a porsi all’altezza del divino, dimensione nella quale il sapiente «niente teme, e per amor della divinitade spreggia gli altri piaceri, e non fa pensiero alcuno della vita» (Parte I, Dialogo III, pp. 986 e 988).
C’è qui un tratto socratico che da Platone conduce a Plotino e a ogni teologia negativa, per la quale il senso ultimo della conoscenza supera qualunque capacità della mente che apprende. C’è in Bruno soprattutto un profondo distacco, una liberazione non per rinuncia ma per oltrepassamento, nella convinzione che il male e il bene, i piaceri e le pene, il già e il non ancora, sono mutevole manifestazione di una struttura dell’essere della quale l’umano è parte consapevole ma identica a ogni altra. Il platonismo viene dunque attraversato da Bruno senza imitazioni né rigidità ma in una profonda consonanza teoretica e morale: gli oggetti e le passioni umane sono traccia di una verità incorruttibile alla quale l’Eroico indirizza ogni sua energia, sino a diventare un Atteone che trasformi se stesso da cercatore del vero in preda della verità, «onde non più vegga come per forami e per finestre la sua Diana, ma avendo gittate le muraglie a terra, è tutto occhio a l’aspetto de tutto l’orizonte […]; perché dalla monade che è la divinitade, procede questa monade che è la natura, l’universo, il mondo» (Parte II, Dialogo II, p. 1125).
L’unità dell’essere è la sua stessa molteplicità, la ricchezza incomparabile di una Identità che in ogni istante è la propria Differenza.

Dante, Maometto e Charlie Hebdo

«Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com’io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.

Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e ‘l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.

Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
guardommi e con le man s’aperse il petto,
dicendo: ‘Or vedi com’ io mi dilacco!”

vedi come storpiato è Mäometto!’»

(Inferno, XXVIII, 22-31).

Così Dante Alighieri descrive la figura ripugnante dello ‘scismatico’ Maometto, tagliato/squartato come lui volle tagliare/squartare l’unità cristiana del Mediterraneo. Ancora una volta i monoteismi confermano tutta la loro carica di violenza, gli uni contro gli altri. Nel presente i CharlieHebdo_Maomettopiù pericolosi e armati di tali monoteismi sono quello di Israele e quello degli islamisti. Massacrare i redattori del giornale parigino Charlie Hebdo perché hanno «offeso il Profeta» è semplicemente ripugnante. E conferma ancora una volta tutta la violenza insita nell’Identità senza Differenza, nell’Uno.

veil-charlie-hebdo«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile. Non avere altri dèi di fronte a me. […]  Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti» (Deuteronomio, cap. 5, versetti 6-10).
«Allah testimonia, e con Lui gli Angeli e i sapienti, che non c’è dio all’infuori di Lui, Colui Che realizza la giustizia. Non c’è dio all’infuori di Lui, l’Eccelso, il Saggio». (Corano, sura III, versetto 18).
«Egli Allah è Unico, Allah è l’Assoluto. Non ha generato, non è stato generato e nessuno è eguale a Lui» (Corano, sura CXII, versetti 1-4).
«E i miscredenti che muoiono nella miscredenza, saranno maledetti da Allah, dagli angeli e da tutti gli uomini. Rimarranno in questo stato in eterno e il castigo non sarà loro alleviato, né avranno attenuanti. Il vostro Dio è il Dio Unico, non c’è altro dio che Lui, il Compassionevole, il Misericordioso» (Corano, sura II, versetti 161-163).

Terra e Tempo

Stephen Jay Gould
LA FRECCIA DEL TEMPO, IL CICLO DEL TEMPO
Mito e metafora nella scoperta del tempo geologico
(1987)
Traduzione di Libero Sosio
Feltrinelli, 1989
Pagine 232

Questo libro è la prova che si può scrivere un testo che sia insieme una storia della geologia e un saggio di epistemologia appassionante come un romanzo. La vicenda che racconta con coinvolgente stile narrativo è quella delle origini della scienza geologica. Una storia che diventa paradigmatica dell’intreccio tra filosofia ed empiria in cui la scienza consiste e dei rischi di ogni dogmatismo scientista.
Contrariamente a quanto la pigrizia dei  libri di testo tramanda, infatti, le opere e le ipotesi di Thomas Burnet (1635-1715), James Hutton (1726-1797), Charles Lyell (1797-1875) non rappresentano momenti separati e opposti di una storia che va dalle tenebre delle favole teologiche alla luce del metodo empirico. Burnet, che elaborò una teoria sacra della Terra nella quale cercava di giustificare con dati empirici il racconto biblico, fu in realtà più attento del suo ottimo amico Isaac Newton «al regno della legge naturale e più di lui desideroso di abbracciare spiegazioni storiche» (pag. 52). I due “eroi illuminati” Hutton e Lyell non sono, a loro volta, riducibili alla leggenda che li vuole fondatori della geologia scientifica intesa come attività svolta sul campo, dalla quale scaturirebbe poi per induzione la scoperta delle leggi generali che governano la Terra. Hutton, infatti, fu un aperto e convinto sostenitore del finalismo aristotelico e negò costantemente il divenire storico del pianeta; Lyell, oltre a rimanere all’interno di un paradigma antropocentrico, propose il suo metodo di datazione degli strati della crosta terrestre come applicazione di un’ipotesi generale sulla Terra -l’uniformitarismo o attualismo- di carattere in parte teoretico e negante anch’essa la radicale variabilità e direzionalità dei fenomeni geologici nel tempo. Gould trova «una squisita ironia nel fatto che la storia convenzionale presenti la vittoria di Lyell come il trionfo delle ricerche sul campo, mentre in realtà i veri campioni di una lettura letterale della documentazione geologica furono i catastrofisti» (145). La visione moderna della geologia non è dunque certamente quella teologico/biblica di Burnet ma neppure quella astorica di Hutton o attualista di Lyell «ma piuttosto è un miscuglio inestricabile ed equilibrato di uniformismo e di catastrofismo» (189). Più in generale, «Hutton e Lyell condivisero, soprattutto, la visione di controllo del ciclo del tempo, l’uniformità di stato» (163).
Sta qui il significato filosofico del libro. Attraverso la geologia e la sua storia, infatti, Gould sostiene che il contributo delle scienze della Terra alla comprensione del mondo è duplice e consiste in primo luogo nella scoperta del tempo profondo, dell’immensità temporale che precede la comparsa della vita e dell’umano. Un’enormità cronologica che è tuttora «così difficile da capire, così estrane(a) alla nostra esistenza quotidiana, da rimanere un ostacolo importante alla nostra comprensione» (14).
L’intera ricerca di Gould è incentrata intorno al secondo contributo della geologia: la comprensione del rapporto fra ciclo del tempo e freccia del tempo. Un rapporto che lo scienziato dimostra non essere escludente ma coniugante. Le immagini che aprono ogni capitolo (tranne il primo) fanno riferimento alla compresenza di variazione e di stabilità, fanno riferimento a quel ciclo temporale della materia che è insieme mutamento degli eventi e permanenza delle strutture nelle quali essi avvengono: «Frecce e cicli sono “metafore eterne”» (203) con le quali si esprime la comprensione umana -scientifica ma anche mitologica, filosofica, religiosa- della compresenza di unicità/differenza e regolarità/identità:

La freccia del tempo è l’intelligibilità di eventi distinti e irreversibili, mentre il ciclo del tempo è l’intelligibilità di un ordine atemporale e di una struttura simile alla legge. Noi abbiamo bisogno di entrambe le cose. (28)
Qualche cosa di profondo nella nostra tradizione richiede, per l’intelligibilità stessa, sia la freccia dell’unicità storica sia il ciclo dell’immanenza atemporale, e la natura dice sì a entrambi. (211-213)

Nello specifico delle scienze biologiche e geologiche, «gli organismi seguono la freccia del tempo della storia contingente; i minerali seguono il ciclo del tempo dell’immanente logica geometrica» (208). Si tratta di una metodologia critica che rifiuta il dogmatismo scientista ed è invece del tutto consapevole della storicità di ogni conoscenza umana. Gould appare dunque vicino all’epistemologia di Kuhn, alla sua identificazione delle scienze con il loro sviluppo, alla sua richiesta di un’adeguata conoscenza della storia delle proprie discipline da parte degli scienziati empirici, conoscenza che scongiuri l’inevitabile danno che alle scienze deriva «da un atteggiamento di chiusura, dal suo presentarsi come custode di un rito sacro chiamato il metodo scientifico» (19).
Il rispetto per le altre forme del sapere umano -altre rispetto alle scienze- si mostra qui non come un dato estrinseco o relativistico ma come interno alla scienza stessa e fondante il significato della conoscenza, che per Gould si basa ovunque sui medesimi modelli che vengono poi declinatgouldi in modi, forme e linguaggi differenti. È significativo che il libro si chiuda su un’analisi della simmetria -e dunque del ciclo del tempo- nelle cattedrali medioevali, simmetria che coniuga anche in questo caso l’unicità degli eventi delle storie sacre con la regolarità ciclica che ne guida l’apparire e gli sviluppi. Un’apertura che rende possibile il risultato complessivo al quale questa ricerca perviene: «Mostrare che le metafore della freccia del tempo e del ciclo del tempo formarono un centro focale della discussione e si dimostrarono non meno fondamentali per la formulazione del tempo profondo di qualsiasi osservazione sul mondo naturale» (25-26).
La passione dell’autore si trasmette al lettore. Una passione che nasce dall’autentico piacere che ogni rigorosa indagine su dei grandi libri regala a chi la intraprenda. Una passione che ha come risultato la gaia scienza.

C’è una cosa così elementare e fondamentale che spesso trascuriamo di dirla: lo studio dei testi principali di grandi pensatori non ha bisogno di alcuna giustificazione al di là del puro piacere fornito da un tale esercizio intellettuale. La principale motivazione per la mia strategia è stata semplicemente la gioia. (30)

Lezione sul tempo (e su altro)

Zammù Multimedia ha preparato e pubblicato un video con una sintesi delle Giornate di orientamento che il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania ha organizzato il 14 e il 29 aprile 2014.
Il titolo è Ti presento Scienze UmanisticheAlcuni docenti del Dipartimento hanno illustrato le materie dei corsi di laurea: dalla cultura russa alle strategie di comunicazione, da Perceval ai segreti della lingua araba.
In Rete anche due delle SimuLezioni svolte in quell’occasione: Decifrare il Tempo (mia) Capire la propaganda per capire Facebook del collega Davide Bennato.

 

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=EOxYBq5wNDM[/youtube]

 

Il tempo, un barlume

Il caso, vale a dire la necessità degli eventi, ha voluto che a distanza di meno di una settimana uscissero due miei nuovi libri. Li presento quindi insieme.
Temporalità e Differenza è un testo non molto lungo ma denso, nel quale ho cercato di comunicare ciò che sinora ho appreso del tempomondo. Sono contento che sia stato pubblicato da una casa editrice che da più di 125 anni è un punto di riferimento per gli studi umanistici, in Italia e non solo. È diviso in 21 paragrafi, ciascuno con un proprio titolo. Una struttura che nelle mie intenzioni lo rende simile a un vino da meditazione, da gustare senza fretta.
Un barlume di fasto è uno dei quattro volumi che inaugurano una nuova casa editrice che si chiama ScritturImmagine. ebook e multipli d’autore. Si tratta quindi di ebook, pensati però non come trasposizione del cartaceo ma come una diversa forma della comunicazione. Lo si vede anche dal modo in cui sono impaginati i testi. Per la pagina a me dedicata gli editori hanno scelto una poesia che si intitola Desiderio e quei versi mi sembrano già diventati oggettivi, diversi da me pur se da me nati. Gli editori hanno deciso di non proteggere gli ebook, affidandosi alla correttezza dei lettori. Credo che sia una scelta temeraria. Speriamo bene.

 

***************

Temporalità e Differenza
Leo S. Olschki
Firenze 2013
Pagine VIII-120
€ 18,00

***************

Un barlume di fasto
Scrimm Edizioni
Catania 2013
Pagine 60
€ 4,99

Identità e Differenza

Martin Heidegger
IDENTITÀ E DIFFERENZA
(Identität und Differenz, 1957: Der Satz der Identität; Die onto-theo-logische Verfassung der Metaphysik)
Trad. di Giovanni Gurisatti
Adelphi, 2009
Pagine 101

L’identità non è uguaglianza. Per la seconda sono necessari due termini, per la prima ne basta uno soltanto, «giacché mentre nell’uguale la diversità svanisce, nello stesso la diversità appare» (p. 58). Il rapporto dell’umano con l’essere e la relazione dell’ente all’essere sono caratterizzati da identità e non da uguaglianza. Essi si coappartengono perché rimangono diversi pur essendo l’identico, la cui identità consiste proprio in tale coappartenersi. Senza l’uno quindi non si dà l’altro, anche se l’uno non è l’altro se non nella relazione stessa che li fonda.
È certo «singolare», come riconosce Heidegger, che l’ente e l’essere vengano trovati a partire dalla loro differenza e nella differenza. Ed è proprio tale condizione a rendere del tutto inadeguata la struttura linguistica soggetto/oggetto che domina il Moderno, avendo la sua radice nella concezione dell’umano quale animal rationale.  “Soggetto” e “oggetto”, infatti,

sono già il prodotto di una specifica caratterizzazione dell’essere. Chiaro è soltanto il fatto che nel caso sia dell’essere dell’ente sia dell’ente dell’essere si tratta ogni volta di una differenza. Ne deriva che noi pensiamo l’essere in modo aderente alla cosa solo se lo pensiamo nella differenza dall’ente, e quest’ultimo nella differenza dall’essere. Soltanto così la differenza balza propriamente agli occhi. Se però tentiamo di rappresentarla ci troviamo subito indotti a concepire la differenza come una relazione che il nostro rappresentare ha aggiunto sia all’essere che all’ente. È così che la differenza (Differenz) viene ridotta a una distinzione (Distinktion), cioè a un artificio del nostro intelletto. (80)

Numerosi sono i modi nei quali il pensiero ha dispiegato l’oblio della differenza tra essere ed enti. È tale dimenticanza della differenza (Vergessenheit) -e non soltanto la differenza- che Heidegger intende pensare.
Un oblio che si è di volta in volta manifestato come «Fu@siv Lo@gov,  çEn, Ide@a, Ene@rgeia, sostanzialità, oggettività, soggettività, volontà, volontà di potenza, volontà di volontà» (87). In tutte queste determinazioni la metafisica mostra se stessa non soltanto come oblio della differenza ma anche come onto-teo-logia, che guarda o al fondamento comune degli enti (onto-logica) oppure alla totalità dell’ente supremo che fonda ogni cosa (teo-logica).
La concezione rappresentazionale dell’essere e l’oblio della differenza -in una parola la metafisica- arrivano per Heidegger al culmine nella tecnica, intesa come legittimazione del dominio di uno degli enti, l’umano, sull’intero.

leggi di più
Vai alla barra degli strumenti