È importante che il parlamento di Cipro abbia respinto la pretesa della troika finanziaria di un prelievo forzoso (furto) sui conti correnti dei cittadini. Al di là, infatti, della particolare situazione cipriota di dipendenza dagli investimenti russi, si è trattato anche di una prova generale di quanto l’Italia e altri Paesi potrebbero subire. I dogmi e gli ordini del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Centrale Europea, della Commissione Europea (controllata ormai dalla Germania) sono l’espressione di una irrazionalità della quale la finanza è ormai la più pericolosa manifestazione, più della politica, delle guerre e dei sentimenti.
Il problema del debito -che è di fatto il vero problema della storia contemporanea- ne costituisce palese testimonianza. Ricordiamo ancora una volta che cosa è accaduto dopo la crisi che ha colpito le banche soprattutto statunitensi -per loro precisa responsabilità- e che ha condotto l’intera Europa all’impoverimento: «Una delle cause immediate dell’innalzamento del debito risiede nei piani di salvataggio della finanza decisi dagli Stati nel 2008 e nel 2009. Per salvare le banche e le compagnie di assicurazioni, gli Stati hanno dovuto a loro volta contrarre prestiti sui mercati, il che ha accresciuto il loro debito in proporzioni enormi. Somme astronomiche (800 miliardi di dollari negli Stati Uniti, 117 miliardi di sterline in Gran Bretagna) sono state spese per impedire che le banche sprofondassero, decisione che ha gravato in pari misura sulle finanze pubbliche. Complessivamente, le quattro principali banche centrali (Riserva federale americana, Banca centrale europea, Banca del Giappone e Banca d’Inghilterra) hanno iniettato 5.000 miliardi di dollari nell’economia mondiale fra il 2008 e il 2010. È il più grande trasferimento di ricchezze della storia dal settore pubblico al settore privato! Un trasferimento che ha permesso alle banche salvate dagli Stati di ritrovarsi creditrici dei propri salvatori» (A. De Benoist, Diorama Letterario, 312, novembre-dicembre 2012, p. 2).
Banche che somigliano sempre più a dei gruppi criminali e come tali operano nella vita collettiva: «In conseguenza della crisi, l’Europa del Sud si trova oggi ad essere governata da tecnocrati e banchieri formatisi in Goldman Sachs o in Lehman Brothers. “Essere governati dal denaro organizzato è altrettanto pericoloso quanto esserlo dal crimine organizzato”, diceva Roosevelt» (Ivi, 4).
Molto interessante è a questo proposito quanto sostiene l’economista svizzero-egiziana Myret Zaki, la quale individua il maggiore rischio per l’economia mondiale nella pervicace volontà degli USA di mantenere il predominio del dollaro sull’economia globalizzata. Si tratta di una volontà politica che confligge in modo clamoroso con le regole della stessa economia liberista: «La zona euro è molto più solvibile degli Stati Uniti. Molti studi lo dimostrano» e tuttavia il tasso di interesse pagato dagli USA rimane a meno del 3%, «un tasso anormalmente basso per un debito che definisco inadempiente», che raggiunge il 300% del Pil (quello europeo rimane sotto il 200%) e che produce una realtà sociale nella quale «46 milioni di americani vanno alla mensa dei poveri» e «il 15% della popolazione è uscito dal circuito del consumo e del risparmio». Tutto questo è dovuto a «un’amministrazione totalmente interventista. Qualcosa di mai visto in un sistema che pretende di essere liberale. L’economia americana è oggi un’economia amministrata e assistita, che manipola il valore del suo debito obbligazionario e in questo modo mette a soqquadro il mercato mondiale del debito» (Ivi, pp. 4-6).
La vita collettiva è a volte geometrica e conseguente. Tutto questo è infatti il risultato di ciò che Heidegger chiamava Gestell, la Forma-Capitale fondata sul principio dell’illimitatezza: «Sempre più mercato, sempre più merci, sempre più profitti, sempre più reificazione dei rapporti sociali e così via. […] Da questo punto di vista, il capitalismo non è più soltanto un sistema economico, ma è anche portatore di un’antropologia che gli è propria, fondata sul modello dell’Homo œconomicus» (Intervista di L. Montarnal a A. De Benoist, Ivi, p. 7).
![Das Ding](https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2013/02/berlusconi_cosa-1.jpg)
Quando Silvio Berlusconi si candidò per la prima volta alla presidenza del consiglio, parlai di una macchina mediatica -quindi disumana- che tentava di prendere il potere. I vent’anni che da allora sono trascorsi hanno dato clamorosa conferma a quella ipotesi. Il corpo e il volto di questa entità che una volta fu umana non hanno infatti più nulla di naturale. Basta, per rendersene conto, guardarla. L’intrusione chirurgico-meccanica su quello che fu un Leib, un corpo vivo, è stata talmente devastante da ridurlo a un Körper, un corpo cosa, che è costretto a muoversi sempre con degli addetti che assicurino la giusta temperatura negli studi televisivi. Il suo volto potrebbe infatti sciogliersi, le bolle di silicone esplodere.
Se non avesse le tragiche ricadute politiche che ha, il caso di s.b. sarebbe di straordinario interesse e significato antropologico. Si tratta di un soggetto che, afferrato da una patologica paura di invecchiare, rinuncia volontariamente alla propria temporalità e dunque al proprio statuto di umano, transitando non al livello animale, che è una dimensione di profonda raffinatezza ontologica, ma a quello di cosa. Di semplice cosa che ripete ossessiva le proprie formule come quelle inquietanti bambole che fingono di parlare. L’orrore che simili oggetti suscitano dovrebbe mettere in apprensione i genitori evitando di esporre i minori alla visione di una tale mostruosità.
Berlusconi è un umano diventato cosa. È l’oscenità allo stato puro, il mostruoso nella sua forma più angosciante. È dunque vero quanto affermato tempo fa da uno dei suoi medici, il farmacologo Scapagnini (ex sindaco di Catania, città da costui lasciata in bancarotta): «Berlusconi è tecnicamente immortale». Infatti solo gli animali possono morire, le cose -invece- si rompono. Esso, aggiungo, non potrà avere un funerale poiché potrà essere semplicemente rimosso, come accade a una tazza rotta che viene gettata nei rifiuti.
Il 6 giugno del 1950 Heidegger tenne una conferenza dal titolo Das Ding (La cosa). In quell’occasione parlò della “brocca” affermando che «è il vuoto ciò che, nel recipiente, contiene. Il vuoto, questo nulla nella brocca, è ciò che la brocca è come recipiente che contiene» (Saggi e discorsi, trad. di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, p. 112). Tale vuoto è stato riempito dagli escrementi della vita collettiva italiana. Per questo s.b. è una cosa immonda.
![Campi di sterminio, sterminio dei campi](https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2013/01/Heidegger_1960.jpeg)
La prima apparizione pubblica di Martin Heidegger dopo la Seconda guerra mondiale avvenne a Brema nel 1949, con un ciclo di conferenze dal titolo Einblick in das was ist (Sguardo in ciò che è). Di Heidegger è peculiare che dalle tesi apparentemente più astratte derivi al lettore una comprensione precisa, efficace e disvelante della vita quotidiana, degli aspetti fondamentali dell’esistenza individuale e collettiva. Heidegger ha individuato con chiarezza la trasformazione del mondo in un impianto (Gestell) la riduzione delle persone a risorse umane, funzionali alla produzione e sostituibili a ogni istante.
È di questo che mi sono ricordato leggendo un interessante e drammatico articolo apparso sulla rivista Indipendenza. Nel numero 33 (novembre/dicembre 2012) Gianni Sartori analizza i progetti di ulteriore colonizzazione del territorio vicentino da parte dell’esercito statunitense, in particolare il pericoloso programma di ampliamento per scopi militari dell’autostrada A31 in una zona ad alto rischio franoso. Contro tale progetto le popolazioni si sono mobilitate, come in Val di Susa. Tra gli oppositori vi è l’Associazione Coltivatori Diretti, che in un suo comunicato scrive: «Dopo i campi di sterminio la civiltà dell’industria ha determinato lo sterminio dei campi agricoli» (p. 28). L’articolo così prosegue: «E non sembri solo un gioco di parole. I contadini della Val d’Astico sanno di cosa parlano. La Valle ha ben conosciuto sia gli eccidi nazisti (come a Pedescala) che le deportazioni nei campi di sterminio. Non è un caso che Cogollo del Cengio sia gemellato con Mauthausen».
Ebbene, in un brano della conferenza del 1949 -che è stato rimproverato a Heidegger come espressione della sua insensibilità verso le tragedie del Novecento- il filosofo sostiene la continuità tra lo sterminio dei Lager e la distruzione delle risorse naturali del pianeta, senza le quali la vita va scomparendo dalla Terra:
Il lavoro del contadino non provoca il terreno, bensì affida la semina alle forze della crescita, proteggendola nel suo allignare. Nel frattempo, tuttavia, anche la lavorazione della terra si è convertita nel medesimo ordinare che assegna l’aria all’azoto, il terreno al carbone e al minerale metallifero, il minerale all’uranio, l’uranio all’energia atomica e quest’ultima a una distruzione che può essere ordinata. L’agricoltura è oggi industria alimentare meccanizzata, che nella sua essenza è lo Stesso (das Selbe) della fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas e nei campi di sterminio, lo Stesso del blocco e dell’affamamento di intere nazioni, lo Stesso della fabbricazione di bombe all’idrogeno.
(Conferenze di Brema e Friburgo, volume LXXIX della Gesamtausgabe, a cura di P. Jaeger, edizione italiana a cura di F. Volpi, trad. di G. Gurisatti, Adelphi, 2002, pp. 49-50)
Vi è qui la conferma che un grande pensare è capace di comprendere, al di là delle contingenze, il terreno nel quale affondano le radici invisibili degli eventi.
![Vita pensata 15 – Ottobre 2012](https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2012/10/Josef-Koudelka_2.jpg)
È uscito il numero 15 di Vita pensata, Rivista di filosofia
Editoriale: Identità e differenza (con Giusy Randazzo), p. 4
Perdita e linguaggio. Su Heidegger e Rilke, pp. 11-13
Plotino. La mente nichilistica, pp. 54-59 (Se dovessi consigliare la lettura di uno soltanto dei miei articoli, indicherei questo tentativo di presentare criticamente il pensiero dell’ultimo filosofo pagano)
Reality, pp. 65-67
Dante, la musica pp. 70-71
Indice (in formato pdf)
Aa. Vv.
GIORNALE DI METAFISICA
Pluralità e interpretazione
Anno XXXIII (2011), nn. 1-2, Gennaio/Agosto
Tilgher, Genova 2011
Pagine 320
Plurale ed ermeneutico è per sua natura il linguaggio. L‘uniformità unificante vorrebbe invece ridurre la pluralità dei parlanti a una «globanglizzazione» (D .Di Cesare, p. 17) sostenuta anche di recente da ministri, funzionari e decisori politici italiani, i quali sono convinti che la lingua sia uno strumento qualsiasi, mentre invece essa è «l’organo che articola il mondo» (20), tanto che «anche il più sottile imporsi di una lingua, non è l’imposizione di uno strumento come un altro, ma è piuttosto, e più profondamente, l’imposizione di un modo di articolare il mondo» (23). È per questo che ogni monismo linguistico uccidendo le lingue consuma le differenze e invece che creare un «paradiso comunicativo» produce «l’inferno culturale e […] il trionfo della stupidità» (26).
Plurale ed ermeneutico è anche il prospettivismo nietzscheano, che non è una banale forma di relativismo proprio perché le opere di Nietzsche «forniscono dei criteri per discernere –ex negativo ed in positivo- il grado di validità delle varie prospettive» (S. Pastorino, 87). Si tratta di un prospettivismo vicino a quello che due fisici come Hawking e Mlodinow sostengono in un articolo pubblicato su Le scienze (dicembre 2010, p. 88), citato da P. Palumbo: «Non esiste un concetto di realtà indipendente da una teoria o dall’immagine che se ne ha. Adottiamo invece un punto di vista che chiamiamo realismo dipendente dal modello: l’idea che una teoria fisica o un’immagine del mondo sia un modello (in genere di natura matematica) con un insieme di regole che collegano gli elementi del modello alle osservazioni. Secondo il realismo dipendente dal modello non ha senso chiedersi se un modello sia reale, ma solo se concorda con le osservazioni. Se due modelli concordano con le osservazioni, nessuno dei due può essere considerato più reale dell’altro. Una persona può usare il modello più adeguato alla situazione che sta considerando» (138). Sono dei fisici, cioè dei veri scienziati, a mostrare l’ingenuità di non pochi filosofi tutti tesi a ‘naturalizzare’ sempre qualcosa: la mente, il linguaggio, la conoscenza. Ma che cosa è natura? Che cosa è realtà? La conoscenza umana passa sempre attraverso il corpomente che costruisce per se stesso percezioni, giudizi, significati. La materia è la materia della mente.
Mente & cervello 87 – Marzo 2012
Bellissime le «istantanee dal cervello» presentate alle pagine 50-55 di questo numero di Mente & cervello. Sembrano davvero delle opere d’arte astratta e forse questo significa che l’arte concettuale è la più autentica forma di realismo, quella mediante la quale la mente umana rappresenta se stessa, la propria capacità di generare mondi, colori, forme.
Così potente e plasmabile è il cervello da essere continuamente sottoposto a tentativi di controllo e di manipolazione. L’agone politico, lo spettacolo e la pubblicità hanno esattamente questo scopo. Un nuovo strumento di dominio è la connessione costante che la Rete permette. Anche per suo tramite «veniamo sottoposti a una pubblicità onnipresente: questa distruttrice delle capacità attenzionali non è altro che un uso metodico, a fini commerciali, di astuti furti di attenzione» (C. André, p. 35). La dispersione mentale è uno dei rischi impliciti nel multitasking che caratterizza ormai i comportamenti di molti di noi: «La moltitudine di sollecitazioni rende invece carente la nostra mente: carente di calma, di lentezza, di continuità. Tre nutrimenti vitali per le capacità attenzionali» (Id., 36).