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Europa, nostra madre

In un momento nel quale l’Europa accelera la propria fine assorbita in un Occidente che si illude di muovere guerra al resto del mondo e di poter nonostante questo sopravvivere. In un momento nel quale le tendenze barbariche della cosiddetta cancel culture mostrano una rozzezza culturale, simbolica e linguistica che forse per la prima volta prende la parola dopo la fine dell’Impero romano. In un momento nel quale l’Unione Europea è al completo servizio degli Stati Uniti d’America. In un momento nel quale la fonte da cui ho assorbito bellezza e significato, l’Europa, viene ogni giorno immiserita dalle sue classi dirigenti, ribadisco l’ordine delle mie identità: sono e mi sento prima di tutto europeo, poi siciliano e infine italiano.
Testimoniano questa Stimmung tre voci diverse, complementari e convergenti.

La prima è la chiarezza con la quale Eugenio Mazzarella afferma che l’identità dell’Europa è un patrimonio che va difeso «e che dobbiamo sapere rivendicare»1 non soltanto e non tanto per l’Europa ma per la sopravvivenza dell’intero ecumene umano. Per questo è necessario che l’Europa ci sia, che abbia un futuro e che guardi al passato in tutta la multiforme complessità della storia universale. Solo chi è consapevole della propria identità può infatti davvero accogliere la differenza.

La seconda voce è quella teoretica e drammatica di Edmund Husserl, che così conclude l’ultima sua grande opera:
«Quella ‘crisi dell’esistenza europea’ di cui oggi tanto si parla, e che è documentata da innumerevoli sintomi di dissoluzione, non è un oscuro destino, non è una situazione impenetrabile; essa diventa comprensibile e trasparente sullo sfondo di quella teleologia della storia europea che la filosofia è in grado di illuminare. Ma la premessa di questa comprensione è che si riesca innanzitutto a cogliere il nucleo essenziale e centrale del fenomeno ‘Europa’. Per penetrare il groviglio della ‘crisi’ attuale, era indispensabile elaborare il concetto Europa in quanto teleologia storica di fini razionali infiniti; era indispensabile mostrare come il mondo europeo sia nato da idee razionali, cioè dallo spirito della filosofia. La crisi poté così rivelarsi come un apparente fallimento del razionalismo. Ma la causa del fallimento di una cultura razionale sta — come abbiamo detto — non nell’essenza del razionalismo stesso ma soltanto nella sua manifestazione esteriore, nel suo decadere a ‘naturalismo’ e a ‘obiettivismo’.
La crisi dell’esistenza europea ha solo due sbocchi: il tramonto dell’Europa, nell’estraniazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta nell’ostilità allo spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell’Europa dallo spirito della filosofia, attraverso un eroismo della ragione capace di superare definitivamente il naturalismo. Il maggior pericolo dell’Europa è la stanchezza. Combattiamo contro questo pericolo estremo, in quanto ‘buoni europei’, in quella vigorosa disposizione d’animo che non teme nemmeno una lotta destinata a durare in eterno; allora dall’incendio distruttore dell’incredulità, dal fuoco soffocato della disperazione per la missione della ‘terra del tramonto’ [des Abendlandes], dalla cenere della grande stanchezza, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiritualità, il primo annuncio di un grande e remoto futuro dell’umanità: poiché soltanto lo spirito è immortale»2.

Infine le sagge parole di uno dei più profondi conoscitori della cultura europea sia ‘alta’ sia ‘popolare’, l’antropologo Ernesto De Martino, il quale scrive con limpida determinazione che «non è possibile rendersi esterno alla civiltà di cui si fa parte. […] Per l’europeo la sua civiltà è il suo stesso pensiero, ed è qualche cosa di più: un bene da difendere, da accrescere, da dilatare. […] Non si può porre la propria civiltà accanto alle altre e tutte considerarle come prospettive alla pari, da scegliere come punti di vista giudicanti. Non si vince così il ‘provincialismo’ culturale: si deve dialogare col mondo, ma la propria parte bisogna conoscerla bene, altrimenti si rischia di cadere in un enorme pettegolezzo, in un chiacchierare  ambiguo e sciocco, in un camaleontismo che simula l’apertura e la varietà di interessi, ma che è soltanto la maschera di una abdicazione senza limiti. Del resto dov’è mai questo crollo dei valori europei? Se per Europa si intende non già una designazione geografica, ma un orientamento della vita culturale, ciò che di impegnativo e di decisivo è oggi nel mondo si chiama Europa. Europa è la cultura americana, europeo è il marxismo che ha alimentato la rivoluzione russa e quella cinese, europeo è il Cristianesimo, europea è la scienza che ha condotto all’era atomica»3.

Lunga vita dunque all’Europa, nostra madre.

Note
1. Eugenio Mazzarella, Europa Cristianesimo Geopolitica. Il ruolo geopolitico dello ‘spazio’ cristiano, Mimesis, Milano-Udine 2022, p. 16.
2. Edmund Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie. Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie, trad. di E. Filippini, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Introduzione alla filosofia fenomenologica, avvertenza e prefazione di Enzo Paci, Il Saggiatore, Milano 1975, ‘Testi integrativi’, A. ‘Dissertazioni’, ‘La crisi dell’umanità europea e la filosofia’, III, pp. 357-358, con alcune mie varianti alla traduzione.
3 Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, nuova edizione a cura di G. Charuty, D. Fabre e M. Massenzio, Einaudi, Torino 2019, p. 262.


 

Guerra

Céline. Sulla guerra, contro la guerra
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
9 giugno 2023
pagine 1-4

Da alcune settimane è in libreria Guerra di Céline, un libro il cui manoscritto era stato trafugato nel 1944, che è stato ritrovato ed edito da Gallimard nel 2022 e adesso in Italia da Adelphi.
La musica di questo romanzo comincia con una dichiarazione che poi tutto lo intride, lo guida, lo determina, lo spiega:  «Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa». Una guerra che il caporale Destouches (il vero nome di Céline) odia, pur essendo insignito della «Croce di Guerra», pur essendo stato eroe coraggioso ed esempio per gli altri soldati. Odio e orrore che abitano e gorgogliano in pagine nelle quali pulsa per intero la potenza di uno degli scrittori più grandi della letteratura universale.
Questo capolavoro coglie e restituisce la guerra come nessun’altra opera che io conosca; ci aiuta a capire in modo profondo e radicale anche la guerra in corso della NATO contro la Russia tramite l’Ucraina e ci fa chiedere che essa finisca. Perché la guerra è un fatto, una catastrofe, una potenza antica dentro la quale l’umano abita e si perde, diventando la sua mente nella guerra «ormai solo una corrente d’aria di uragani».

 

L’umano, la guerra

Giovedì 11 maggio 2023 alle 18,00 si terrà nell’aula 252 del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania il terzo e ultimo incontro del ciclo che l’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU) sta dedicando a Guerre ed Europa.
Il tema generale è Scenari di guerra contemporanea.
Il mio intervento analizzerà La passione umana per la guerra e sarà parte di una riflessione svolta insieme ai due colleghi dell’Università di Catania Alberto Andronico (Professore di Filosofia del diritto nel Dipartimento di Giurisprudenza) e Gianni Piazza (Professore di Sociologia dei fenomeni politici al Disum e nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali).
Una vera scienza della guerra non può limitarsi alla storia, alla sociologia, alla psicologia, alla tattica e alla strategia, non può limitarsi all’apparente razionalità delle sue cause, delle forme e degli scopi, ma deve cogliere la struttura arcaica del massacro, le forze profonde che spingono l’essere vivente e razionale a intraprendere la distruzione di ogni cosa e di se stesso.

 

Eufemismi

Eufemismi totalitari
Aldous, 6 aprile 2023

In questo breve articolo discuto di un film ambientato in un mondo nel quale gli umani non sanno nulla del passato ed esistono in un presente fatto di cielo terso, di sorrisi, di «scusami» «accetto le tue scuse», di completa trasparenza nella quale nessuno può mentire, di un linguaggio politicamente e semanticamente correttissimo che ha eliminato ogni termine che non sia «inclusivo, sostenibile, non discriminante, non offensivo, neutro». In pratica non parlano di nulla e si avviano sorridenti e tranquilli ogni giorno al loro destino di vuoto.
Questi e altri elementi descrivono il fondamento politico e metafisico del Politically Correct, della Cancel Culture, dei movimenti Woke Gender: l’ossessione per un’identità che annulli realtà e linguaggio delle differenze.
Il pensiero unico che ha prodotto la tragedia dell’epidemia Covid19 e che sta saggiando nel cuore dell’Europa la possibilità di cancellare millenni di cultura (ché questo sostanzialmente significa la guerra contro la civiltà slava ancora difesa dalla Russia contro il dominio anglosassone) ha le stesse tendenze, fattezze, principi morali, eufemismi e linguaggi del mondo perfetto, esangue e totalitario descritto in questo film.

Nietzsche / Mazzarella / Pólemos

Lunedì 20 marzo 2023 alle 12.00 nell’aula A7 del Dipartimento di Scienze Umanistiche (Disum) dell’Università di Catania Simona Venezia – professore associato di Filosofia teoretica nell’Università Federico II di Napoli – terrà una lezione per gli studenti del corso magistrale di Scienze filosofiche (ma aperta a tutti) dedicata al Nietzsche di Eugenio Mazzarella. La Prof. Venezia presenterà e discuterà il volume Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita. L’evento è organizzato dall’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU).

Lo stesso giorno si terrà un altro evento organizzato dall’ASFU: il primo incontro di un ciclo dedicato a Guerre ed Europa. L’argomento è il pólemos nel mondo greco e romano e a parlarne saranno Margherita Cassia (Professore Associato di Storia Romana), Monica Centanni (Professore Ordinario di Lingua e Letteratura Greca) e Domenico Tempio (Ricercatore di Storia Greca).

Resilienza

Resilienza
Aldous, 23 febbraio 2023

Il resiliente è il cittadino che non si ribella. Mai. Che si ritiene abbastanza forte da vivere libero nonostante l’autonascondimento della propria schiavitù. Che introietta il trauma vedendo in esso un fattore di miglioramento e di serena rassegnazione. Che cerca di resistere al dominio iniquo non ribellandosi a esso ma aspettando che passi. Il transito di questa parola dall’ingegneria e dalla scienza dei materiali all’ingegneria del materiale umano è stato promosso dal libro di uno psichiatra – Boris Cyrulnik – il cui non casuale titolo è Un merveilleux malheur (Editions Odile Jacob 1999), Il dolore meraviglioso, nella traduzione Frassinelli del 2000, ma che si potrebbe anche tradurre come una meravigliosa disgrazia.
Ma anche qui niente di particolarmente nuovo. Come siciliani conosciamo da secoli il resiliente invito racchiuso nelle parole «Calati junco ca passa la china», piegati o giunco, sino a che non sarà trascorsa la piena. Il rischio però è che la piena trascini con sé tutti noi.

Robert Capa / La guerra

Robert Capa. Nella storia
Museo della Culture (Mudec) – Milano
A cura di  Sara Rizzo, in collaborazione con Magnum Photo
Sino al 19 marzo 2023

«Se le tue foto non sono abbastanza buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino». A dirlo è Endre Ernő Friedmann, che da fotografo prese il nome di Robert Capa. E infatti finì la sua breve vita (era nato a Budapest nel 1913), durante l’ennesimo reportage di guerra, nel 1954, in Indocina/Vietnam, saltando su una mina antiuomo.
La guerra è il tema principe della sua arte, ma non è l’unico. E soprattutto la guerra non sono i morti e le distruzioni ma l’umanità viva davanti ai morti, immersa nella distruzione, nel tentativo di scampare, nella festa per la guerra che si conclude. La guerra non è decisa da nessuno ma sono gli umani – e tra loro soprattutto i potenti – a essere decisi da essa.
La guerra è una passione mortale, la cui natura suggerì ai Greci di trasformare in amanti Ares e Afrodite. La costanza della guerra nonostante la sua devastante irrazionalità è essa stessa prova e indizio di una razionalità ben espressa dall’ironia di Euripide. In Ὀρέστης, infatti, Apollo spiega la ragione antropodecentrica per la quale gli dèi permettono, organizzano, assistono, vogliono la guerra tra gli umani: «θανάτους τ᾽ ἔθηκαν, ὡς ἀπαντλοῖεν χθονὸς / ὕβρισμα θνητῶν ἀφθόνου πληρώματος», «tante morti vollero, per sgravare la terra dall’insolenza d’una ciurma d’uomini sterminata» (vv. 1641-1642). Comprendere dunque «la fusione tra bellezza e violenza, tra terrore e amore – il terribile amore per la guerra» (Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi 2005, p. 133) significa riconoscere la ferocia della guerra riuscendo tuttavia a spiegare perché essa sia così costante e così coinvolgente.
Questo terribile amore per la guerra percorre le opere di Capa.
I profughi tedeschi che il 24 marzo 1945 lasciano le loro case e i campi ridotti in cenere.

 

I bambini cinesi di Hankou che giocano nella neve durante la guerra Cino-giapponese nel 1938.

CHINA. Hankou. March, 1938. Children playing in the snow

Le donne di Mosca che ballano tra di loro nel 1947 anche perché molti uomini sono morti al fronte (immagine di apertura)

Lev Trotsky che a Copenhagen il 27 novembre 1932 esercita tutto il proprio fascino e forza retorica per sostenere «la rivoluzione permanente», vale a dire la guerra permanente.
DENMARK. Copenhagen. November 27th, 1932. Leon Trotsky lecturing

Come si vede, non ci sono cadaveri qui. C’è la vita umana prima, durante e dopo la guerra. La vita umana sempre.

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