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Gadda, il guerriero

Gadda, la guerra, la nazione
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
18 febbraio 2025
pagine 1-7

In Carlo Emilio Gadda, nella sua idea del mondo, non c’è posto per gli infingimenti, per le illusioni, per i sentimentalismi ‘umanitari’. Lo testimonia un esplicito brano, che Gadda scrisse anche se poi preferì non pubblicarlo: «Io non ho mai avuto sentimenti umanitarî, né in guerra né in pace, pur essendo molto sensitivo al dolore e alla miseria degli altri e anche alla gioia degli altri». Espressamente enunciata è invece una formulazione che della guerra mostra le innate radici nell’umano e nelle sue società: «Le armi Caino ferocemente le impugna: e talora anche contro alla nostra filantropia».
Ovunque e sempre nei suoi scritti – direi tratto caratterizzante l’intera sua opera – Gadda non ha inteso ‘migliorare il mondo’ ma ha voluto descriverlo nella sua realtà spesso surreale e divertente così come spesso è insensata e feroce: «essendo io un rètore, amo le scritture compiute e non amo gli edificanti stralci». Nessuna scrittura edificante, no, ma la descrizione di ciò che necessariamente consegue da una verità metafisica quale è il tempo che tutto intesse, involve e vince, al modo in cui anche Petrarca sa dirlo: «Così ’l Tempo triunfa i nomi e ’l mondo». Con densità ed efficacia simile a queste, Gadda scrive che «gli umani, nella brevità storica della lor vita, sono il sostegno efimero del divenire».
Eφήμεροι e patetici, con la pretesa – in alcune filosofie ed epistemologie – che  il divenire immenso (miliardi di anni) della materia, delle galassie distanti miliardi di anni luce, degli oceani terrestri, delle lave dell’Etna, tutta questa magnifica potenza dipenderebbe per esistere (non per essere semplicemente conosciuta dall’umano ma proprio per esistere) da quella dimensione parzialissima e insignificante che è la coscienza  di una entità abitante da pochi anni un periferico pianeta di una delle innumerevoli galassie che compongono il cosmo. Pretesa formulata da una entità, l’umano, frutto del tempo (come tutto), la cui vita è intramata di limiti, sofferenza, patologie, ed è destinata in un batter di ciglia a sparire.

 

«Chi si fa verme»

E dunque la seconda presidenza Trump sta cancellando le finzioni con le quali la colonia Europa ha giustificato a se stessa la propria servitù agli Stati Uniti d’America.
Ora il dominio del padrone americano appare per come realmente è: brutale, colonialistico, violento. Merito di questo miliardario è aver sollevato il velo – «sfrondato gli allori», direbbe Ugo Foscolo – e posto davanti agli occhi degli europei la verità del dominio e della servitù.
I ciechi non vedono, sennò non sarebbero ciechi, e tuttavia è talmente palese il disprezzo degli USA verso i colonizzati europei da gettare nello sconcerto i ceti dirigenti delle nazioni prone e il corrotto governo  dell’Unione Europea guidato da Ursula von der Leyen. Non si aspettavano proprio di essere ricambiati con il soldo dell’umiliazione, dopo aver fatto in tutto e per tutto gli interessi degli USA, distruggendo l’Europa in una guerra per procura contro la Federazione Russa e persino accettando il sabotaggio del gasdotto NordStream2 che riforniva di gas russo Germania ed Europa a costi molto vantaggiosi.
La psicologia collettiva e la filosofia della storia ci insegnano da sempre che un padrone può ben avvalersi dell’opera dei servi ma naturalmente non li rispetterà mai, proprio perché sono servi.
Tra i Paesi europei l’Italia è particolarmente disprezzata. Nel maggio del 2022 ponevo infatti «una semplice domanda: che cosa ha fatto la Federazione Russa all’Italia? In quali circostanze, modi, azioni ha aggredito il territorio italiano o le sue rappresentanze, ha tradito gli accordi commerciali o politici, ha leso i diritti dei cittadini italiani?»
La risposta è: niente, la Russia non ha fatto niente all’Italia nella sua storia recente. E tuttavia, pur senza aver subìto dalla Russia il minimo affronto o pericolo, l’Italia ha contribuito e sta contribuendo in modo massiccio – militarmente, finanziariamente, politicamente – alla guerra degli USA e della NATO contro la Russia. E questo anche a costo di sottrarre risorse finanziarie (soldi) alla sanità, alla scuola, all’università, ai trasporti. Lo fa il governo Meloni e lo fanno con altrettanto zelo le cosiddette ‘opposizioni’ guidate da quella entità penosa che è il Partito Democratico.
Perché accade? Perché, come spesso nella sua storia, l’Italia e i suoi governi sia di ‘destra’ sia di ‘sinistra’ sono senza onore, il che vuol dire che non fanno gli interessi degli italiani ma quelli dei padroni che guidano tali governi, ridotti a colonie.
«Wer sich aber zum Wurm macht, kann nachher nicht klagen, daß er mit Füßen getreten wird.
Ma chi si fa verme, non può poi lamentarsi d’essere calpestato»
(Immanuel Kant, Die Metaphysik der Sitten – La Metafisica dei costumi [1797], trad. e note di G. Vidari, Laterza, Bari 1973, parte II, I sezione, II capitolo, p. 297).
A proposito di metafore e similitudini etologiche, ha ragione Alberto Capece quando scrive che «la povera Europa strilla e corre senza meta come un gallina senza testa»…
Dolorosa e sostanziale testimonianza di tutto questo è infatti che la stessa struttura politica – l’Unione Europea e le sue articolazioni finanziarie – la quale con Draghi e con von der Leyen aveva per anni escluso categoricamente che si potesse deviare dal cosiddetto «patto di stabilità» per fornire ai cittadini europei i servizi sanitari, scolastico-universitari, pensionistici, dichiara ora che tale ‘patto’ può e deve essere sospeso per riempire l’Europa di armi. Ciò che non si poteva fare per salvare la sanità, i bambini, gli anziani, la formazione scolastica e universitaria, i trasporti, il lavoro (in Grecia e in tutta Europa) è ora richiesto e voluto per continuare una guerra e incrementare il militarismo, per dissipare in questo modo le risorse e le vite dei cittadini europei.
Qui si mostra la reale natura del liberismo e del capitalismo, una natura che è sempre guerrafondaia, sempre distruttiva, sempre antisociale.
E ancora una volta trova conferma la tesi che soltanto dalla dissoluzione dell’Unione Europea potrà forse rinascere la civiltà europea, ora in mano a un ceto dirigente globalista e delirante, un’Europa che mai era stata così politicamente umiliata.

Zeus

Piccolo Teatro Studio – Milano
Semidei
Testo e regia di Pier Lorenzo Pisano
Con: Francesco Alberici, Marco Cacciola, Pierluigi Corallo, Michelangelo Dalisi, Claudia Gambino, Pia Lanciotti, Caterina Sanvi, Eduardo Scarpetta
Costumi Gianluca Sbicca
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Sino al 23 febbraio 2025

Cominciano nel buio gli eroi. Cominciano elencando le ragioni del loro pianto. Le lacrime accomunano i guerrieri che combattono sotto le mura di Troia: le lacrime e la paura, che ammettono di sentire. Paura di morire, di lasciare la luce del giorno, di essere scagliati nell’enigma oscuro dell’Ade.
La scena diventa poi una spiaggia nella quale Achille e la madre Teti, Ettore, Andromaca e il piccolo Astianatte, Odisseo, Penelope e il neonato Telemaco, Menelao e Agamennone, tutti prendono il sole in attesa della guerra imminente, delle vele dispiegate verso Ilio o del timore che tali vele appaiano all’orizzonte della Troade. In questa prima parte l’inquietudine è minima e la fiducia è grande.
Sino a che, dopo dieci anni di guerra, gli eroi appaiono coperti e sovrastati da armature incrostate di terra, animali, scudi, bambini, maschere. Armature enormi, come se il tempo avesse accumulato sui guerrieri violenza su violenza. Anche Achille è morto e il figlio Neottolemo è una pura energia di morte. Le donne troiane, Andromaca, Ecuba e Cassandra, elevano il loro canto e il proprio lamento di fronte alla città distrutta, in attesa di essere destinate all’uno o all’altro sovrano acheo.
Nel mezzo, tra le due parti del racconto e anche dentro ciascuna di esse, ci sono gli dèi. Appaiono nell’alto, litigano in modo acceso e soprattutto rumoroso. Sino a quando Zeus li tacita. Il dio è tutto d’oro, si manifesta smerigliante e luminoso, sicuro di sé e potente su ogni cosa. Rimprovera sdegnato gli dèi che intasano di voci e rumori lo spazio della sua natura, ricorda loro che quando il suo fastidio sarà più forte dell’amore che prova per loro, gli basterà aprire la bocca e subito dopo chiuderla per divorarli tutti, per rimanere finalmente in silenzio.
Zeus accenna agli umani, ultima e insignificante manifestazione dell’essere, capaci solo di adorare quei rumorosi suoi figli e morire.
E soprattutto Zeus ammette di non essere il sovrano ultimo del cosmo. Egli è stato capace di gettare nel Tartaro suo padre, il terribile Κρόνος, ma nulla può e mai potrà nei confronti di Ἀνάγκη, la necessità, il fato, il destino, la Μοίρα. Nel frattempo, mentre a lui è dato il dominio secondario sul mondo, il divino si mostra per quello che è: puro potere, assoluto potere. Per permettere a questi umani così convinti e così tristi di sterminarsi tra loro a Troia, Zeus impone ad Agamennone il sacrificio della primogenita Ifigenia. Per quale ragione? Nessuna, «perché un vero dio è assurdo».
Ecco, sta in questa frase, in questo particolare del testo che Pier Lorenzo Pisano ha tratto dall’Iliade e da altre tradizioni sulla guerra di Troia, sta qui l’intuizione che illumina uno spettacolo che sa ironizzare sul mito ma lo fa al modo di Dürrenmatt, cogliendone e mostrandone la forza; che sa riconoscere la potenza della guerra, il terribile amore che gli umani nutrono per essa e che soprattutto sa trasmettere l’enigma del sacro, che è appunto e anche l’assurdo.
I vermi verticali che siamo si alzano di tanto in tanto nella loro ὕβρις e sono convinti di aver compreso il dio, gli dèi. Ma il sacro rimane insoluto e anche per questo nel volgere dei millenni sa suscitare parole antiche che sembrano essere state pronunciate per la prima volta qualche mese fa. Le parole appunto di Semidei.

Tirannide

Concordo con l’analisi che Alberto Capece ha dedicato al servilismo dell’Unione Europea e al conseguente declino coloniale dell’Europa. Pubblico qui sotto il suo articolo (fonte: https://ilsimplicissimus2.com/2024/12/07/i-trenta-tiranni/, il Simplicissimus, 7.12.2024).

Dopo l’articolo ho inserito le schermate di alcune notizie dedicate:
-all’annullamento delle elezioni in Romania, vale a dire a un colpo di stato attuato con dei pretesti semplicemente ridicoli (TikTok!); assai più fondato sarebbe sostenere che tutte le elezioni svoltesi in Italia dal 1948 in poi sarebbero da annullare poiché influenzate e distorte alla radice dalla propaganda, dai finanziamenti, dalle minacce degli Stati Uniti d’America…
-alla grazia concessa da Biden a suo figlio, accusato di gravi crimini. Un antico (e moderno) autocrate orientale non avrebbe potuto fare di meglio. La più grande democrazia del mondo? Ma no! Gli Stati Uniti d’America sono la più grande satrapia del mondo;
-alle conferme del genocidio in atto a Gaza contro gli umani palestinesi, molti ancora bambini, da parte di Israele;
-al terrorismo statunitense, che sostiene i nazisti ucraini e i tagliagole dell’ISIS in Siria, quei terroristi che in realtà sono stati creati sin dall’inizio dalla CIA e da Israele (l’ISIS non ha infatti mai toccato israeliani e statunitensi ma sempre altri musulmani).
L’Europa affonda in questo fango. I suoi cittadini affondano nelle paludi di un’informazione completamente fasulla e schierata a fianco del terrore.

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I Trenta tiranni

Ciò che sta accadendo in Romania dove la Corte Costituzionale ha annullato  i risultati del primo turno delle elezioni presidenziali perché ha vinto il candidato “sbagliato” denuncia lo stato di tirannia che regna nel continente che si vanta della propria democrazia. Si tratta chiaramente di un golpe che ha come pretesto non meglio specificate influenze russe sulle elezioni, un tema trito e ritrito completamente inventato dalla banda Obama in Usa per mettere i bastoni fra le ruote a Trump e ribadito nelle più improbabili e ridicole situazioni dai massini idioti del potere globalista. Lo si dice anche della Georgia  dove è in atto un tentativo di rivoluzione colorata, quando nel Paese abitato da meno di 4 milioni di abitanti dove esistono 23 mila Ong, una ogni 180 abitanti tutte collegate agli Usa, all’Europa o appartenenti alla galassia sorosiana, ma nessuna collegata alla Russia.

Ecco perché il titolo dei Trenta tiranni, reminiscenza della storia greca, si adatta benissimo all’Ue. Sì, magari i tiranni sono 27, più la von der Leyen ma fanno ugualmente riferimento all’oligarchia e a un potere che non è più di Sparta, ma risiede in Usa o meglio nelle pieghe della sua governance reale. Tuttavia la farsa della democrazia occidentale si sta sgretolando di fronte a coloro che hanno ancora occhi per vedere e neuroni per capire. La grazia concessa da Biden al figlio, uno dei più odiosi atti di nepotismo che si siano visti dopo l’epoca dei Borgia, il disperato tentativo di sottrarre risorse militari russe al fronte ucraino con la guerra terrorista in Siria, spacciata come guerra civile agli idioti in grado di volere, ma non di intendere. E poi  l’appoggio incondizionato alla strage di Gaza e al leader fascista di Tel Aviv, le censure come modus operandi nel campo della comunicazione e della vita accademica, il sostegno al leader sudcoreano pro-Occidente che dichiara poteri da stato di polizia per evitare di essere perseguito per corruzione, l’impoverimento delle popolazioni per sostenere queste infinite guerre ( si parla di altri 500 miliardi per sostenere il regime para nazista di Kiev peraltro già in agonia) e il tentativo di attuare un nuovo e gigantesco trasferimento di risorse dai poveri ai ricchi attraverso un armamentario apparentemente virtuoso, ma profondamente immorale per le sue menzogne di base che va dalla sanità al clima.

Quante altre prove sono necessarie per dimostrare che le democrazie occidentali sono diventate oligarchie guidate da politicanti burattini che si considerano al di sopra della legge e non provano altro che disprezzo per la rappresentanza degli interessi dei cittadini comuni? L’intera Unione Europea è stata catturata, anzi creata dalle élite atlantiste che hanno imposto politiche che servono interessi occidentali egemonici e non gli interessi dei cittadini. Il tutto garantito da una moneta come l’euro che a causa dei suoi vincoli non consente politiche sociali e si basa su un unico presupposto, ovvero che non esistono alternative. Questa è una definizione di tradimento. Quantomeno tradimento della volontà popolare che dovrebbe essere la base della democrazia: secondo l’ultimo rapporto Censis, appena uscito, il 71,4% degli italiani pensa che l’Unione europea è destinata a sfasciarsi senza riforme radicali. Il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più. E il 66,3% attribuisce all’Occidente (Usa in testa) la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Non a caso, solo il 31,6% si dice d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil.

Probabilmente le stesse percentuali potrebbero essere riscontrate in ogni grande Paese del continente perché è sempre più evidente che personaggi come Macron,  Scholz, von der Leyen, Rutte  sono i burattini comprati e pagati per incarnare la tirannia atlantista. Imbevuti di elitarismo come diretta espressione del loro stesso narcisismo e di una russofobia radicata, sedotti dalla corruzione o costretti dal ricatto dei servizi di Oltre Atlantico, tutti costoro sono stati ingaggiati per tradire gli interessi dei cittadini europei e rendere la vita delle masse incredibilmente dura. Sono arrivati al punto di eleggere una tale Kaja Kallas a ministro degli esteri della Ue: essendo ex premier dell’Estonia un Paese che conta 1,5 milioni di abitanti, un terzo dell’area metropolitana di Roma o di Milano, praticamente è del tutto slegata da visioni di largo raggio, è disponibile a qualsiasi avventura e ligia agli ordini di scuderia. Infatti il suo primo delirante atto è stato quello di minacciare dazi  più elevati alla Cina a causa di inconsistenti accuse di sostegno alla Russia. Invece avrebbe dovuto visitare il più grande partner commerciale dell’Ue, la Cina appunto, per riparare le relazioni messe sempre più a rischio, ma ci si serve di questi baltici, la cui popolazione si è dimezzata negli ultimi vent’anni, come teste di turco.

Tutto questo viene man mano smascherato e la risposta è la messa in mora della sedicente democrazia, attraverso operazioni che non hanno nulla da invidiare ai fascismi della prima metà del secolo scorso. Tuttavia questa costruzione fatta di inganni e politicamente vacua, si sta sgretolando e non basterà lo stucco della retorica mediatica per tenerla in piedi.

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Esperienze neocoloniali

Sabato 9 novembre 2024 alle 10.00 si svolgerà al Disum di Catania, con il patrocinio dell’ASFU, un seminario di studi dal titolo Guerre costituenti e nuovo ordine economico. Vi parteciperò con un intervento sulle esperienze neocoloniali del XXI secolo.
Colonialismi e imperialismi sono esperienze costanti della storia umana in molte zone ed epoche del pianeta. Alcuni esempi:
-il conflitto tra Atene e i Meli raccontato da Tucidide: «Chi è più forte fa quello che può e chi è più debole cede» (La guerra del Peloponneso, V, 89; p. 1321). «Noi crediamo infatti che per legge di natura chi è più forte comandi: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini, lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della nostra stessa potenza» (V, 105; p. 1325).
-la lunga esperienza dell’Impero romano
-la spartizione dell’Africa tra le potenze europee nella Conferenza di Berlino del 1884
-l’impero britannico tra Otto e Novecento.
Una delle differenze tra le esperienze coloniali del passato e quelle del presente è naturalmente la dimensione globale che il neocolonialismo del XXI secolo tende ad avere. Il termine globalizzazione indica anche questa dinamica.
Uno degli elementi di continuità tra vecchi e nuovi colonialismi è invece la giustificazione etica che le forze colonialiste danno a se stesse in nome di una qualche morale: il diritto, la religione cristiana, la civiltà, la democrazia, l’accoglienza, l’inclusività e altri valori.

Tucidide

[Data l’ampiezza un poco inusuale del testo, e per una lettura più comoda, ne ho preparato anche una versione in pdf]

Le ragioni per le quali l’opera di Tucidide ateniese «è un possesso che vale per l’eternità»1 sono numerose e assai chiare allo stesso Tucidide. Motivi che si riassumono nella conoscenza dell’umanità, in una antropologia lucida, disincantata, amara. Lo scrittore sa che gli eventi futuri somiglieranno a quelli passati, saranno simili agli eventi che lui stesso ha visto e che appunto intende narrare. E lo saranno perché tutti gli umani, sia nella vita pubblica sia nelle esistenze private, «son portati a far male» (III, 45; p. 1112); perché «in genere l’uomo è portato dalla sua natura a disprezzare chi lo rispetta e ad aver timore di chi non cede» (III, 39; p. 1108); perché le sciagure avvengono «e sempre avverranno finché la natura umana sarà sempre la stessa, ma più gravi o più miti e differenti nell’aspetto a seconda del mutare delle circostanze» (III, 82; p. 1137). Sciagure che si moltiplicano in qualità e quantità poiché «giudicando più secondo i loro incerti desideri che secondo una sicura preveggenza […] gli uomini sono soliti affidare a una speranza sconsiderata ciò che desiderano e a respingere con incontrastabili ragioni ciò che aborrono» (IV, 108; p. 1238).

Fu anche questo diffuso wishful thinking a far transitare i Greci dal comune trionfo ‘contro il Medo’, contro i Persiani invasori, all’autodistruzione in una guerra interna, una guerra civile di Greci contro altri Greci le cui ragioni erano già implicite nella vittoria sui Persiani e che crebbero a poco a poco quando la potenza di Atene non seppe più frenare e fermare le sue sempre più evidenti tendenze imperiali. Iniziò allora un conflitto esteso di isola in isola, di terra in terra, di città in città. Conflitto nel quale le ragioni  di dissidio interne a ogni πόλις si univano al timore di essere resi schiavi da altre città o alla speranza di rendere altre città sottomesse. Uno stato di guerra feroce come sono tutte le guerre civili; scontri che «devastarono la terra» (III, 79; p. 1135) e che condussero a «ogni forma di strage; piombati su una scuola di fanciulli, la più grande del luogo, in cui i fanciulli erano entrati da poco, li fecero a pezzi tutti quanti» (VII, 29; p. 1427). Chi siano gli autori di questa specifica strage, in questo caso i Traci alleati degli Ateniesi, e chi siano le vittime, in questo caso gli abitanti di Micaleso in Beozia, ora – nel XXI secolo – non ha molta importanza. Ma cambiando i nomi e i luoghi dei massacratori e dei massacrati emerge con evidenza la costanza nel tempo del male umano.

La guerra infatti, ogni guerra, «non procede affatto secondo norme stabilite, ma da sé escogita per lo più i mezzi adatti all’occasione» (I, 122; p. 978). Guerre scatenate per conquistare città e denaro e dunque non adducendo giusti motivi dei quali non c’è bisogno ma prevedendo sicure utilità; guerre dichiarate per antichi torti subiti e vendette da ottenere; guerre spesso iniziate per impedire attacchi ritenuti sicuri, guerre dunque ‘preventive’, e guerre decise perché semplicemente ed esplicitamente si sa di essere più forti degli avversari.
Questo è il significato del celebre colloquio intercorso tra gli Ateniesi e i Meli, durante il quale i primi dichiarano con una sincerità che le potenze contemporanee non hanno (e anche questo le rende peggiori), «chi è più forte fa quello che può e chi è più debole cede» (V, 89; p. 1321). «Noi crediamo infatti che per legge di natura chi è più forte comandi: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini, lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della nostra stessa potenza» (V, 105; p. 1325).

I frutti di questa convinzione imperialista non tarderanno ad arrivare e saranno la rovina di Atene. I pericoli di ogni atteggiamento e pratica imperialisti sono infatti piuttosto evidenti. Atene si rese sempre più nemica dei Lacedemoni/Spartani, e di altri meno attrezzati avversari, già con il suo stesso diventare una potenza politica, strategica, militare, economica. Tale crescita mise infatti sull’avviso tutti coloro che non intendevano sottomettersi senza resistere a una potenza egemone. Si aggiungeva un disprezzo verso i non ateniesi che diventava sempre più palese e soprattutto di una ὕβρις, una tracotanza per la quale «gli Ateniesi pensavano che niente avrebbe dovuto opporsi ai loro piani, ma che avrebbero dovuto compiere le imprese possibili come quelle difficili, con preparativi sia grandi che insufficienti» (IV, 65; p. 1207). Neppure la peste ferma Atene. Una peste terribile, descritta da Tucidide con un’efficacia che fa da modello alle pagine di Lucrezio, di Boccaccio, di Manzoni: «L’aspetto della pestilenza era al di là di ogni descrizione: in tutti i casi il morbo colpiva con una violenza maggiore di quanto potesse sopportare la natura umana» (II, 50; p. 1038), tanto che «piombati in una tale sciagura, gli Ateniesi ne erano schiacciati, mentre gli uomini morivano dentro la città e fuori di essa la terra veniva devastata» (II, 54; p. 1041).

Ma neppure da tale sciagura gli Ateniesi vennero dissuasi ad aprire un nuovo fronte, che risulterà per loro fatale. Al conflitto continentale contro Sparta aggiunsero infatti una spedizione contro Siracusa e contro la Sicilia , impresa che sarà rovinosa. Nel racconto della guerra nell’Isola credo che Tucidide abbia toccato il culmine della propria sapienza antropologico-politica e dell’arte di scrittore.
«Questo esercito fu celebre non meno per lo stupore che suscitava la sua audacia e per lo splendore che suscitava alla vista, che per la superiorità delle sue forze rispetto a quelle del nemico che andava ad attaccare, e per il fatto che intraprendeva una traversata a grandissima distanza dalla patria, con la speranza di un potentissimo futuro rispetto alla condizione presente» (VI, 31; p. 1355). E però il risultato di tanta potenza, di un simile splendore politico e militare fu una serie di disastrose sconfitte, di «gemiti e grida»  mentre i soldati «ormai badavano a se stessi e a come salvarsi» (VII, 371; p. 1459), ben lontani dagli auguri e dai peana con i quali erano partiti e invece «vinti completamente in tutto, senza subire nessuna sventura di scarso rilievo in nessun campo, in una distruzione completa» (VII, 87; p. 1472).

A spingere i cittadini di Atene a tale catastrofe fu anche e specialmente il giovane Alcibiade, assai ricco e ambizioso. Venne sconfitta la saggia prudenza di Nicia che si era invece pronunciato contro l’estensione della guerra in Sicilia. Essendo stratego, Nicia partì comunque per la Sicilia, dove trovò la morte, mentre Alcibiade, partito anche lui, venne richiamato in patria con gravi accuse che non avevano a che fare con la guerra. Alcibiade passò dalla parte degli Spartani per poi tentare di rientrare incolume ad Atene. Invece di riconoscere che erano stati loro a prestar fede a un ricco e nobile avventuriero, i cittadini di Atene «si adirarono con quegli oratori che avevano consigliato di fare la spedizione, come se non l’avessero decisa loro stessi» (VIII, 1; p. 1473).

Alcibiade aveva di fatto sostituito Pericle, morto durante la peste e la cui assenza fu tra le cause del tramonto politico della città. Pericle del quale Tucidide riporta il discorso che di Atene è la descrizione più luminosa (libro II, §§ 35-46). Nel commemorare i soldati morti per la città, Pericle afferma che Atene è il luogo nel quale ciascuno emerge «non per la provenienza da una classe sociale ma più per quello che vale» (II, 37; p. 1029), un luogo nel quale la bellezza è un’esperienza quotidiana e diffusa, dove la parola e la discussione sono sempre benvenute «senza pensare che il discutere sia un danno per l’agire» (II, 40; p. 1031), dove felicità, libertà e coraggio sono i punti di riferimento dell’esistenza, suscitando anche per questo l’ammirazione degli «uomini di ora e dei posteri» (II, 41; p. 1032). Per queste e per altre ragioni «tutta la città è la scuola della Grecia» (ibidem).

Questo di Pericle è il più famoso dei discorsi che intramano l’opera di Tucidide, scandita appunto in discorsi riportati tra virgolette – degli strateghi, dei capi politici, degli ambasciatori delle diverse città in lotta tra loro – e scandita da descrizioni estremamente particolareggiate degli eventi bellici, degli scontri navali, delle battaglie, delle sconfitte e vittorie, delle fughe e trionfi. Descrizioni che lo storico ateniese fonda sui racconti di tanti e sulle proprie personali esperienze. Discorsi che sono costruiti in base alla verosimiglianza, vale a dire in base a ciò che si presume quel certo oratore abbia dovuto e potuto dire in quella determinata circostanza. Tucidide lo ammette con onestà e con chiarezza: «mi terrò il più possibile vicino al pensiero generale dei discorsi effettivamente pronunciati» (I, 22; p. 910).

Tutto questo, lo splendore e la sventura, venne vissuto da umani davvero simili a ciò che gli esemplari della nostra specie sono da sempre. Una specie aggressiva, astuta, capace di riflessione e tuttavia spesso vittima di passioni che distruggono gli altri e se stessi. Una natura che i luoghi, i popoli, le credenze, le civiltà cercano di educare nei modi più vari. I Greci vennero in generale educati così: «Non bisogna credere che un uomo sia molto diverso dagli altri, ma che è più forte chi è stato educato nelle più dure difficoltà» (I, 84; p. 951). Molti popoli e culture condividono nel nostro tempo tale criterio e pratica pedagogica. Più non lo fa l’Occidente dominato dal modo di vivere anglosassone, in mano a pedagogisti e a psicologi che impongono nelle scuole e nelle università i criteri compassionevoli, ‘inclusivi’ e irrealistici che plasmano giovani e adulti irresponsabili, incapaci, distrutti da ogni piccola e grande difficoltà che la vita inevitabilmente presenta. Scuole e università per handicappati.
Saremo spazzati via da civiltà e popoli ancora adulti. Meriteremo questa fine e allora forse la parola di Tucidide e degli altri Greci risuonerà come un avvertimento che non abbiamo ascoltato.

Nota
Tucidide, La guerra del Peloponneso, traduzione di Claudio Moreschini, revisione di Franco Ferrari, note di Giovanna Daverio Rocchi, saggio introduttivo di Domenico Musti. In: Erodoto, Storie – Tucidide, La guerra del Peloponneso, Rizzoli, Milano 2021, I, 22; p. 910.

Venuto da altri pianeti

Starman
di John Carpenter
USA, 1984
Con: Jeff Bridges (Starman), Karen Allen (Jenny Hayden), Charles Martin Smith (Mark Shermin)
Trailer del film

Ho rivisto dopo molti anni questo film che all’epoca ebbe un grande successo (tanto da generare una serie televisiva). Racconta di un alieno la cui astronave viene distrutta e che però ha la capacità di prendere la fattezze di un umano a partire da poche tracce di DNA. Assume quindi l’aspetto e il corpo di Scott, morto qualche tempo prima, e induce la sua giovane vedova ad aiutarlo a tornare dai suoi simili, che lo riporteranno sul pianeta dal quale proviene. Pianeta lasciato proprio per accogliere l’invito a visitare la Terra lanciato nel 1977 dalla sonda interstellare Voyager 2 (che viaggia ancora negli spazi immensi e vuoti del cosmo). Solo che, una volta atterrata, questa entità diventa la preda inseguita dall’esercito statunitense, allo scopo di catturarlo, ucciderlo e vedere come è fatto. La bella vedova però, dopo un iniziale momento di stupore e paura, lo aiuterà a conseguire il suo scopo.
La trama è analoga a quella di King Kong (nelle sue tante versioni) e di altri film e romanzi dai quali emerge, al di là di ogni esplicita intenzione, la cattiva coscienza degli Stati Uniti d’America, il cui mito dell’accoglienza e delle infinite possibilità è appunto una leggenda.
Gli USA sono una potenza imperiale nata dal fanatismo calvinista, dal genocidio dei Pellerossa, dal calpestare ogni principio e ogni diritto, nel passato come nel presente. Una potenza che ha nel proprio cuore nero la distruzione, come dimostra una semplice cronologia delle guerre da essa iniziate o alle quali ha partecipato, anche limitandosi al periodo 1945-2024. Le più recenti di queste guerre sono state perdute, a partire dalla clamorosa sconfitta in Vietnam (1961-1973), ma l’imperialismo acceca i suoi portatori.
Anche un film ‘fantascientifico’ come Starman esprime dunque e documenta la difficoltà e, alla fine, l’impossibilità di accogliere il diverso – o almeno di avere con lui un rapporto di curiosità e di decenza – da parte di una potenza politica e militare cresciuta a dismisura. La storia (pochi però ormai studiano e conoscono la storia) insegna che queste strutture sono destinate naturalmente a crollare (dall’Atene di Tucidide all’Unione Sovietica del XX secolo). Accadrà anche agli USA. L’auspicio è che avvenga prima che il pianeta ne sia irreparabilmente devastato. Gli umani non hanno un altro luogo dove andare, come invece accade al protagonista di Starman, venuto da altri pianeti.

[Nell’immagine Orione e la sua Nebulosa, una delle più belle costellazioni visibili dalla Terra]

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