Skip to content


Ontologie animali

L’animale non esiste
Quaderni Leif / anno XII, numero 16 / gennaio-giugno 2018
pagine 159-172

Indice del testo
Ontologia animale
Continuità animale
Differenza animale
Alterità animale

I Quaderni Leif (Semestrale del CESPES, Centro Interdipartimentale di Studi su Pascal e il Seicento) hanno pubblicato gli Atti del Convegno su Bioetica Ambiente Alimentazione che si è svolto a Catania lo scorso maggio, a cura della collega Maria Vita Romeo.
Nella mia relazione ho cercato di mostrare come in natura non si diano salti ma sviluppi, non fratture ma differenze nella continuità. Oltrepassare davvero lo specismo implica l’abbandono del concetto stesso di centralità e di primato attribuito a un qualunque ente nel mondo. Questo è uno dei significati e degli obiettivi della filosofia di Martin Heidegger, che si esprime nell’insieme di tutta la sua riflessione, compresi i Quaderni neri (per un’analisi rigorosa e filologica dei quali torno a consigliare il fondamentale libro di von Herrmann e Alfieri).
In particolare, come nota Jacques Derrida, una lettura adeguata della ricchezza e complessità del seminario del 1929-30 Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt – Endilchkeit – Einsamkeit (Concetti fondamentali della metafisica. Mondo – Finitudine – Isolamento/Solitudine) conduce molto al di là dell’antropocentrismo, che in Heidegger viene svuotato dall’interno. Ha dunque ragione Derrida a osservare che «questi sono i testi che bisognerebbe naturalmente leggere più da vicino, se si accusa Heidegger di mettere l’animale al di sotto dell’uomo, per non dimenticare che egli pretende di fare un’altra cosa, cioè dire che questa povertà non significa un meno, che anzi in un certo modo essa significa un più: un sentire la privazione che evidenzia che l’animale può sentire qualcosa mentre una pietra non ne è affatto capace» (L’animale che dunque sono, Jaca Book 2018, p. 217).
E perché l’animalità è un ‘di più’? Perché Heidegger sostiene che «non sarà possibile parlare dell’essenza dell’animalità in generale -benché nel corso del suo cammino Heidegger citi molti esempi di animali-, malgrado tutte le loro differenze (differenze, ad esempio, tra la lucertola e lo scimpanzé) senza mai mettere in questione l’appartenenza di tutti gli animali a una ‘essenza generale dell’animalità’» (Ivi, p. 214). Le differenze vanno tutte comprese, nel duplice significato che vanno capite e accolte, pervenendo così alla evidente inesistenza dell’animale al singolare collettivo. Le differenze vanno raccolte nell’oggettività che accoglie tutte le differenze: il morire.
Il tempo e la materia costituiscono fondamento, forma, struttura e modalità del mondo in ogni sua manifestazione, del reale a ogni suo livello, compresa l’animalità, tutta l’animalità, l’animalità che dunque siamo, poiché «dann bewegen wir uns immer schon in dem geschehenden Unterschied», ci muoviamo già sempre nella differenza che accade.
(Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt – Endilchkeit – Einsamkeit, «Gesamtausgabe, Band 29/30 II. Abteilung: Vorlesungen 1923-1944», herausgegeben von F.W. von Herrmann, Vittorio Klostermann, 1992, § 75, punto 4, p. 519).

 

Un abisso filosofico

Heidegger e il complicato abisso dei «Quaderni neri» 
il manifesto
8 novembre 2018
pagina 11

L’analisi che Eugenio Mazzarella dedica alla questione degli Schwarze Hefte è di grande rigore e plausibilità, ponendosi all’altezza nella quale sempre bisogna leggere Martin Heidegger. Sul manifesto ho pubblicato un articolo nel quale spero di aver restituito almeno un poco il significato e la densità del suo libro.
Nel capoverso conclusivo dell’articolo è saltata la frase finale. Riporto quindi per intero la conclusione: «Denso, intricato ed essenziale è il nodo che questo libro sa indagare, suggerendo ancora una volta che la filosofia -in Heidegger come in Eraclito, Platone, Aristotele, Spinoza, Nietzsche- è simile a una montagna, che ogni tanto degli umani cercano di scalare. Alcuni ben attrezzati arrivano alla cima, altri sono pieni di impegno ma non di strumenti e magari si fermano e tornano indietro, altri ancora pensano di aggredirla e finiscono con il precipitare. La montagna rimane lì, nell’aria e nella luce, dando respiro all’aria, riverberando luce».

Vom Ereignis

Martin Heidegger
Contributi alla filosofia (Dall’evento)
[Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), 1989]
A cura di Friedrich-Wilhelm von Herrmann
Traduzione di Franco Volpi e Alessandra Iadicicco
Adelphi, 2007
Pagine 497

Il libro che oggi vorrei segnalare è uno dei capolavori enigmatici e totali di Martin Heidegger: i Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), tradotti in italiano con il titolo Contributi alla filosofia (Dall’evento). Un mio articolo dedicato a quest’opera uscì sul numero 9/2009 della rivista Nuova Secondaria (pp. 59-61). In esso cerco di comprendere le riflessioni di Heidegger -pubblicate nel 1989 ma stese tra il 1936 e il 1938- all’interno del suo itinerario, fatto di direzioni, tornanti, soste, sentieri interrotti, riprese. Fatto dunque di un pensiero vivo, il più vivo della contemporaneità.

Spero di tornare prima o poi in modo più sistematico su quest’opera fondamentale, esoterica e insieme trasparente, dalla quale si impara che l’Essere e il Tempo si dispiegano come evento. Il Tempo-Evento va al di là di ogni soggettivismo e oggettivismo, non è la categorizzazione che la mente produce della realtà e neppure soltanto l’eterno divenire della materia. Lo Zeit-Raum è la forma nella quale «il tempo sembra essere presente in ogni cosa, sulla terra e nel mare e nel cielo», come afferma Aristotele -uno dei Maestri di Heidegger- in Physica, IV, 223 a.
Il Tempo è in ogni caso parte e sostanza della domanda fondamentale, il Tempo è la denominazione della verità dell’Essere. Non una dottrina ma, ancora una volta, un compito, un cammino, un interrogare senza fine poiché «spazio e tempo sono nella loro essenza altrettanto inesauribili quanto l’Essere stesso» (§ 241, p. 369). Anche per questo la domanda sul tempo si pone al di là di ogni coscienzialismo, al di là di ogni posizione che fa del mondo un portato della mente, che fa dello spazio un calcolo di distanze umane e fa del tempo un frutto della soggettività che rammemora o attende. Anche questo, certo, sono il mondo, lo spazio e il tempo ma la struttura in cui simili caratteri affondano non è antropologica e invece si dispiega come vibrazione (Erzitterung) e oscillazione (Erschwindung) dello spazio-tempo, come la pulsazione di tutta la materia e della mente in quanto parte di essa.
Non a caso una pagina in cui Heidegger cerca di parlare di tutto questo si apre con il verbo wagen “osiamo”: «Osiamo dire direttamente questo: l’Essere è la vibrazione (die Erzitterung) dell’accadere divino (del preludio della decisione degli dèi sul loro Dio). Questa vibrazione allarga il gioco dello spazio-tempo in cui esso stesso viene all’aperto come rifiuto. L’Essere “è” così l’evento (Er-eignis) dell’appropriazione (Er-eignung) del Ci, quell’aperto in cui esso stesso vibra» (§ 123, p. 244).

Programmi 2018-2019

Nell’anno accademico 2018-2019 insegnerò Filosofia teoretica, Filosofia della mente e Sociologia della cultura. Pubblico i programmi che svolgerò, inserendo i link al sito del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania per tutte le altre (importanti) informazioni relative ai miei corsi.

===========

Filosofia teoretica
Metafisica

Alberto Giovanni Biuso, La Metafisica si dice in molti modi, in «Rassegna storiografica decennale», vol. I, Limina Mentis 2018, pp. 177-183
Alessandra Penna, La costituzione temporale nella fenomenologia husserliana 1917/18 – 1929-34, Il Mulino 2007 (Introduzione; cap. I, §§  1, 3, 4; cap. IV, §§ 1, 2)
Edmund Husserl, Esperienza e giudizio, Bompiani 2007 (§§ 36, 38, 39, 42, 64 e Appendice I)
Martin Heidegger, Introduzione alla metafisica, Mursia 1979
Alberto Giovanni Biuso, Temporalità e Differenza, Olschki 2013
Alberto Giovanni Biuso, Heidegger e Sofocle: una metafisica dell’apparenza, in «Engramma», n. 150, ottobre 2017, pp. 154-161

===========

Filosofia della mente
Tempo della mente e Tempo del mondo

Martin Heidegger, Il concetto di tempo, Adelphi 1998
Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi 2017, capitoli dall’1 all’8 e 12-13
Lee Smolin, La rinascita del tempo. Dalla crisi della fisica al futuro dell’universo, Einaudi 2014
Arnaldo Benini, Neurobiologia del tempo, Raffaello Cortina 2017
Alberto Giovanni Biuso, Aiòn. Teoria generale del tempo, Villaggio Maori Edizioni 2016

===========

Sociologia della cultura
Dismisura

Rocco De Biasi, Che cos’è la Sociologia della cultura, Carocci 2008
Olivier Rey, Dismisura. La marcia infernale del progresso, Controcorrente 2016
Giuseppe Frazzetto, Artista sovrano. L’arte contemporanea come festa e mobilitazione, Fausto Lupetti Editore 2017
Alberto Giovanni Biuso, «Anarchismo e antropologia. Per una politica materialistica del limite» in La pratica della libertà e i suoi limiti – Libertaria 2015, pp. 102-125

I taccuini di Heidegger

Friedrich-Wilhelm von Herrmann
Francesco Alfieri
Martin Heidegger. La vérité sur ses Cahiers noirs
Traduit de l’italien et de l’allemande par Pascal David
Gallimard, Paris 2018
Pagine 487

Dopo la traduzione in tedesco (Duncker & Humblot, 2017) esce anche quella in francese di un libro destinato a rimanere tra i più lucidi e significativi nella assai estesa bibliografia heideggeriana: Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri, di Friedrich-Wilhelm von Herrmann e Francesco Alfieri (Morcelliana, 2016). Il volume, elegante come sempre accade con Gallimard e tradotto con grande cura da Pascal David, è stato pubblicato nella prestigiosa collana «L’infini». La Postface ha il significativo titolo Retour aux sources, ritorno alle fonti. David afferma che lo studio e la traduzione di questo libro gli hanno aperto «de nouveaux horizons» (449), come accade a tutti coloro che leggono e leggeranno senza pregiudizi La verità sui Quaderni neri.
La ricchezza della documentazione testuale, il rigore filologico, la profondità esegetica del libro costituiscono un gesto teoretico che indica ai lettori e agli studiosi i contenuti, il contesto, le condizioni e la fecondità di quelli che più correttamente si dovrebbero chiamare i Quaderni di lavoro heideggeriani, i suoi taccuini. «Les Cahiers noirs», infatti, «ne sont intelligibles que rapportés aux grands traités dont ils accompagnent la gestation et la rédaction à titre, pour ainsi dire, de marginalia» (‘sono comprensibili solo in relazione ai grandi trattati dei quali accompagnano la gestazione e la redazione, come -per così dire- dei marginalia’; 452). E questo conferma che sui testi e sul pensiero di Martin Heidegger bisogna esercitare una analisi sempre ontologica e mai soltanto ontica.
Se non si procede in questo modo, grande è il rischio di non comprendere una prospettiva complessa, rizomatica e radicale, proiettando su di essa preoccupazioni, termini e obiettivi che nulla hanno a che fare con il tentativo heideggeriano di restituire alla filosofia il compito di leggere in modo complesso la complessità del mondo. La vérité che dà titolo al libro è stata, specialmente negli anni più recenti, «quelque peu malmenée par leur réception médiatique et académique, qu’il ne s’agit pas seulement ici de rétablir, mais de dégager, de faire apparaitre selon le geste phénoménologique de la monstration, à l’encontre de toute occultation ou contrefaçon, en la laissant se dire par elle-même» (‘così maltrattata dalla sua ricezione mediatica e accademica, che non si tratta soltanto di ristabilirla, ma di renderla chiara, di farla apparire tramite il gesto fenomenologico del mostrare, contro ogni occultamento o contraffazione, lasciandola parlare da sé’; 449).
Dare la parola a Heidegger, accompagnando il lettore lungo i suoi itinerari. È questo che von Herrmann e Alfieri hanno saputo fare in modo magistrale, come conferma il meritato successo internazionale dell’opera, la quale è in corso di traduzione anche in portoghese, rumeno, inglese, lettone, russo, cinese, ceco, spagnolo.

[Il numero 1/2017 del Giornale di Metafisica pubblicò una mia ampia analisi dell’edizione italiana del libro]

La Cura

Who by Fire
di Leonard Cohen (1974)
Live In London (2009)

[audio:https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2018/08/Who-By-Fire-Live.mp3]

Versione video

And who by fire, who by water,
who in the sunshine, who in the night time,
who by high ordeal, who by common trial,
who in your merry merry month of may,
who by very slow decay,
and who shall I say is calling?

And who in her lonely slip, who by barbiturate,
who in these realms of love, who by something blunt,
and who by avalanche, who by powder,
who for his greed, who for his hunger,
and who shall I say is calling?

And who by brave assent, who by accident,
who in solitude, who in this mirror,
who by his lady’s command, who by his own hand,
who in mortal chains, who in power,
and who shall I say is calling?

Attraversando gli elementi -fire, water-; nelle ore più diverse -sunshine, night time-; chi in un allegro maggio e chi in un lento decadere; chi per un qualche decreto divino e chi per umana violenza; chi dando stoicamente il proprio assenso e chi senza nulla saperne; chi in catene e chi al potere; chi in solitudine e chi per amore. Tutti si muore.
Perché morire «è la possibilità della pura e semplice impossibilità d’esserci» (Heidegger, Essere e tempo, trad. di Alfredo Marini, Meridiani Mondadori, § 50, p. 709), una possibilità sempre certa e sempre indeterminata. L’umano non ha una fine «bensì esiste in modo finito» (§ 65, p. 927) ed è per questo che die Sorge, la Cura che sempre ci accompagna, è un essere per la morte.
I versi e la musica di Cohen ben esprimono il fatto che angoscia è lo stare al mondo in quanto tale. Nulla a che vedere con tristezze, depressioni o paure ma il semplice esistere e la sua complessità. «L’esserci fattizio esiste per nascita, e per nascita muore anche proprio nel senso dell’essere-alla morte. Entrambi i “capi” e il loro “trasono, finché l’esserci fattiziamente esiste, ed essi sono in quel modo che unicamente è possibile sulla base dell’essere dell’esserci come cura. Nascita e morte si “connettono”, nel modo che è proprio dell’esserci, nell’unità di dejezione e sfuggente o precorrente essere-alla-morte. In quanto cura, l’esserci è il “tra”» (§ 72, p. 1051).
Nella versione originale -a pagina 495 del volume 2 della Gesamtausgabe– il testo suona in modo meno freddo rispetto a questa traduzione: 

«Das faktische Dasein existiert gebürtig, und gebürtig stirbt es auch schon im Sinne des Seins zum Tode. Beide ‘Enden’ und ihr ‘Zwischen’ sind, solange das Dasein faktisch existiert, und sie sind, wie es auf dem Grunde des Seins des Daseins als Sorge einzig möglich ist. In der Einheit von Geworfenheit und flüchtigem, bzw. vorlaufendem Sein zum Tode ‘hängen’ Geburt und Tod daseinsmäßig ‘zusammen’. Als Sorge ist das Dasein das ‘Zwischen’».

Heidegger afferma infatti che l’essere gettati nel mondo e l’essere mortali costituiscono la profonda unità e tonalità dell’esistere; sono essi il ‘tra’ della Cura, dell’esistenza ‘fattizia’, quotidianamente immersa negli elementi, nel tempo, nei decreti del mondo, nel sapere e nell’ignorare, nella solitudine e nei «realms of love».
«Who shall I say is calling?» A chiamare è la Cura.

Totem

William Golding
Il Signore delle Mosche
(Lord of the Flies, 1954)
Traduzione di Filippo Donini
Bibliotex, 2002
Pagine 224

«Niente pietà» (p. 31) nel gorgo dell’umano alla sua nascita. Precipitati nello spazio vergine di un’isola-foresta e lasciati al tempo che rinasce dal suo vuoto, un gruppo indefinito di ragazzini mostra le categorie più fonde, gli esistenziali più potenti, le leggi naturali dell’Homo sapiens. Che sono norme di potenza e di sopraffazione, pronte a generare un ambiente dentro il quale l’ammissione che «le leggi sono l’unica cosa che abbiamo» (99) e l’interrogativo su «che cosa è meglio: la legge e la salvezza o la caccia e la barbarie?» (199) vengono ben presto irrisi e si dissolvono in un’«un’autorità irresponsabile» (176), nell’urlo che selvaggia, nel «peso di un’autorità senza nome» (201), in una forza inesorabile, la morte.
La novità di «un tempo in cui la vita era così piena che si poteva fare a meno della speranza» (63) si volge, si trasforma e trasfigura nello spaziotempo fantasmatico, silenzioso e ululante di una maschera e «a quella maschera non si poteva disubbidire» (69).
Non genesi storica della società, non un contratto sociale, non l’ulteriore variazione sul buon selvaggio, non psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza, non distopia ma descrizione dell’umano nella profondità del suo buio e della sua follia, ché tali siamo: folli di qualcosa che ci sfugge. È questa probabilmente «la malattia fondamentale dell’umanità» (97).
Un totem, un simbolo, una figura, una metonimia e una metafora condensano il male che è l’umano: «Erano innumerevoli, nere e d’un verde iridescente e di fronte a Simone il Signore delle Mosche ghignava, infilzato dal bastone. Alla fine Simone cedette e riaprì gli occhi: vide i denti bianchi, gli occhi velati, il sangue…e restò affascinato, riconoscendo qualcosa di antico, di inevitabile» (152), la nostra carne, la nostra volontà, il nostro gesto, l’origine e il destino.
«Die Selbstvernichtung des Menschentums besteht nicht darin, daß es sich beseitigt, sondern daß es sich jeweils die Geschlechter züchtet, in denen ihm seine Herrlichkeit bestätigt wird, ohne daß diese Blendung als Verblendung sich bloßstellen ließe».
[‘L’autoannientamento dell’umanità non consiste nel fatto di dissiparsi, bensì nel fatto di allevare di volta in volta le stirpi in cui le viene confermata la sua magnificenza, senza che questo miraggio si lasci scoprire come un accecamento’. Martin Heidegger, «Gesamtausgabe», Band 96, IV Abteilung: Hinweise und Aufzeichnungen, Überlegungen XII-XV [18-19], Schwarze Hefte 1939-1941, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 2014, p. 181; Quaderni neri 1939-1941].

 

Vai alla barra degli strumenti