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Lo sventurato rispose

Venere in pelliccia
(La Vénus à la fourrure)
di Roman Polanski
Francia-Polonia, 2013
Con: Emmanuelle Seigner (Vanda), Mathieu Amalric (Thomas)
Trailer del film
Trailer in francese (molto più intrigante)

Un viale di Parigi, in soggettiva. Lo sguardo entra in un vecchio teatro dove è rimasto soltanto il regista, alla fine di una giornata di audizioni per trovare la protagonista di un adattamento del romanzo di Leopold von Sacher-Masoch. Lo sguardo è quello di Vanda, attrice molto ignorante e assai volgare, che aspira però alla parte del personaggio omonimo. Thomas, il regista, non ne vuol sapere ma lei insiste. E improvvisamente la donna si trasforma in Vanda, la padrona la dominatrice la Venere in pelliccia. La contaminazione tra i personaggi e gli interpreti diventa inestricabile, l’ambiguità si fa ironica e crudele.

Teatro e cinema al quadrato, attori -magnifica Seigner- che riescono a far capire quando fanno finta di essere un personaggio e quando lo sono per davvero. Sappiamo bene che l’esistenza collettiva è un grande gioco di finzioni ripetute e intricate. Lo è soprattutto la seduzione. L’innamorato non conosce che il suo desiderio di essere tormentato. Non può che aprire e chiudere le branchie e diventare una sola cosa con l’elemento, con il sale. Si prepara da sé il cartoccio in modo che all’Altro basta prenderlo e buttarlo sulla graticola. Bello saporito fresco e con l’occhio ancora vivo. Non è colpa di lei o di lui se il suo dolore diventa così appetitoso. È l’amante che si fa divorare. Qualunque cosa ne pensino romantici e sognatori, il mondo è fatto di una sottile ma tenace geometria. L’amore non è soltanto chimica allo stato puro, desiderio che attraversa cellule e molecole, è anche il luogo nel quale cause ed effetti, premesse e conseguenze, condizioni e risultati, accadono nel modo che una buona intelligenza artificiale saprebbe ben descrivere e prevedere, se fornita di una sufficiente quantità di dati. Gran parte dei nostri mali arrivano senza che possiamo fare nulla. Altri, invece, sono evitabili. Un amore appartiene ai secondi. Come scrisse una volta Alessandro Manzoni: «La sventurata rispose». O, nei termini biblici ricordati dal film, «Il Signore lo colpì e lo mise nelle mani di una Donna».

 

 

 

I Promessi Sposi

di Alessandro Manzoni
1840
Audiolibro – A cura di Vittorio Volpi
LiberLiber, 2007

«Sopire, troncare, troncare e sopire»…(cap. 19). Il cuore del Potere, la sua logica profonda. Omertà perché «a stare zitti non si sbaglia mai» afferma Don Abbondio (cap. 32), i siciliani confermano: “cu picca parrà, ma’ si pintì”. Prepotenze mafiose di padroni locali. Raccomandazioni contro le leggi, l’equità, la giustizia. Corruzione capillare dei funzionari (consoli), dei sindaci (podestà), degli avvocati. I «bravi» e i «birri» posti sullo stesso piano, descritti come strumenti diversi ma convergenti dell’autorità legale e illegale. Una «svisceratezza servile» da parte della “gente comune” (cap. 22) che è la vera ragione del dominio degli uomini e dei politici di malaffare.

Carestie che tolgono l’anima agli umani, agli animali, alle cose. Rivolte «il cui clamore non è che silenzio» (P.P.Pasolini, Le ceneri di Gramsci, «L’Appennino, VII»).
Guerre le cui vere vittime sono le popolazioni civili. Epidemie prima negate dai governi, dai medici, dalla “opinione pubblica” e poi attribuite alle motivazioni più irrazionali (gli untori, gli astri) e infine subite nel cinismo e nello sciacallaggio generali. L’egoismo e la miseria dei “cattivi” che costringono i propri figli alla clausura per non dividere il patrimonio e non indebolire “a famigghia”. L’egoismo e la miseria dei “buoni” che -come Donna Prassede- metteva tutto il suo impegno a «secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch’era di prender per cielo il suo cervello» (cap. 25).

La vicenda umana che è un susseguirsi di «legali, orribili, non interrotte carnificine» (cap. 32). E su tutto il vero motore del testo: quel prete con il quale l’opera si apre e si chiude; l’anima nera il cui orizzonte è limitato al proprio infimo ego in mondo pervicace, irredimibile, assoluto: Don Abbondio, così vile e dunque così cattivo perché così intellettualmente ottuso (un vero caso socratico), come si vede in modo clamoroso durante il dialogo col cardinale Borromeo.

Ma anche la storia di un innamoramento, di una passione forte al di là di ogni prova. Non tanto nella timidezza teologica di Lucia Mondella -certo insostenibile a uno sguardo contemporaneo- ma certamente nella tenacia esuberante di Renzo Tramaglino, per il quale prima dell’incontro con l’amata «i minuti gli parevan ore» e mentre sta con lei «l’ore gli parevan minuti» (cap. 38). Una disincantata ironia a pervadere ogni pagina. Un romanzo insuperato, il più grande nella nostra lingua. Oggi come allora, perché «così va spesso il mondo…voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo» (cap. 8).

[Ho riletto I Promessi Sposi tramite la bella voce di Silvia Cecchini, nell’audiolibro messo a disposizione da LiberLiber]

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