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Un’autocritica del Novecento

The Desire of  Freedom. Arte in Europa dal 1945
Palazzo Reale  – Milano
A cura di Monika Flacke, Henry Meyric Hughes e Ulrike Schmiegelt
Sino al 2 giugno 2013

Un’autocritica artistica del Novecento. Questo è la densa e coinvolgente mostra che Palazzo Reale dedica alla questione della libertà -al suo desiderio– nel XX secolo e oltre.
Si comincia con il sogno/sonno della Ragione che nella Rivoluzione francese instaurò un regime di perfezione inevitabilmente votato alla morte, poiché la perfezione non è di questa specie. Un Marat salutato come fosse la Madonna e un Adam Smith privo della testa mentre prende un libro dalla sua biblioteca rappresentano efficacemente la dialettica tra disincanto e idolatria che sta a fondamento del giacobinismo.
Si prosegue con sezioni e opere che esprimono: l’orrore dei regimi staliniani; gli effetti apocalittici delle bombe atomiche sganciate dagli USA sul Giappone; la superficialità del Sessantotto funzionale al trionfo del consumismo (in un dipinto di Erró i guerriglieri sudamericani hanno lo stesso tratto pubblicitario dell’interno borghese che stanno assediando); la violenza costante e spesso ben camuffata dei regimi cosiddetti democratici -le torture inglesi sui corpi degli irlandesi, l’esercito francese che il 17 ottobre 1961 sparò a Parigi sulla folla che protestava contro la guerra d’Algeria uccidendo 300 persone, i bombardieri che fanno del Vietnam un deserto (e che Wolf Vostell invita invece a bombardare di rossetti, garantendo in questo modo la vittoria del consumismo statunitense)-; la Russia e gli altri Paesi dell’Impero sovietico diventati dopo il crollo dell’URSS delle lande desolate e insicure dove scorrazzano uomini trasformati in cani da caccia e donne che mangiano insieme a delle lupe.
I titoli delle 12 sezioni sono assai espressivi: Tribunale della Ragione; La rivoluzione siamo noi; Viaggio nel paese delle meraviglie; Terrore e tenebre; Realismo della politica; Libertà sotto assedio; 99 Cent; Cent’anni; Mondi di vita; L’altro Luogo; Esperienza di sé e del limite; Il mondo nella testa.
Il risultato è una meditazione drammatica, ironica e dolente su quanto sia difficile essere liberi ma come senza questo desiderio non ci sia davvero vita.

 

Straniero al male

Il primo uomo
di Gianni Amelio
Italia, Francia, Algeria 2012
Dal romanzo di Albert Camus
Con: Jacques Gamblin (Jacques Cormery), Nino Jouglet (Jacques bambino), Catherine Sola (Catherine Cormery), Maya Sansa (Catherine Cormery da giovane), Denis Podalydès (Professeur Bernard), Nicolas Giraud (lo zio Etienne), Abdelkarim Benhabouccha (Hamoud)
Trailer del film

 

1924. Jacques Cormery è nato in una famiglia franco-algerina assai povera, suo padre è morto nella Prima guerra mondiale. Vive con la madre, uno zio e una nonna inflessibile. Dopo le elementari comincia a lavorare ma il suo maestro riesce a convincere i familiari che l’intelligenza del bambino merita il proseguimento degli studi.
1957. Cormery vive a Parigi, dove è diventato un celebre scrittore. Torna in Africa nel momento in cui il conflitto tra algerini di origine francese e algerini musulmani va diventando sempre più profondo. Invitato a parlare all’Università, difende l’idea di una convivenza plurale e pacifica ma viene contestato dai nazionalisti francesi. Jacques incontra la madre, lo zio, percorre la città alla ricerca del suo vecchio maestro e di un compagno di scuola musulmano il cui figlio è stato condannato a morte. Si reca nella fattoria dove è nato, nel cimitero che accoglie le spoglie del padre. Cerca di ricostruire il senso della propria vita e di quella della sua terra, l’Algeria.

Asciutto come la scrittura di Camus, dolente e forte come il suo pensiero, questo film mette in scena il romanzo al quale lo scrittore stava lavorando al momento dell’incidente che lo uccise nel 1960. Il libro fu poi pubblicato dalla figlia Catherine nel 1994. Figlia che in una lettera ad Amelio ringrazia il regista per «aver fatto questo film con tanto pudore, misura e bellezza profonda. […] Di certo non sono una spettatrice obiettiva, ma ho trovato il suo film bellissimo. Ho ammirato la sua direzione degli attori (senza una nota falsa!) e la giusta distanza che lei ha preso, e che rispetta la finzione senza tradire il libro».
Nino Jouglet, che interpreta lo scrittore da bambino, ha uno sguardo serio e insieme dolce, consapevole e candido. Serietà e dolcezza che manterrà anche da adulto. Il film è tutto sotto il segno di una grande sobrietà, di una matura libertà e di una profonda passione per il mondo. Così era Camus. Così è fatta la sua opera.

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