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«Mai sbiadirà»

Enola Gay
da Organisation
(1980)
di Orchestral Manoeuvres in the Dark (OMD)

«Enola Gay, you should have stayed at home yesterday
Oho words can’t describe the feeling and the way you lied
These games you play, they’re gonna end it all in tears someday
[…]
Oho Enola Gay, it shouldn’t fade in our dreams away
It’s 8.15, and that’s the time that it’s always been
[…]
Enola Gay, is mother proud of little boy today
Oho this kiss you give, it’s never ever gonna fade away»

Non sbiadirà mai il più grande crimine contro l’umanità perpetrato nell’età contemporanea.
Nessuna Norimberga, nessun Tribunale dei Diritti Umani lo ha punito, poiché è stato commesso dai vincitori.
Contrariamente a ciò che molti pensano, da quel 6 agosto del 1945 la pace è impossibile, perché Hiroshima è ovunque e può essere sempre.

[audio:Enola_Gay.mp3]

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Corpi / Forme

Safet Zec
Milano – Rotonda della Besana
Sino al 15 luglio 2012

I primi dipinti dell’artista bosniaco Safet Zec erano delle pulite e banali rappresentazioni figurative del mondo. Ma da molto tempo, almeno da quando è stata inventata la macchina fotografica, non ha più senso per la pittura rincorrere la cosiddetta “realtà”. E infatti Zec, pur rimanendo figurativo, ha sporcato poi le sue opere con la densità di un bianco e nero che sembra rapprendersi dal dolore stesso dei corpi, degli alberi, degli oggetti. Corpi in guerra, lacrime e sangue come lame sulla tela. Ma corpi anche perfetti, al modo di Mantegna. Zec è un artista rinascimentale, che scolpisce sulla tela le forme.
La varietà dei soggetti -facciate di palazzi veneziani, tavole imbandite, nature morte, vittime degli orrori bellici, alberi e case, corpi che si abbracciano, letti sfatti- è funzionale alla costanza della forma, a un impasto di colori e di interiorità che emerge dalla tela e colpisce dritto la mente.

«Economic Sense» e filosofia

Per fortuna temono ancora le parole. Definiscono “governo di tecnici” il governo dei banchieri; chiamano Spending review (insopportabili anglicismi da colonizzati) la sottrazione di risorse alla sanità, ai trasporti pubblici, ai servizi per i cittadini. L’Università è riuscita per ora a evitare che 200 milioni di euro le venissero rubati a favore delle scuole private. Ma l’esercito non è stato in pratica toccato, l’acquisto di centinaia di cacciabombardieri F-35 è in bilancio, lo spreco criminale di soldi pubblici nel Treno ad Alta Velocità è diventato un dogma di fede per tutti i partiti, le spese per far guerra all’Afghanistan e all’Iraq continuano.
Il fatto è che il capitalismo ha vinto le ultime due guerre mondiali: la Seconda sui campi di battaglia e la Guerra fredda sui campi della geopolitica. Chi vince impone le proprie assurdità. Come l’ultraliberismo che il premio Nobel per l’economia Paul Krugman, docente a Princeton, e Richard Layard, direttore del centro studi della London School of Economics, giudicano un errore rovinoso. Nel Manifesto for Economic Sense da loro promosso e pubblicato sul Financial Times -niente di sovversivo quindi- i due studiosi scrivono tra l’altro:

«Le cause. Molti responsabili politici insistono sul fatto che la crisi è stata causata dalla gestione irresponsabile del debito pubblico. Con pochissime eccezioni –come la Grecia– questo è falso. Invece, le condizioni per la crisi sono state create da un eccessivo indebitamento del settore privato e dai prestiti, incluse le banche sovra-indebitate. Il crollo della bolla ha portato a massicce cadute della produzione e quindi del gettito fiscale. Così i disavanzi pubblici di grandi dimensioni che vediamo oggi sono una conseguenza della crisi, non la sua causa.
[…]
Il Fondo Monetario Internazionale ha studiato 173 casi di tagli di bilancio dei singoli paesi e ha scoperto che il risultato coerente è la contrazione economica. Nella manciata di casi in cui il consolidamento fiscale è stato seguito da una crescita, i canali principali erano un deprezzamento della valuta nei confronti di un mercato mondiale forte, una possibilità non disponibile al momento. La lezione dello studio del FMI è chiara: i tagli al bilancio ritardano la ripresa. E questo è ciò che sta accadendo ora: i paesi con i maggiori tagli di bilancio hanno avuto le più pesanti cadute dell’output». [Una traduzione di questo Manifesto si può leggere su Keynes blog ]

Davvero sono delle affermazioni di buon senso economico, che però il puro ideologismo dei banchieri che governano la finanza mondiale si rifiuta di comprendere e di praticare, preferendo la catastrofe sociale e umana pur di salvare non i popoli ma le banche e le loro operazioni speculative. Banche che se vincono le loro scommesse d’azzardo -questo è di fatto “il Mercato”- incassano il danaro; se perdono, chiedono e ottengono che siano i cittadini a ripianare i loro debiti. È quello che sta succedendo a partire dal fallimento della Banca Lehman Brothers nel 2008.

Armi, guerre, speculazioni finanziarie, totale disinteresse verso le sorti del pianeta mentre la catastrofe ambientale si avvicina inesorabile. Sembra che una vera e propria pulsione autodistruttiva stia dominando i decisori politici e i popoli che ne seguono i dettami. Lo sguardo filosofico tutto questo lo sa. La filosofia è il regno della libertà, è il luogo di un potere altro, un potere senza armi, senza leggi, senza polizie, senza preti, senza banche, senza padroni. Il potere dell’entità che conoscendo se stessa apprende il nucleo dal quale si generano ogni sapienza e ogni luce. Questo senso e questa libertà accadono qui e ora ogni volta che un barlume di intelligenza spezza l’oscurità e fa vedere.

Al-Ciaeda

Nel «mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso» (Guy Debord, Opere cinematografiche, Bompiani, p. 54). I media e la politica che li controlla sembra che vogliano confermare ogni giorno quest’affermazione di Debord. Quando il rovesciamento tocca i popoli, i bambini, le guerre, diventa un crimine. Ricordiamo: il Segretario di Stato Colin Powell dichiarò solennemente davanti all’Assemblea dell’ONU che l’Iraq di Hussein deteneva “armi di distruzione di massa” e per questo andava invaso. Armi che poi si ammise non esistevano; la Libia è stata smembrata e distrutta anche perché Gheddafi venne accusato di aver massacrato decine di migliaia di suoi concittadini, buttati poi nelle fosse comuni. Tali fosse si disse poi che erano una fantasia. Adesso è il turno della Siria.
Invito a leggere un dettagliato e assai chiaro articolo di Paolo Sensini dal titolo Di ritorno dalla Siria. Appunti sulla geopolitica del caos, che dimostra in modo documentato e diretto che cosa veramente sta accadendo in quel Paese. Le menzogne del media mainstream che tutti ci condiziona emergono con chiarezza. Colpisce, in particolare, il fatto che gli USA e la Nato sostengano in Siria -come hanno fatto in Iraq e in Libia- i movimenti islamisti radicali che combattono il regime di Assad, quei movimenti che vengono accusati dagli stessi USA e dalla Nato delle peggiori nefandezze, compreso l’attacco alle Torri di New York.
Il documento si può scaricare a questo link. Per i più pigri ho evidenziato i brani secondo me più significativi. Alcuni li riporto anche qui sotto. Perché una delle condizioni per essere liberi è essere informati.

«Bernard Lewis presentò alla Conferenza del 1979 del Gruppo Bilderberg una strategia britannico-americana “approvata dal movimento estremista Fratellanza Musulmana […], con lo scopo di promuovere la balcanizzazione dell’intero Vicino Oriente musulmano lungo linee di divisione tribali e religiose”. […]
Nessuna menzione invece ai “rapimenti, alle torture, alle esecuzioni sommarie, alle mutilazioni e alle pratiche criminali commesse dai gruppi armati che si oppongono al regime siriano”, come ha dovuto ammettere anche l’organizzazione non-governativa Human Rights Watch in un suo rapporto pubblicato il 20 marzo 2012, cioè dopo più di un anno di distanza da quando i terroristi imperversano in Siria. […]
L’obiettivo primario di queste sollevazioni eterodirette è stato fin dall’inizio di frantumare la società siriana, infliggere quante più perdite possibili all’esercito di Assad, dividere il paese su linee etnico-confessionali, paralizzare la produzione agricola, industriale, artigianale. […]
Madre Agnes-Mariam de la Croix espone una realtà molto diversa dal quadro che, volente o nolente, si è raffigurato in Occidente sui fatti siriani. Senza interrompere la sua attività di pittrice per “guadagnarsi il pane” e fare andare avanti i lavori di sistemazione dello splendido Monastero che condivide con un’altra ventina tra suore e frati provenienti da varie parti del mondo, mi parla di “persone spacciate per morte ad uso televisivo e che morte invece non erano”, di “individui uccisi e orribilmente mutilati affinché le loro morti potessero essere attribuite alle violenze dell’esercito siriano, ma che invece erano stati assassinati dai cosiddetti ‘ribelli’ a beneficio delle troupes dei grandi network”. Parla ancora di “violenze inaudite su bambini, di stupri, di mutilazioni di seni, di uccisioni seriali di cristiani presenti nelle città teatro delle rivolte dei fanatici islamisti, di omicidi compiuti anche ai danni di sunniti che non condividevano la loro violenza belluina”. Parla di tutto ciò che ha potuto appurare in prima persona, senza frapporre tra sé e i fatti alcun filtro televisivo o giornalistico, ma la sua testimonianza non viene raccolta da nessun mezzo di comunicazione, neppure da quelli cattolici. Non rientrando nei canoni del “politicamente corretto”, la sua voce fuori dal coro risulta sgradita ai corifei del Big Brother».

Più morti degli altri

Da Televideo di oggi

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11/03/2012 10:06

Afghanistan: militare Usa spara a civili

È di almeno 10 morti e 5 feriti il bilancio della strage provocata da un militare americano in due località della provincia di Kandahar, in Afghanistan. Lo scrive il Washington Post online citando Javed Faisal, il direttore del media center del governo provinciale, contattato per telefono. Un comunicato militare Isaf esprime “rammarico per l’incidente”. Tuttavia, secondo il governatore di Kandahar, Weesad, i morti sarebbero almeno 16.
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Questi morti non valgono nulla. Le loro età, condizione, speranze, vite, distrutte e spezzate dallo «spiacevole incidente» sono e saranno una fuggevole notizia sui telegiornali e sui quotidiani. Il “rispetto per la vita umana” è una delle più grottesche menzogne che i potenti di ogni colore -soprattutto i più democratici e i più cristiani- sbandierano per gli allocchi che ci credono.
Di un solo italiano ucciso in Nigeria si parla da giorni; i due marinai italiani assassini in India stanno diventando quasi degli eroi; questi afghani vittime della follia statunitense meriteranno soltanto un trafiletto. Eh sì, «tutti i morti sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri».
Dato che -diversamente dai cristiani occidentali portatori di civiltà- non credo al valore intangibile della vita umana, auguro agli statunitensi e ai loro servi di rimanere pure loro vittima di qualche «incidente particolarmente spiacevole».

 

Al termine

Viaggio al termine della notte
Da Louis-Ferdinand Céline, di e con Elio Germano e Teho Teardo
Teatro elfo puccini – Milano
Musica Teho Teardo, al violoncello Martina Bertoni
Lettura scenica in forma di concerto
Produzione: Fondazione Teatro Piemonte Europa
Sino al 19 febbraio 2012

Vibrano la chitarra e il violoncello elettrici. Vibrano di note aspre e tuttavia armoniose. Come aspra e armoniosa -di una perfezione cercata con il cesello- è la scrittura di Céline, intessuta e materiata di un linguaggio senza modelli, insieme gergale ed elegante, immediato e costruito, sensuale e plebeo, senza mai essere volgare. Il corpovoce di Elio Germano modula la petite musique del Voyage au bout de la nuit cercando di comunicare tutta la passione che questo scrittore ha avuto per l’umano e per le cose. Passione nel senso di una sofferenza profonda e passione come slancio verso una comprensione dell’oscuro itinerario che è l’esistenza consapevole di sé. «La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte» (trad. di E.Ferrero, Corbaccio 1995, p. 376).
Tra i frammenti del Viaggio che questo spettacolo intenso e troppo breve mette in scena risuonano altre verità: “È degli uomini che bisogna aver paura, solo degli uomini; l’amore è l’infinito ridotto al livello dei barboncini; non la morte che incontriamo ma la morte che siamo”. E poi il disprezzo per la guerra, per la sua imbecillità assurda e infernale. Si rimane sempre attoniti e ammirati davanti alla semplicità con la quale Céline enuncia la struttura del mondo, il suo cieco fondamento, la sua disperata continuità. Come se dal gorgo immondo e immenso della materia fosse emersa una voce limpida, un bagliore accecante, una visione capace di dire altro rispetto alle convenzioni con le quali cerchiamo reciprocamente di sopportarci, di dire oltre l’illusione, di enunciare non la notte che ci avvolge, non il buio che percorriamo ma la notte che siamo.

 

La pace femminile

E ora dove andiamo?
di Nadine Labaki
(Et maintenant on va où?)
Francia, Libano, Egitto, Italia, 2011
Con: Nadine Labaki (Amale), Claude Msawbaa (Takla), Layla Hakim (Afaf), Antoinette El-Noufaily (Saydeh), Yvonne Maalouf (Yvonne)
Trailer del film

Un gruppo di donne vestite di nero avanza danzando e battendosi il petto con le fotografie dei propri morti. Vanno al cimitero, dove si divideranno tra le tombe cristiane e quelle musulmane. In un villaggio senza nome di un indeterminato Vicino Oriente l’imam e il prete cattolico tentano di mantenere un clima di pace tra le due comunità. Le tensioni però sono sempre pronte a emergere, sino a un evento che sembra spalancare le porte al reciproco massacro. Ma le donne -tutte, islamiche e cristiane- ricorrono a ogni stratagemma pur di evitare il conflitto: dalle presunte visioni della madonna all’ingaggio di alcune danzatrici ucraine per distrarre i maschi, dal seppellimento delle armi alla preparazione di dolci corretti all’hashish.

Divertimento e dramma si mescolano in questa parabola che va oltre il particolare contesto libanese e mostra con intelligenza e lievità la natura irrazionale di ogni conflitto, di ogni cedimento alle pulsioni che comportano anche la fine del pur di raggiungere la distruzione dell’altro. La guerra è un enigma evoluzionistico, politico, metafisico che millenni di riflessione hanno illustrato in tutti i modi, non riuscendo in alcun modo a debellarne la furia. Lo sguardo e il tocco femminili di questo film si pongono totalmente dalla parte della donna, vista come madre e amante pronta a tutto pur di proteggere i propri nati e i propri uomini dalla loro stessa furia, in una costruzione corale che è l’elemento più riuscito dell’opera. Il significato del titolo viene svelato nella scena finale e nella battuta conclusiva, ancora una volta capaci di mescolare le differenze e farne una ragione di ricchezza invece che di odio.

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