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Abitatrice

Aquarius
di Kleber Mendonça Filho
Brasile, 2016
Con: Sonia Braga (Clara), Fernando Teixeira (Geraldo Bonfim), Humberto Carrão (Diego)
Trailer del film

Clara è rimasta l’unica abitatrice di un palazzo -l’Aquarius- che dà sulla spiaggia di Recife. L’impresa che ha acquistato tutti gli appartamenti vorrebbe prendersi anche il suo. Ma questa donna tenace, colta, determinata, non ha nessuna intenzione di abbandonare la propria casa. Perché la casa non sono i muri che delimitano un luogo. Una casa è l’estensione del proprio corpo nello spazio; è la stratificazione degli eventi e delle loro memorie; è il dolore, il sorriso, l’amore, la rabbia. Le stanze si riempiono delle persone che le abitano. I loro simulacri rimangono anche quando esse non ci sono più, come divinità che proteggono, che schiantano nella nostalgia, che formano la materia della mente. Simulacri ai quali Clara restituisce vita anche attraverso la musica, mediante i vecchi dischi in vinile al cui suono danza l’esistere.
I palazzinari che vorrebbero rubarle tutto questo -che vorrebbero dunque toglierle la vita- sono squali ben più feroci di quelli che abitano il mare davanti all’Aquarius. Sostenuta da un tessuto di relazioni e di affetti, Clara restituirà a questi avidi il loro male.

Scritture filosofiche

Martedì 18 luglio 2017 alle 10.15 (circa) nella magnifica cornice di Ragusa Ibla -esattamente nella sede dell’ex Convento di Santa Teresa terrò una lezione dal titolo Da Saussure a Heidegger. Scritture filosofiche nel Novecento. Lo farò nell’ambito della seconda edizione della «International Summer School of higher education in Philosophy – Le Agorà e l’esercizio critico del pensiero», dal titolo Forme del discorso e della scrittura filosofica, organizzata dalla Società Filosofica Italiana.
Trascrivo qui l’abstract del mio intervento.

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Le scritture filosofiche costituiscono un tentativo di mappare la realtà, l’essere e il divenire, poggiandosi sulla materia del mondo e rimanendone però separati da uno strato di teoresi. La scrittura filosofica ha infatti con il mondo un rapporto di differenza e di identità: essa è scrittura perché è diversa dagli enti, dagli eventi, dai processi. Ma è scrittura filosofica perché cerca di porre sugli enti, sugli eventi e sui processi una rete semantica ed ermeneutica che consenta di comprenderli quanto più profondamente possibile.
Unterwegs zur Sprache, in cammino verso il linguaggio, è non questo o quel pensatore ma l’intera filosofia contemporanea. Il mio contributo proverà a ricordare alcuni dei filosofi e dei libri che testimoniano la centralità del linguaggio/scrittura nel Novecento. Una centralità che diventa di interesse anche didattico, poiché il modo in cui i filosofi intendono il linguaggio contribuisce a determinare le forme in cui i filosofi scrivono. L’itinerario partirà dalla riflessione linguistica di Saussure e transiterà dentro l’opera di alcuni filosofi del Novecento, in particolare Wittgenstein, Heidegger e Gadamer. Si concluderà con l’analisi della scrittura polifonica di Nietzsche, capace di articolare il pensare nelle forme della lezione, dell’aforisma, del poema, del trattato, del saggio, in una vera e propria sintesi di ciò che dai Greci in avanti è stata la scrittura filosofica.

Bibliografia essenziale

Aa. Vv., Filosofie del linguaggio. Storie, autori, concetti, Carocci, Roma 2016
F. de Saussure, Corso di linguistica generale, Laterza, Roma-Bari 2008
L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino 2009
M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 2014
H.G. Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano 2000
A.G. Biuso, Temporalità e Differenza, Olschki, Firenze 2013
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Programma completo della International Summer School 2017 (pdf)

Abstract delle relazioni alla International Summer School 2017 (pdf)

Il Sacro

La poesia di Hölderlin
di Martin Heidegger
(Erläuterungen zu Hölderlins Dichtung)
A cura di Friedrich-Wilhelm von Herrmann
Edizione italiana a cura di Leonardo Amoroso
Adelphi, 1988
Pagine XV-250

Né storiografia, né critica letteraria, né estetica. La modalità con la quale Heidegger legge la poesia è teoretica in un senso peculiare. Questo senso è il linguaggio. Che non è uno strumento, per quanto raffinato e fondante, ma è «quell’evento (Ereignis) che dispone della suprema possibilità dell’essere-uomo» (p. 46). L’umano è infatti un dispositivo semantico che produce significati come le stelle generano luce. Non si tratta di un bisogno ma di una struttura. La poesia esprime senso perché è ciò che Paul Valery definisce con esattezza come l’«indugiare tenuto fra suono e senso» (citato da Heidegger a p. 184).
In questo indugiare Friedrich Hölderlin ha abitato. Ha vissuto nel silenzio degli dèi e nella loro fuga, come anche nel loro rimanere tra Erde e Licht, tra Terra e Luce, e nel loro tornare in quanto Ewige Götter, eterni. In questo gioco ontologico e temporale essi sono gioia, luce e gnosi.
Una gioia così immensa che persino nel lutto il dio, «il gioioso, ridà gioia, sebbene ‘con lenta mano’. Egli non porta via il lutto, ma lo trasforma facendo presentire a coloro che sono in lutto che il lutto stesso non scaturisce se non da ‘antiche gioie’. Egli, il gioioso, è il ‘padre’ di tutto ciò che dà gioia. […] Egli, l’alto, è detto ‘l’etere’, αἰθήρ. L’ ‘aria’ che dà aria e la ‘luce’ che dà luce e la ‘terra’ che sboccia con quelle sono le ‘tre in uno’ (einige drei) in cui la dimensione serena si rasserena e fa sorgere il gioioso e nel gioioso saluta gli uomini (23).
Una luce così fonda da costituire l’essere stesso dal quale ogni divenire scaturisce e nel quale lo spaziotempo si sostanzia e si conclude. La parola greca che dice tutto questo è φύσις, quella tedesca è Lichtung, l’intricato Lucus della lingua latina, il bosco del limite e quindi della tenebra, che però nel proprio stesso limitare è confine della luce, è luce, è radura.
Gnosi perché questa tenebra è sempre intrisa di aperto e il suo destino ultimo è risplendere. È rilucere intanto nel linguaggio. Intanto tra il tempo della calma assoluta del prima della nascita e la calma inquieta del dopo la morte. Quello che resta in questo intervallo, sì, «Was bleibet aber, stiften die Dichter» (Andenken, qui p. 41), lo istituiscono i poeti.
Tutto questo è bellezza, perché «la bellezza è la presenza dell’Essere. L’Essere è il vero dell’ente» (161). L’Europa -seguendo un’altra suggestione di Valery- è la terra dove tanta bellezza tramonta e sorge di continuo, senza posa, senza certezze, senza dubbi. «L’Europa, questo promontorio e cervello, deve ancora diventare la terra di un Occaso (Land eines Abends) da cui un nuovo mattino (Morgen) del destino del mondo prepari il suo sorgere? La domanda suona pretenziosa e arbitraria. Ma ha il suo sostegno: da un lato in un fatto essenziale, dall’altro in una congettura essenziale. Il fatto è questo: la situazione presente planetario-interstellare del mondo è nel suo inizio essenziale -un inizio che non può andare perduto- da cima a fondo europeo-occidentale-greca. La congettura, d’altro lato, pensa in questa direzione: ciò che muta può farlo solo a partire dalla grandezza in serbo del suo inizio» (211).
In questo dire di Heidegger traluce la stessa inquietudine di Hölderlin, la stessa sua follia. La follia dell’antico dio sempre giovane, Dioniso: «Und wozu Dichter in dürftiger Zeit? Aber sie sind, sagst du, wie des Weingotts heilige Priester, / Welche von Lande zu Land zogen in heiliger Nacht» [Brod und Wein; e perché i poeti in tempo di privazione? / Ma essi sono, tu dici, come i sacerdoti del dio del vino / che andavano di terra in terra  nella notte sacra; p. 58].
Dioniso è fremito, metamorfosi, sorriso spietato del tempo, è divenire. Dioniso è l’ordine invisibile enunciato da uno dei filosofi più ebbri, Eraclito. Il cui frammento 54 -ἁρμονίη ἀφανὴς φανερῆς κρείσσων- viene così tradotto da Heidegger «Fuge, die ihr Erscheinen versagt, ist höheren Waltens als eine die zum Vorschein kommt [L’ordine che si ricusa all’apparire è più vigente di uno che giunge nell’apparenza]» (213).
Successivamente Heidegger così commentò questo frammento, aprendo in tal modo il pensare a una metafisica che non è l’oblio della differenza ontologica ma è la rigorosa indagine sull’invisibile che fonda il visibile: «Questo detto del pensatore preplatonico Eraclito contiene il cenno decisivo su come noi dobbiamo esperire ogni essenza greca, la natura, l’uomo, l’opera umana e la divinità: ogni visibile a partire dall’invisibile, ogni dicibile a partire dall’indicibile, ogni apparire a partire dal nascondersi. Ciò che si nasconde è più vicino all’essenza greca dello svelato: questo vive di quello» (213-214).
Né storiografia, né critica letteraria, né estetica. La modalità con la quale Heidegger legge la poesia di Hölderlin è teoretica poiché «la poesia di Hölderlin è per noi un destino. Esso attende che i mortali gli corrispondano. Che cosa dice la poesia di Hölderlin? La sua parola è: il sacro» (237). Jetzt, l’istante-ora, il καιρός, è il sacro. Oggi è il sacro.

Augenblick

Der Augenblick
Zeit und ästhetische Erfahrung bei Kant, Hegel, Nietzsche und Heidegger mit einem Exkurs zu Proust
di Günter Wohlfart
Verlag Karl Alber
Freiburg/München 1982
Pagine 182

In queste lezioni Günter Wohlfart espone una concezione/interpretazione estetico-linguistica della temporalità, nel duplice senso per cui l’arte nasce dal tentativo di comprendere il tempo e il tempo si compie nell’istante in cui accade l’esperienza del bello («Augenblick der Erfahrung des Schönen», p. 16).
I dispositivi concettuali attraverso i quali si tenta di cogliere tale dinamica in Kant, Hegel, Nietzsche, Heidegger e Proust sono l’unità delle forme temporali (passato, presente e futuro) e l’ἐξαίφνης, l’improvvisa comprensione del tempo nella mente. Ciò fa del tempo una vera e propria epifania, un’esperienza di claritas della mente. Questo è il Kαιρός la pienezza del tempo. Pienezza che traluce, senza però ancora esserlo, nel Kρόνος e nell’Aἰών.
Come somma di ‘ora’ che si aggiungono all’ ‘ora’ e poi a un altro ora, il tempo è per Hegel cattiva infinità, è «das Schicksal des in sich nicht vollendeten Geistes» (il destino dello spirito incompiuto, 67), è tempo astratto perché è astratto presente che non coglie mai se stesso in una pienezza che non rinvii sempre ad altro. Il tempo concreto è invece la vera infinità dell’ora che è ora è basta, dell’Io che è uguale a se stesso «im Sinne der absoluten Vernunftidentität» (nel senso dell’assoluta identità della Ragione, 89). In tale identità razionale dell’Io con se stesso si dà, si comprende e si esplica per Hegel il presente come καιρός, «‘das Jetzt ohne Vor und Nach’, das alle Unterschiede der Zeit in sich enthält» (il presente, l’istante-ora senza un prima e un poi, che in sé contiene tutte le differenze temporali, 69)
La parola che in Nietzsche dice καιρός è amor fati, la formula più alta della benedizione, nella quale si coniugano secondo Wohlfart il dionisiaco e l’eterno ritorno dell’identico, il dionisiaco come eterno ritorno. L’arte è quindi il tessuto della temporalità nietzscheana come temporalità del ritorno. In essa «der Augenblick der ewigen Wiederkehr ist der Augenblick der ästhetischen Epiphanie des Dionysos. […] Der Augenblick, in dem die Welt vollkommen wird, ist der Augenblick, in dem die Welt als ästhetisches Phänomen erfahren wird» (l’istante dell’eterno ritorno è l’istante dell’epifania estetica di Dioniso […] L’istante in cui il mondo è perfetto è l’istante nel quale il mondo è vissuto/esperito come fenomeno estetico, 107).
L’unità metafisica ed estetica del tempo diventa unità estatica in Sein und Zeit. Unità che Heidegger chiama Zeitlichkeit, temporalità. Avvenire, essente stato e presente non sono coniugati a posteriori in una mente o in una qualche interpretazione ma «sind gleich ursprünglich» (sono già in se stessi originari, 117). Tale unità originaria rappresenta «ein Schwerpunkt der Fundamentalontologie» (un nucleo dell’ontologia fondamentale, 123). Ontologia che in Heidegger è costitutivamente linguistica poiché si dà mondo / comprensione del mondo soltanto nel e attraverso il linguaggio, che è linguaggio del tempo nel duplice senso del genitivo: linguaggio che nel tempo accade, linguaggio nel quale il tempo parla.
Nell’Augenblick/Kαιρός «die eigentliche Zukunft heißt Vorlaufen […] Die eigentliche Gewesenheit heißt Wiederholung […] Die eigentliche Gegenwart heißt Augenblick» (il futuro autentico è precorrimento […]. L’autentico essente stato è ripetizione […] Il presente autentico è l’istante-ora, 118-120).
È in Proust che tutto questo acquista la vividezza del tempo/parola, è in Proust che l’esperienza della bellezza diventa «die Erfahrung der höchsten Aufgabe des Lebens» (l’esperienza del più alto compito della vita, 163). La memoria del corpo, la memoria involontaria, la memoria che d’improvviso (plötzlich, ἐξαίφνης) fa rinascere mondi da tazze di te, da campanili, da pavimenti sconnessi è la Mnemosyne divina, madre delle Muse e madre del linguaggio. L’opera proustiana fa splendere la parola nel tempo e il tempo nella parola.
Nel linguaggio -specialmente in quello artistico e poetico ma non soltanto in esso- l’umano dà ordine al mondo come successione di eventi. In questa unità estetica ed estatica del tempo si compie l’esistenza umana, il suo senso, il senso del morire: «Der Sinn des Daseins erfüllt sich in dem Augenblick, in dem sich die Zeit erfüllt. Es ist der Augenblick der Liebe, der der Tod gleich ist» (Il senso del vivere si compie nell’istante in cui a compiersi è il tempo. È l’istante dell’amore, identico al morire, 174). Con queste parole si chiude un percorso coerente e fascinoso dentro l’enigma della temporalità.

I «Quaderni neri» a Napoli

Giovedì 11 maggio 2017 alle 11,00 nell’Aula Franchini del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Federico II di Napoli parteciperò -insieme a Eugenio Mazzarella e Francesco Alfieri- a un seminario dedicato ai Quaderni neri di Martin Heidegger.

Una mia recensione al I volume dei Quaderni neri (link alla rivista “Discipline Filosofiche”)

Sito dedicato ai Quaderni neri

Pagina degli eventi della sezione di Filosofia del Dipartimento di Studi Umanistici

Heidegger_Napoli_11.5.2017

Ontologia

The Ontology of Time
Being and Time in the Philosophies of Aristotle, Husserl and Heidegger
di Alexei Chernyakov
Kluwer, Dordrecht, Boston, London 2002
Pagine 234

La rivoluzione copernicana attuata da Heidegger, il passare dalla centralità degli enti a quella dell’essere, ha radici molteplici e antiche. Il debito dell’ontologia heideggeriana nei confronti di Husserl è evidente. Profondo è quello verso Aristotele e Francisco Suarez.
Aristotele ha difeso contro Parmenide la piena realtà del tempo, in particolare nel IV libro della Fisica, dove Corisco che si muove è sempre Corisco e nello stesso tempo Corisco è in luoghi ogni volta diversi; identità e differenza stanno dunque nella realtà del movimento e -insieme- nella mente che lo enumera: «We distinguish between the prior (the before) and the posterior (the after) in movement because we recognize identity in diversity. […] It is only if now Coriscus is at point A, and the same Coriscus is now at point B, and the soul notes (counts) the two ‘now’ and the internal between them, that we recognize movement and what is prior and what is posterior in it» (pp. 69-70). Anche il concetto heideggeriano di Eigentlichkeit (autenticità) sarebbe la traduzione dell’aristotelica εὐπραξία, il miglior modo d’essere di ogni cosa, così come «‘εὐδαιμονία’ is to be translated into the language of the existential analytic of Dasein as ‘authenticity’ (Eigentlichkeit)» (114). Per quanto riguarda Suarez, le sue Disputationes metaphysicae hanno insistito molto sulla dimensione della finitudine umana e di ogni ente.
Il soggetto trascendentale husserliano -e prima ancora kantiano- viene assunto e oltrepassato da qualcosa di assai più completo, caldo, legato al tempo: la Cura. «Curo ergo existo’ determines a new foundation of post-modern ontology; the existentiale of care is the central concept of Heidegger’s existential analytic of Dasein, just as the trascendentale subject is the ultimate ontological fundamentum in modern philosophy since Descartes» (21). Importante è però non confondere il concetto ontologico di Cura con quello ontico di semplice preoccupazione e attenzione quotidiana alla vita. La Cura è certamente anche questo ma non è soltanto questo, poiché essa «is the common root of three constitutive structures of Dasein’s being, existentiality (Existenzialität), facticity (Faktizität) and fallenness (Verfallenheit)» (178). La Cura, in altri termini, «is the primordial articulation of time; it is that from which on time temporalizes itself» (193).

Il contributo più interessante di questo studio ricco e approfondito consiste nel legare temporalità e cura alla differenza ontologica, della quale Heidegger parla per la prima volta già nei corsi marburghesi del 1927, dove discute dei Grundprobleme der Phänomenologie. Da subito il filosofo fa propria la centralità husserliana del tempo, contro tutte le filosofie che sulla scorta dell’eleatismo negano realtà al divenire e ritengono che parole come ‘fu’ e ‘sarà’ siano dei suoni privo di significato e persino pericolosi.
In realtà, lo ‘è’ parmenideo è in se stesso plurale e diveniente. L’ora può essere statico o dinamico. Nunc stans è l’adesso che sta e permane. Nunc fluens è l’accadere degli eventi che di volta in volta sono l’ora. Nunc aeternitatis e Nunc temporis sono tra di loro diversi ma non opposti. L’eternità è infatti l’intero che scaturisce dalla potenza senza fine del divenire. L’Aἰών è la materia qui e ora, pensata tutta insieme, il Χρόνος è tale materia nella forma di un’energia senza requie che si esprime in una molteplicità innumerevole di modi e di forme. La distinzione tra l’adesso che sta e l’adesso che diviene è il nucleo più profondo della differenza ontologica, vale a dire della differenza tra l’essere e gli enti. L’adesso che sta è reale, l’adesso che diviene è reale. Gli enti sono reali, l’essere è reale. Anche questo significa che l’essere è tempo, che «onto-logy is chrono-logy» (11). La comprensione della dinamica essere/enti è la temporalità. È dunque chiaro che la mente che comprende è inseparabile dall’essere come tempo. È la medesima struttura, è lo stesso tempo che nell’umano diventa corpomente e nella materia è l’essere.
La differenza tra questi orizzonti temporali è proprio la differentia differens, la differenza che costruisce se stessa nel mentre diventa altro, che è se stessa nel divenire altro. L’identità/differenza implicita in questa formula è ciò che rende ontologicamente possibile ed epistemologicamente comprensibile sia il permanere di un ente nella varietà radicale delle sue trasformazioni sia il trasformarsi di un ente nella costanza del suo rimanere. 

Intervista sulla tecnica

Il sito SoloTablet mi ha chiesto un’intervista sulle tecnologie della Rete, sui Social Network e, in generale, sulla tecnica. È stata pubblicata lo scorso 21 marzo con il titolo Il Grande Fratello non ci guarda, siamo noi che lo guardiamo e tuttavia ne veniamo dominati.

«Il Mi piace di Facebook è la carota che si accompagna al bastone dell’insignificanza della quale si viene minacciati se non ci si sottopone a tali riti, è l’inesistenza stessa, che dal piano di un’ontologia materica è passata a quello di un’ontologia digitale che sta a fondamento di un “impero virtuale”. Ciò che sta succedendo sembra confermare le intuizioni heideggeriane sulla natura non neutrale della tecnica, sul suo costituire l’espressione di una struttura ontologica che si incarna certamente in opere e manufatti ma non è a essi riducibile; vengono confermate le tesi sul pericolo che la tecnica rappresenta quando il suo sviluppo è lasciato a se stesso o, per meglio dire, agli interessi politici che lo muovono».

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