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Tirannide

Concordo con l’analisi che Alberto Capece ha dedicato al servilismo dell’Unione Europea e al conseguente declino coloniale dell’Europa. Pubblico qui sotto il suo articolo (fonte: https://ilsimplicissimus2.com/2024/12/07/i-trenta-tiranni/, il Simplicissimus, 7.12.2024).

Dopo l’articolo ho inserito le schermate di alcune notizie dedicate:
-all’annullamento delle elezioni in Romania, vale a dire a un colpo di stato attuato con dei pretesti semplicemente ridicoli (TikTok!); assai più fondato sarebbe sostenere che tutte le elezioni svoltesi in Italia dal 1948 in poi sarebbero da annullare poiché influenzate e distorte alla radice dalla propaganda, dai finanziamenti, dalle minacce degli Stati Uniti d’America…
-alla grazia concessa da Biden a suo figlio, accusato di gravi crimini. Un antico (e moderno) autocrate orientale non avrebbe potuto fare di meglio. La più grande democrazia del mondo? Ma no! Gli Stati Uniti d’America sono la più grande satrapia del mondo;
-alle conferme del genocidio in atto a Gaza contro gli umani palestinesi, molti ancora bambini, da parte di Israele;
-al terrorismo statunitense, che sostiene i nazisti ucraini e i tagliagole dell’ISIS in Siria, quei terroristi che in realtà sono stati creati sin dall’inizio dalla CIA e da Israele (l’ISIS non ha infatti mai toccato israeliani e statunitensi ma sempre altri musulmani).
L’Europa affonda in questo fango. I suoi cittadini affondano nelle paludi di un’informazione completamente fasulla e schierata a fianco del terrore.

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I Trenta tiranni

Ciò che sta accadendo in Romania dove la Corte Costituzionale ha annullato  i risultati del primo turno delle elezioni presidenziali perché ha vinto il candidato “sbagliato” denuncia lo stato di tirannia che regna nel continente che si vanta della propria democrazia. Si tratta chiaramente di un golpe che ha come pretesto non meglio specificate influenze russe sulle elezioni, un tema trito e ritrito completamente inventato dalla banda Obama in Usa per mettere i bastoni fra le ruote a Trump e ribadito nelle più improbabili e ridicole situazioni dai massini idioti del potere globalista. Lo si dice anche della Georgia  dove è in atto un tentativo di rivoluzione colorata, quando nel Paese abitato da meno di 4 milioni di abitanti dove esistono 23 mila Ong, una ogni 180 abitanti tutte collegate agli Usa, all’Europa o appartenenti alla galassia sorosiana, ma nessuna collegata alla Russia.

Ecco perché il titolo dei Trenta tiranni, reminiscenza della storia greca, si adatta benissimo all’Ue. Sì, magari i tiranni sono 27, più la von der Leyen ma fanno ugualmente riferimento all’oligarchia e a un potere che non è più di Sparta, ma risiede in Usa o meglio nelle pieghe della sua governance reale. Tuttavia la farsa della democrazia occidentale si sta sgretolando di fronte a coloro che hanno ancora occhi per vedere e neuroni per capire. La grazia concessa da Biden al figlio, uno dei più odiosi atti di nepotismo che si siano visti dopo l’epoca dei Borgia, il disperato tentativo di sottrarre risorse militari russe al fronte ucraino con la guerra terrorista in Siria, spacciata come guerra civile agli idioti in grado di volere, ma non di intendere. E poi  l’appoggio incondizionato alla strage di Gaza e al leader fascista di Tel Aviv, le censure come modus operandi nel campo della comunicazione e della vita accademica, il sostegno al leader sudcoreano pro-Occidente che dichiara poteri da stato di polizia per evitare di essere perseguito per corruzione, l’impoverimento delle popolazioni per sostenere queste infinite guerre ( si parla di altri 500 miliardi per sostenere il regime para nazista di Kiev peraltro già in agonia) e il tentativo di attuare un nuovo e gigantesco trasferimento di risorse dai poveri ai ricchi attraverso un armamentario apparentemente virtuoso, ma profondamente immorale per le sue menzogne di base che va dalla sanità al clima.

Quante altre prove sono necessarie per dimostrare che le democrazie occidentali sono diventate oligarchie guidate da politicanti burattini che si considerano al di sopra della legge e non provano altro che disprezzo per la rappresentanza degli interessi dei cittadini comuni? L’intera Unione Europea è stata catturata, anzi creata dalle élite atlantiste che hanno imposto politiche che servono interessi occidentali egemonici e non gli interessi dei cittadini. Il tutto garantito da una moneta come l’euro che a causa dei suoi vincoli non consente politiche sociali e si basa su un unico presupposto, ovvero che non esistono alternative. Questa è una definizione di tradimento. Quantomeno tradimento della volontà popolare che dovrebbe essere la base della democrazia: secondo l’ultimo rapporto Censis, appena uscito, il 71,4% degli italiani pensa che l’Unione europea è destinata a sfasciarsi senza riforme radicali. Il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più. E il 66,3% attribuisce all’Occidente (Usa in testa) la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Non a caso, solo il 31,6% si dice d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil.

Probabilmente le stesse percentuali potrebbero essere riscontrate in ogni grande Paese del continente perché è sempre più evidente che personaggi come Macron,  Scholz, von der Leyen, Rutte  sono i burattini comprati e pagati per incarnare la tirannia atlantista. Imbevuti di elitarismo come diretta espressione del loro stesso narcisismo e di una russofobia radicata, sedotti dalla corruzione o costretti dal ricatto dei servizi di Oltre Atlantico, tutti costoro sono stati ingaggiati per tradire gli interessi dei cittadini europei e rendere la vita delle masse incredibilmente dura. Sono arrivati al punto di eleggere una tale Kaja Kallas a ministro degli esteri della Ue: essendo ex premier dell’Estonia un Paese che conta 1,5 milioni di abitanti, un terzo dell’area metropolitana di Roma o di Milano, praticamente è del tutto slegata da visioni di largo raggio, è disponibile a qualsiasi avventura e ligia agli ordini di scuderia. Infatti il suo primo delirante atto è stato quello di minacciare dazi  più elevati alla Cina a causa di inconsistenti accuse di sostegno alla Russia. Invece avrebbe dovuto visitare il più grande partner commerciale dell’Ue, la Cina appunto, per riparare le relazioni messe sempre più a rischio, ma ci si serve di questi baltici, la cui popolazione si è dimezzata negli ultimi vent’anni, come teste di turco.

Tutto questo viene man mano smascherato e la risposta è la messa in mora della sedicente democrazia, attraverso operazioni che non hanno nulla da invidiare ai fascismi della prima metà del secolo scorso. Tuttavia questa costruzione fatta di inganni e politicamente vacua, si sta sgretolando e non basterà lo stucco della retorica mediatica per tenerla in piedi.

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Esperienze neocoloniali

Sabato 9 novembre 2024 alle 10.00 si svolgerà al Disum di Catania, con il patrocinio dell’ASFU, un seminario di studi dal titolo Guerre costituenti e nuovo ordine economico. Vi parteciperò con un intervento sulle esperienze neocoloniali del XXI secolo.
Colonialismi e imperialismi sono esperienze costanti della storia umana in molte zone ed epoche del pianeta. Alcuni esempi:
-il conflitto tra Atene e i Meli raccontato da Tucidide: «Chi è più forte fa quello che può e chi è più debole cede» (La guerra del Peloponneso, V, 89; p. 1321). «Noi crediamo infatti che per legge di natura chi è più forte comandi: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini, lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della nostra stessa potenza» (V, 105; p. 1325).
-la lunga esperienza dell’Impero romano
-la spartizione dell’Africa tra le potenze europee nella Conferenza di Berlino del 1884
-l’impero britannico tra Otto e Novecento.
Una delle differenze tra le esperienze coloniali del passato e quelle del presente è naturalmente la dimensione globale che il neocolonialismo del XXI secolo tende ad avere. Il termine globalizzazione indica anche questa dinamica.
Uno degli elementi di continuità tra vecchi e nuovi colonialismi è invece la giustificazione etica che le forze colonialiste danno a se stesse in nome di una qualche morale: il diritto, la religione cristiana, la civiltà, la democrazia, l’accoglienza, l’inclusività e altri valori.

Tucidide

[Data l’ampiezza un poco inusuale del testo, e per una lettura più comoda, ne ho preparato anche una versione in pdf]

Le ragioni per le quali l’opera di Tucidide ateniese «è un possesso che vale per l’eternità»1 sono numerose e assai chiare allo stesso Tucidide. Motivi che si riassumono nella conoscenza dell’umanità, in una antropologia lucida, disincantata, amara. Lo scrittore sa che gli eventi futuri somiglieranno a quelli passati, saranno simili agli eventi che lui stesso ha visto e che appunto intende narrare. E lo saranno perché tutti gli umani, sia nella vita pubblica sia nelle esistenze private, «son portati a far male» (III, 45; p. 1112); perché «in genere l’uomo è portato dalla sua natura a disprezzare chi lo rispetta e ad aver timore di chi non cede» (III, 39; p. 1108); perché le sciagure avvengono «e sempre avverranno finché la natura umana sarà sempre la stessa, ma più gravi o più miti e differenti nell’aspetto a seconda del mutare delle circostanze» (III, 82; p. 1137). Sciagure che si moltiplicano in qualità e quantità poiché «giudicando più secondo i loro incerti desideri che secondo una sicura preveggenza […] gli uomini sono soliti affidare a una speranza sconsiderata ciò che desiderano e a respingere con incontrastabili ragioni ciò che aborrono» (IV, 108; p. 1238).

Fu anche questo diffuso wishful thinking a far transitare i Greci dal comune trionfo ‘contro il Medo’, contro i Persiani invasori, all’autodistruzione in una guerra interna, una guerra civile di Greci contro altri Greci le cui ragioni erano già implicite nella vittoria sui Persiani e che crebbero a poco a poco quando la potenza di Atene non seppe più frenare e fermare le sue sempre più evidenti tendenze imperiali. Iniziò allora un conflitto esteso di isola in isola, di terra in terra, di città in città. Conflitto nel quale le ragioni  di dissidio interne a ogni πόλις si univano al timore di essere resi schiavi da altre città o alla speranza di rendere altre città sottomesse. Uno stato di guerra feroce come sono tutte le guerre civili; scontri che «devastarono la terra» (III, 79; p. 1135) e che condussero a «ogni forma di strage; piombati su una scuola di fanciulli, la più grande del luogo, in cui i fanciulli erano entrati da poco, li fecero a pezzi tutti quanti» (VII, 29; p. 1427). Chi siano gli autori di questa specifica strage, in questo caso i Traci alleati degli Ateniesi, e chi siano le vittime, in questo caso gli abitanti di Micaleso in Beozia, ora – nel XXI secolo – non ha molta importanza. Ma cambiando i nomi e i luoghi dei massacratori e dei massacrati emerge con evidenza la costanza nel tempo del male umano.

La guerra infatti, ogni guerra, «non procede affatto secondo norme stabilite, ma da sé escogita per lo più i mezzi adatti all’occasione» (I, 122; p. 978). Guerre scatenate per conquistare città e denaro e dunque non adducendo giusti motivi dei quali non c’è bisogno ma prevedendo sicure utilità; guerre dichiarate per antichi torti subiti e vendette da ottenere; guerre spesso iniziate per impedire attacchi ritenuti sicuri, guerre dunque ‘preventive’, e guerre decise perché semplicemente ed esplicitamente si sa di essere più forti degli avversari.
Questo è il significato del celebre colloquio intercorso tra gli Ateniesi e i Meli, durante il quale i primi dichiarano con una sincerità che le potenze contemporanee non hanno (e anche questo le rende peggiori), «chi è più forte fa quello che può e chi è più debole cede» (V, 89; p. 1321). «Noi crediamo infatti che per legge di natura chi è più forte comandi: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini, lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della nostra stessa potenza» (V, 105; p. 1325).

I frutti di questa convinzione imperialista non tarderanno ad arrivare e saranno la rovina di Atene. I pericoli di ogni atteggiamento e pratica imperialisti sono infatti piuttosto evidenti. Atene si rese sempre più nemica dei Lacedemoni/Spartani, e di altri meno attrezzati avversari, già con il suo stesso diventare una potenza politica, strategica, militare, economica. Tale crescita mise infatti sull’avviso tutti coloro che non intendevano sottomettersi senza resistere a una potenza egemone. Si aggiungeva un disprezzo verso i non ateniesi che diventava sempre più palese e soprattutto di una ὕβρις, una tracotanza per la quale «gli Ateniesi pensavano che niente avrebbe dovuto opporsi ai loro piani, ma che avrebbero dovuto compiere le imprese possibili come quelle difficili, con preparativi sia grandi che insufficienti» (IV, 65; p. 1207). Neppure la peste ferma Atene. Una peste terribile, descritta da Tucidide con un’efficacia che fa da modello alle pagine di Lucrezio, di Boccaccio, di Manzoni: «L’aspetto della pestilenza era al di là di ogni descrizione: in tutti i casi il morbo colpiva con una violenza maggiore di quanto potesse sopportare la natura umana» (II, 50; p. 1038), tanto che «piombati in una tale sciagura, gli Ateniesi ne erano schiacciati, mentre gli uomini morivano dentro la città e fuori di essa la terra veniva devastata» (II, 54; p. 1041).

Ma neppure da tale sciagura gli Ateniesi vennero dissuasi ad aprire un nuovo fronte, che risulterà per loro fatale. Al conflitto continentale contro Sparta aggiunsero infatti una spedizione contro Siracusa e contro la Sicilia , impresa che sarà rovinosa. Nel racconto della guerra nell’Isola credo che Tucidide abbia toccato il culmine della propria sapienza antropologico-politica e dell’arte di scrittore.
«Questo esercito fu celebre non meno per lo stupore che suscitava la sua audacia e per lo splendore che suscitava alla vista, che per la superiorità delle sue forze rispetto a quelle del nemico che andava ad attaccare, e per il fatto che intraprendeva una traversata a grandissima distanza dalla patria, con la speranza di un potentissimo futuro rispetto alla condizione presente» (VI, 31; p. 1355). E però il risultato di tanta potenza, di un simile splendore politico e militare fu una serie di disastrose sconfitte, di «gemiti e grida»  mentre i soldati «ormai badavano a se stessi e a come salvarsi» (VII, 371; p. 1459), ben lontani dagli auguri e dai peana con i quali erano partiti e invece «vinti completamente in tutto, senza subire nessuna sventura di scarso rilievo in nessun campo, in una distruzione completa» (VII, 87; p. 1472).

A spingere i cittadini di Atene a tale catastrofe fu anche e specialmente il giovane Alcibiade, assai ricco e ambizioso. Venne sconfitta la saggia prudenza di Nicia che si era invece pronunciato contro l’estensione della guerra in Sicilia. Essendo stratego, Nicia partì comunque per la Sicilia, dove trovò la morte, mentre Alcibiade, partito anche lui, venne richiamato in patria con gravi accuse che non avevano a che fare con la guerra. Alcibiade passò dalla parte degli Spartani per poi tentare di rientrare incolume ad Atene. Invece di riconoscere che erano stati loro a prestar fede a un ricco e nobile avventuriero, i cittadini di Atene «si adirarono con quegli oratori che avevano consigliato di fare la spedizione, come se non l’avessero decisa loro stessi» (VIII, 1; p. 1473).

Alcibiade aveva di fatto sostituito Pericle, morto durante la peste e la cui assenza fu tra le cause del tramonto politico della città. Pericle del quale Tucidide riporta il discorso che di Atene è la descrizione più luminosa (libro II, §§ 35-46). Nel commemorare i soldati morti per la città, Pericle afferma che Atene è il luogo nel quale ciascuno emerge «non per la provenienza da una classe sociale ma più per quello che vale» (II, 37; p. 1029), un luogo nel quale la bellezza è un’esperienza quotidiana e diffusa, dove la parola e la discussione sono sempre benvenute «senza pensare che il discutere sia un danno per l’agire» (II, 40; p. 1031), dove felicità, libertà e coraggio sono i punti di riferimento dell’esistenza, suscitando anche per questo l’ammirazione degli «uomini di ora e dei posteri» (II, 41; p. 1032). Per queste e per altre ragioni «tutta la città è la scuola della Grecia» (ibidem).

Questo di Pericle è il più famoso dei discorsi che intramano l’opera di Tucidide, scandita appunto in discorsi riportati tra virgolette – degli strateghi, dei capi politici, degli ambasciatori delle diverse città in lotta tra loro – e scandita da descrizioni estremamente particolareggiate degli eventi bellici, degli scontri navali, delle battaglie, delle sconfitte e vittorie, delle fughe e trionfi. Descrizioni che lo storico ateniese fonda sui racconti di tanti e sulle proprie personali esperienze. Discorsi che sono costruiti in base alla verosimiglianza, vale a dire in base a ciò che si presume quel certo oratore abbia dovuto e potuto dire in quella determinata circostanza. Tucidide lo ammette con onestà e con chiarezza: «mi terrò il più possibile vicino al pensiero generale dei discorsi effettivamente pronunciati» (I, 22; p. 910).

Tutto questo, lo splendore e la sventura, venne vissuto da umani davvero simili a ciò che gli esemplari della nostra specie sono da sempre. Una specie aggressiva, astuta, capace di riflessione e tuttavia spesso vittima di passioni che distruggono gli altri e se stessi. Una natura che i luoghi, i popoli, le credenze, le civiltà cercano di educare nei modi più vari. I Greci vennero in generale educati così: «Non bisogna credere che un uomo sia molto diverso dagli altri, ma che è più forte chi è stato educato nelle più dure difficoltà» (I, 84; p. 951). Molti popoli e culture condividono nel nostro tempo tale criterio e pratica pedagogica. Più non lo fa l’Occidente dominato dal modo di vivere anglosassone, in mano a pedagogisti e a psicologi che impongono nelle scuole e nelle università i criteri compassionevoli, ‘inclusivi’ e irrealistici che plasmano giovani e adulti irresponsabili, incapaci, distrutti da ogni piccola e grande difficoltà che la vita inevitabilmente presenta. Scuole e università per handicappati.
Saremo spazzati via da civiltà e popoli ancora adulti. Meriteremo questa fine e allora forse la parola di Tucidide e degli altri Greci risuonerà come un avvertimento che non abbiamo ascoltato.

Nota
Tucidide, La guerra del Peloponneso, traduzione di Claudio Moreschini, revisione di Franco Ferrari, note di Giovanna Daverio Rocchi, saggio introduttivo di Domenico Musti. In: Erodoto, Storie – Tucidide, La guerra del Peloponneso, Rizzoli, Milano 2021, I, 22; p. 910.

Venuto da altri pianeti

Starman
di John Carpenter
USA, 1984
Con: Jeff Bridges (Starman), Karen Allen (Jenny Hayden), Charles Martin Smith (Mark Shermin)
Trailer del film

Ho rivisto dopo molti anni questo film che all’epoca ebbe un grande successo (tanto da generare una serie televisiva). Racconta di un alieno la cui astronave viene distrutta e che però ha la capacità di prendere la fattezze di un umano a partire da poche tracce di DNA. Assume quindi l’aspetto e il corpo di Scott, morto qualche tempo prima, e induce la sua giovane vedova ad aiutarlo a tornare dai suoi simili, che lo riporteranno sul pianeta dal quale proviene. Pianeta lasciato proprio per accogliere l’invito a visitare la Terra lanciato nel 1977 dalla sonda interstellare Voyager 2 (che viaggia ancora negli spazi immensi e vuoti del cosmo). Solo che, una volta atterrata, questa entità diventa la preda inseguita dall’esercito statunitense, allo scopo di catturarlo, ucciderlo e vedere come è fatto. La bella vedova però, dopo un iniziale momento di stupore e paura, lo aiuterà a conseguire il suo scopo.
La trama è analoga a quella di King Kong (nelle sue tante versioni) e di altri film e romanzi dai quali emerge, al di là di ogni esplicita intenzione, la cattiva coscienza degli Stati Uniti d’America, il cui mito dell’accoglienza e delle infinite possibilità è appunto una leggenda.
Gli USA sono una potenza imperiale nata dal fanatismo calvinista, dal genocidio dei Pellerossa, dal calpestare ogni principio e ogni diritto, nel passato come nel presente. Una potenza che ha nel proprio cuore nero la distruzione, come dimostra una semplice cronologia delle guerre da essa iniziate o alle quali ha partecipato, anche limitandosi al periodo 1945-2024. Le più recenti di queste guerre sono state perdute, a partire dalla clamorosa sconfitta in Vietnam (1961-1973), ma l’imperialismo acceca i suoi portatori.
Anche un film ‘fantascientifico’ come Starman esprime dunque e documenta la difficoltà e, alla fine, l’impossibilità di accogliere il diverso – o almeno di avere con lui un rapporto di curiosità e di decenza – da parte di una potenza politica e militare cresciuta a dismisura. La storia (pochi però ormai studiano e conoscono la storia) insegna che queste strutture sono destinate naturalmente a crollare (dall’Atene di Tucidide all’Unione Sovietica del XX secolo). Accadrà anche agli USA. L’auspicio è che avvenga prima che il pianeta ne sia irreparabilmente devastato. Gli umani non hanno un altro luogo dove andare, come invece accade al protagonista di Starman, venuto da altri pianeti.

[Nell’immagine Orione e la sua Nebulosa, una delle più belle costellazioni visibili dalla Terra]

Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia…

Carlo Emilio Gadda
Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo
Conversazione a tre voci
(1958)
Introduzione di Franco Gavazzeni
Garzanti, Milano 1999
Pagine 103

Il furore che Gadda rivolge contro Foscolo non è destinato soltanto a Niccolò Ugo ma a un intero modo di intendere la parola, la poesia, la storia e la vita stessa. Un modo che a Gadda appare insopportabilmente artificioso, ipocrita e meschino. Nei versi di questo poeta Gadda ritrova e rintraccia sempre il vuoto di chi a volte nulla ha da dire ma parla lo stesso; altre di chi usa la parola per conquistare femmine e danari; e infine anche di chi crede che «una ricerca onomastica ellenizzante o comunque classica», inventrice di un «macchinoso e inutile vocabolario» (p. 64) possa definirsi ed essere poesia. Accade quindi che in un vero e proprio profluvio di  imeni (presunti) intatti, ci siano «più vergini nei millenovecento versi di Foscolo che in tutta la storia di Roma antica. Nelle ‘Grazie’, poi, sono vergini anche i quadrupedi» (78). L’Ellade delle odi, dei sonetti, delle Grazie e dei Sepolcri è agli occhi di Gadda soltanto l’invenzione esaltata e strumentale «del trombone, del rètore, e del falsario» (97) che  Foscolo è stato.
A celebrare questo diselogio funebre sono tre interlocutori impegnati in una sarcastica ma sempre divertente conversazione sulla guerra, le donne, la poesia. Nel salotto di Donna Clorinda Frinelli, «che incarna l’amabile e beata incultura del gentil sesso» (F. Gavazzeni, p. 37) si affrontano il foscoliano Professore Manfredo Bodoni Tacchi e l’inviperito antifoscoliano Avvocato Damaso de’ Linguagi. Il testo venne pensato per la radio e dalla Rai venne trasmesso, preceduto da una intervista/presentazione dello stesso Gadda sul n. 48, anno XXXV, 30 novembre 1958 del «Radiocorriere T.V». L’intervista è un testo raffinato e molto bello che fa pensare all’abisso tra la RAI e le sue pubblicazioni di quel tempo e la RAI del nostro tempo.
La stroncatura è troppo iperbolica per essere condivisibile ed è basata in gran parte – così ipotizza il curatore – su una abbastanza miserabile Vita di Ugo Foscolo scritta dal conte milanese Giuseppe Pecchio nel 1830. Riferimento che testimonia forse come una delle fonti di Gadda fu appunto il romanticismo lombardo, fieramente avverso a qualunque forma di classicismo.
Ma, come sempre in questo autore espressionista e geniale, assai più del tema conta il linguaggio, il profondo piacere che una lingua inventata, sfrenata, perfetta e molteplice trasmette al lettore preso nel vortice di una parola plurale e dolente, divertita e sempre tragica.

Immagini della dissoluzione

Immagini della dissoluzione
il Pequod
anno V, numero 9, giugno 2024
pagine 87-89

Di fronte all’orgia di distruzione che dappertutto causano gli Stati Uniti d’America, vedere per due ore vittima della dissoluzione la potenza che continua a infliggere ovunque morte mi ha fatto pensare: ‘Peccato che sia soltanto un film’. E questo per la semplice ragione – documentata dalla sistematica violenza che gli USA esercitano da ottanta anni sul mondo – che una prospettiva di pace ha come condizione il ridimensionamento dell’imperialismo statunitense. Data la potenza militare degli Stati Uniti, soltanto una implosione interna, una guerra civile appunto, potrà rendere realtà questo auspicio.

Sull’irrazionalità delle Intelligenze Artificiali

Stefano Isola è professore ordinario di Fisica Matematica nell’Università di Camerino. Apprezzo molto i suoi libri, che sono capaci di coniugare la competenza tecnica delle scienze dure con la lucidità civile e l’impegno politico. Il suo recente A fin di bene: il nuovo potere della ragione artificiale (2023) è l’analisi più completa e plausibile che abbia letto su questo tema. Qualche giorno fa, il 4 luglio 2024, Isola ha pubblicato sulla rivista ACrO-Pólis un breve intervento nel quale analizza l’utilizzo delle Intelligenze Artificiali nel genocidio del popolo palestinese e inserisce tale dinamica nel contesto assai più ampio della storia attuale e delle sue tecnologie. Il testo si trova qui: Nuovo brutalismo e ragion artificiale. Ne riporto alcuni significativi brani, invitando a leggerlo integralmente per capire davvero in quale ambiente siamo immersi.

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In una conferenza su Lo spirito europeo e il mondo delle macchine, tenuta a Ginevra nel 1946, Georges Bernanos affermò, tra le altre cose, che le civiltà muoiono come gli uomini, ma non lo fanno allo stesso modo, perché in esse la decomposizione precede la morte. L’immagine di un carogna in decomposizione rende bene, mi sembra, l’idea del tipo di mondo in cui viviamo, perlomeno nel cosiddetto Occidente, in cui corruzioni multiformi e cangianti mescolano e sfigurano tutto, cancellando i confini tra le cose e rendendocele così penosamente illeggibili. […]  

L’attuale sterminio genocida perpetrato a Gaza dall’IDF, ad esempio, si caratterizza come una delle peggiori voragini umanitarie della storia, certamente per la sua diabolica efferatezza, ma anche per il fatto di essere trasmesso in diretta audiovisiva, ovunque, orizzontalmente, e di essere perciò osservabile da chiunque voglia informarsi, e, nonostante questo, non solo non viene fatto quasi nulla per fermarlo, ma si continua ad inviare armi micidiali per la sua perpetuazione. Nella dimensione iperreale in cui siamo immersi, la diffusione in rete di un massacro di bambini palestinesi con droni controllati a distanza coesiste senza difficoltà con le discussioni sui concorsi della canzone spazzatura internazionale, sulle gare sportive o sulle disavventure sentimentali di qualche influencer, in un centrifugato di informazioni e intrattenimento che induce un’ipnosi collettiva assai più efficace della tradizionale censura, poiché elimina alla radice la ricerca di un riferimento reale, rendendo le persone insensibili alla contraddizione, impermeabili al dubbio e in definitiva incapaci di pensare. In questa totale dissonanza cognitiva risiede l’essenza del brutalismo politico e morale che si sta affermando ovunque nelle nostre esistenze collettive, seguendo il quale le nobili istituzioni del mondo libero, agendo come sicari per conto del grande capitale, oggi partecipano attivamente allo sterminio degli “animali umani” palestinesi, ucraini, russi. […] 

L’attuale escalation militare si inserisce infatti in una più generale escalation tecnologica che già da alcuni decenni per molti suoi aspetti ha i tratti di una vera e propria guerra ibrida contro la vita sulla Terra e contro l’umanità, ed alla quale la farsa pandemica ha impresso una potente accelerazione. Le emergenze che si susseguono ininterrottamente, saltando da una “crisi” all’altra senza soluzione di continuità, sembrano tutte aver ormai adottato una medicina comune: la spinta fanatica alla digitalizzazione di tutto. Emergenza permanente e digitalizzazione sembrano due poli indissociabili che si alimentano a vicenda. […]
Una gestione che implica la progressiva eliminazione del contributo umano dagli accadimenti significativi, insieme alla  moltiplicazione di entità evanescenti che ci allevano – in senso zootecnico – e ci tolgono ogni  responsabilità. […]  

Il tipo di controllo sulla popolazione esercitato dalla ragione artificiale si basa essenzialmente su criteri comportamentali, ed implementa il passaggio “obbligato” dall’idea (alla base della ragione liberale) dell’individuo autonomo che prende decisioni razionali per se stesso, senza riferimenti ad alcuna comunanza di natura con altri esseri, a quella di un decisore “situato”, il cui comportamento è in gran parte reso automatico ed influenzato dal suo “ambiente di scelta” (pienamente compatibile con la parodia dell’individualismo dei desideri rivendicati come diritti). […]
Ciò con cui abbiamo a che fare sono piuttosto entità destinate a divenirci aliene, cioè capaci di prendere decisioni in modi e forme autonome e per noi incomprensibili. Il punto chiave è che si sta passando da macchine che supportano compiti e obbiettivi umani, a macchine che simulano intenzioni e decisioni umane attraverso algoritmi predittivi e al tempo stesso del tutto imperscrutabili: neppure gli ingegneri informatici che l’hanno progettata possono sapere che cosa succede dentro la “scatola nera” di una rete neurale profonda, e dunque come l’algoritmo sia arrivato ad uno specifico risultato. […] 

Sono disponibili software che consentono di decidere sulla base di correlazioni tra dati di ogni tipo, senza alcun riferimento al contesto o al significato, presupponendo la possibilità di prevedere, ad esempio, se un cittadino commetterà un crimine, se un candidato per un impiego sarà abbastanza collaborativo, se uno studente abbandonerà gli studi prima del tempo, se un potenziale debitore restituirà un prestito o se una persona avrà bisogno di una particolare assistenza medica. Una dimensione totalitaria che prefigura una totale inversione dell’onere della prova, reintroducendo un criterio analogo a quello dei processi per stregoneria: si è colpevoli in quanto accusati.
L’intreccio inestricabile di correlazioni significative e correlazioni spurie nei big data (queste ultime derivanti solo dalla numerosità e non dalla natura dei dati), assegna a questo tipo di decisionalità algoritmica una dimensione marcatamente irrazionale, perché basata sull’idea “psicotica” che tutte le connessioni siano significative, indipendentemente dal riconoscimento di nessi causali. Tale caratteristica è strutturale, non è dovuta ad inefficienze o imprecisioni tecnicamente modificabili. […]
Detto in altri termini, un algoritmo non può propriamente “sbagliarsi” (il che comporterebbe l’inserimento in un contesto linguistico condiviso), dunque non può avere “ragione” o “torto”, ma può mentire, e lo fa spesso, senza tuttavia “sapere” di farlo. Mentire senza sapere di farlo è precisamente ciò che rende la ragione artificiale pericolosa e al tempo stesso paradigmatica del tipo di mondo, iperreale, in cui stiamo entrando. […] 

Un analogo tipo di decisionalità algoritmica è in atto nella guerra robotica: lo sterminio di esseri umani e la distruzione sistematica e diffusa di abitazioni, servizi e infrastrutture civili in Palestina è perpetrato da Israele attraverso sistemi di IA, noti come The Gospel, Lavender e Where’s Daddy?, che elaborano in tempo reale enormi masse di dati su tutto ciò che vive e si muove su quel territorio, e generano a velocità spaventosa molte centinaia di obiettivi al giorno, assegnando a persone ed edifici un “punteggio” che indica probabili “correlazioni” con Hamas. La guerra “intelligente” dell’IDF è un esperimento genocidario basato su modalità di ottimizzazione automatica che lo rendono, di nuovo, omologo a un videogioco. […] 

L’esempio israelo-palestinese, per quanto possa apparire (per ora) estremo, ci aiuta a comprendere come la ragione artificiale operi una sintesi originale tra sterminio e burocrazia, agendo come una forma di colonialismo totalitario sul proprio stesso terreno. In effetti, le stesse dinamiche espansive e colonialiste che hanno caratterizzato le precedenti fasi storiche del dominio occidentale sul mondo, non potendo più esercitarsi sull’esterno (per complesse ragioni economiche e geopolitiche) si rivolgono ora verso il suo interno (anche il cosiddetto “grande reset” promosso dal WEF pare stia mutando traiettoria, e da progetto planetario si sta trasformando in progetto autoritario per il solo Occidente). In tale dinamica il collasso interno del modo di produzione viene subdolamente e sistematicamente negato attraverso la sua proiezione esterna, incarnata da provvidenziali nemici: il virus, il cambiamento climatico, i barbari assetati di sangue democratico e, puntualmente, le misure adottate per farvi fronte dall’attuale capitalismo emergenziale, digitale e autoritario, reiterano, su una scala sempre più granulare, la brutalità coloniale sulla sua stessa popolazione. […]
In questo senso, Gaza rappresenta non una singolarità storica e geopolitica, ma un possibile destino di disumanizzazione che ci attende tutti.

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