Skip to content


Trump e Schmitt

Trump e Schmitt
Sul declino dell’Europa
Aldous
, 21 marzo 2025
Pagine 1-3

In questo articolo ho cercato di indicare i nuclei più significativi della filosofia della storia di Carl Schmitt e la loro fecondità per la comprensione delle dinamiche geopolitiche del XXI secolo. Schmitt permette in particolare di capire che cosa stia avvenendo proprio in questi mesi nel rapporto tra gli Stati Uniti di Donald Trump e un’Unione Europea allo sbando, governata da soggetti politici del tutto incapaci, assolutamente non all’altezza delle tensioni che attraversano il mondo contemporaneo; tensioni che l’intelligenza visionaria di Schmitt fu capace di antivedere.
«La formula dell’emisfero occidentale era diretta proprio contro l’Europa, l’antico Occidente. Non era diretta contro la vecchia Asia o l’Africa, ma contro il vecchio Ovest. Il nuovo Ovest avanzava la pretesa di essere il vero Ovest, il vero Occidente, la vera Europa. Il nuovo Ovest, l’America, voleva sradicare l’Europa, che fino ad allora aveva rappresentato l’Ovest, dalla sua collocazione storico-spirituale, voleva rimuoverla dalla sua posizione di centro del mondo»
(Il Nomos della terra nel diritto internazionale dello «Jus Publicum Europaeum», Adelphi 1991, p. 381).

Antropologia omerica

Antropologia omerica
in Dialoghi Mediterranei
n. 72, marzo-aprile 2025
pagine 41-45

Indice
-Il canto
-La guerra
-Un poema vivo
-La Μοίρα, gli dèi

Dall’Iliade si impara l’essenziale. Si impara che ciò che chiamiamo bene e male, colpa e merito, vizio e virtù, è uno strato superficiale e derivato di una natura umana che non soltanto è costituita e pervasa di passioni unitarie e comuni a tutti – a differenziarci è la loro diversa mistura in ciascuno di noi – ma che è soprattutto guidata da forze sulle quali gli umani non esercitano alcun controllo, la forza di Ἀνάγκη, della Necessità.
Il principio, quasi propedeutico a ogni altro, che dietro gli eventi e le scelte degli umani operi sempre un intervento divino, si articola nei nomi plurali e fascinosi delle divinità olimpiche, tanto che è davvero facile vedere e mostrare come l’intera trama dell’Iliade sia «concepita e determinata non dagli uomini, ma dagli dèi» e però tali divinità personali e plurali rimangono anch’esse, compreso Zeus, sottoposte al supremo ordine della Μοίρα. 

Eurofollie

Una conferma della natura criminale dell’Unione Europea è che ciò che non si poteva fare per salvare la sanità, i bambini, gli anziani, la formazione scolastica e universitaria, i trasporti, il lavoro (in Grecia e in tutta Europa) è ora legittimo, richiesto e voluto per continuare una guerra e incrementare il militarismo, per distruggere in tal modo le risorse e le vite dei cittadini europei.
Cittadini che sembrano per la più parte passivi, rinchiusi nella loro bolla televisiva, tanto che a volte ho il cattivo pensiero che non mi dispiacerebbe vedere andare a morire in Ucraina i figli degli italiani, dei tedeschi, dei francesi, dei danesi e degli altri che hanno affidato le loro esistenze a un ceto politico così sciocco e così folle come quello che pensa seriamente che la Russia voglia invadere l’Europa e che ha fiducia nel governo di Ursula von der Leyen, personaggio che sta al di là di ogni giudizio, di ogni razionalità, di ogni decenza.
Il fatto è che i decisori politici liberali che governano l’Europa e la UE sono ormai affetti da una dissonanza cognitiva, da un distacco così inaudito dal reale, che se non verranno fermati condurranno il Continente all’autodistruzione.
Questi decisori politici pensano e agiscono secondo l’antico principio colonialista, con la convinzione di essere gli unici detentori della Civiltà, del Bene e della Verità. Una convinzione che ha condotto l’Europa al suo trionfo ma che ora la instrada verso la dissoluzione. Contro tale colonialismo va ribadito che gli altri popoli e le altre culture non hanno nessun dovere di conformarsi ai principi liberali e capitalistici, gli altri hanno le loro culture e i loro sistemi.
E invece siamo ormai alla psicopolitica. L’Europa tramonta nella follia. Una patologia che in Italia è stata di recente testimoniata da quanti hanno scoperto il patriottismo per continuare a danneggiare i cittadini, per ridurli alla miseria e alla morte. E che sono scesi in piazza per chiedere più armi, il che vuol dire meno servizi, meno sanità, meno scuola e formazione, meno trasporti. Si tratta di un evidente caso di masochismo collettivo. Un masochismo ben stimolato e guidato dai giornalisti in generale e in particolare da quelli del gruppo GEDI, come la Repubblica che è proprietà degli Elkann-Agnelli produttori di armi che intendono convertire le loro fabbriche di automobili in fabbriche appunto di armi.
A 110 anni dalle piazze che nel 1915 reclamarono e ottennero la sciagurata partecipazione dell’Italia alla Prima guerra mondiale tornano le piazze interventiste guidate da bolsi e ormai grotteschi personaggi del giornalismo, del cinema, della canzone (tutti con redditi consistenti). Piazze incoraggiate dal Partito Democratico e dai suoi satelliti politici e sindacali. Questo è il progressismo del PD, delle piazze asservite ai padroni «europeisti», dei buoni.
Dell’Unione Europea si può dire ciò che afferma Francesco Berni nel suo rifacimento dell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo (canto LIII, ottava 60): «Così colui, del colpo non accorto, / andava combattendo, ed era morto».
La condizione affinché l’Europa continui a vivere è che l’Unione Europea e la NATO si dissolvano.

Emergenze

Il Prontuario per le emergenze ad uso dei governanti a firma di Davide Miccione, pubblicato su Aldous il 13 marzo 2025, è un testo che coniuga implacabilità logica, realismo politico, ironia espressiva.
Lo riporto qui integralmente poiché condivido per intero l’analisi che da esso emerge del nostro tempo, della sua sostanziale natura servile, la quale rende molte persone semplicemente incapaci di vedere ciò che accade.

Testo sul sito della rivista
Pdf del testo

============

Quella venuta meglio resta il covid, senza alcun dubbio. Quella venuta peggio la guerra Israele-Palestina. Ancora più improbabile sembra la chiamata al riarmo immediato europeo. In mezzo abbiamo il patriarcato, l’omofobia, la guerra russo-ucraina, l’immigrazione, l’apocalisse climatica, il ritorno del fascismo. La velocità di sostituzione delle emergenze segue la crescente velocità di sostituzione delle merci, però funziona sempre peggio. Ogni sostituzione di emergenza si fa disvelamento progressivo per qualcuno e, sebbene alcuni di loro finiscano poi prigionieri di fantasiose e altrettanto dogmatiche contronarrazioni, il lavoro di convincimento delle masse sembra farsi sempre più faticoso per quel povero clero intellettuale (giornalisti, showrunner, sceneggiatori, romanzieri light, ghost writers dei politici ecc) cui è demandato tutto il peso delle narrazioni sul mondo.

Da aspiranti “emergenzologi” vorremmo provare a fare un po’ di chiarezza sui prerequisiti necessari per una buona emergenza anche ad uso dei sempre più stanchi governanti. In verità l’asset di potere su cui quasi tutte le costruzioni delle emergenze si sono basate appare in via di disarticolazione e il nuovo potere ascendente sembra voler sostituire la costruzione delle emergenze facendosi emergenza esso stesso. Trump sembra dire: posso fare di tutto, non ho limiti, sono imprevedibile: “l’emergenza c’est moi”. Quest’ultimo passaggio spiazza la nascente scienza dell’emergenzologia che avrà bisogno di più tempo per processare questi ultimi eventi ma vi è comunque la certezza che il vecchio sistema tradizionale di costruzione delle emergenze che ha i suoi prodromi in Italia già con l’entrata nell’Euro (l’emergenza di un treno che non poteva essere perso) e ancor prima in tangentopoli (l’emergenza corruzione) e nella strategia della tensione e che tante soddisfazioni ha dato nell’esercizio del potere, non verrà messo né del tutto né per molto in cantina.

Ecco dunque il prontuario per una buona emergenza. In primis l’emergenza deve essere vera. Ci deve essere davvero un virus, una guerra, dei morti, un cambiamento climatico, un atroce atto terroristico eccetera. Non bisogna farsi prendere dalla hybris e costruire sul nulla, sebbene in alcuni casi (l’emergenza antrace irakeno) anche la “fake emergenza” possa funzionare in assenza di significativi gruppi simpatizzanti con la controparte. Se però l’emergenza è vera in che senso parlare di emergenza e non della “cosa” stessa che ci impone la sua realtà? Per rispondere vanno analizzati con cura i parametri.

In primo luogo l’emergenza è caratterizzata dall’essere in parte causata, nel suo reale rischio collettivo, da quelle stesse forze che la sbandierano come ragione sociale del proprio intervento politico. Così, ad esempio, in quella riuscita meglio, una classe politica che aveva disinvestito sugli ospedali e le terapie intensive ci spiegava che ogni disposizione di legge era permessa perché in caso contrario i posti in ospedale non sarebbero stati sufficienti oppure, in altre emergenze, una classe politica che non ha investito nel welfare, nella scuola e nel controllo del territorio lancia l’emergenza della mancata integrazione degli immigrati. O ancora, una classe imprenditoriale malata di sviluppismo e vissuta sul consumismo scopre il tema dell’inquinamento e dell’ambiente.

In secondo luogo, oltre ad aver parte nel rendere l’emergenza più grave di quanto sarebbe potuta essere a causa di scelte precedenti, chi la cavalca ne acuisce gli effetti anche in atto. Ad esempio, nella nostra best practice di studio, lo fa impedendo alla medicina di prossimità di intervenire (i medici non visitino i malati!) o evitando siano prescritti farmaci adeguati e sostituendoli con vigili attese.

E poi necessario bloccare la linea temporale. Ogni buona emergenza nasce dall’istituzione di un limite temporale di partenza che non può essere violato senza incappare nella stigmatizzazione sociale. La guerra russa-ucraina va pensata dal 24 febbraio 2022 e non prima, l’attacco israeliano a Gaza dal 7 ottobre 2023. Il clima va analizzato senza andare troppo indietro nei secoli, il covid non ha predecessori e, senza vaccino, è un ufo contro cui si può solo fare vigile attesa eliminando anche la vecchia priorità dell’immunità naturale. Ancora, i dati sui delitti degli anni passati sulle donne non esistono eccetera.

L’emergenza va ritagliata anche nella sua possibilità di pensarla. Si esprime solo in un modo e si può lottare in essa solo in un modo. Dunque solo la Co2 conta per l’emergenza clima (le decine di altre questioni, ad esempio il consumo di suolo, diventano improvvisamente irrilevanti), solo l’immunizzazione dal covid conta (e, qualsiasi altra patologia le scelte politiche anticovid facciano aumentare, è fuori dal cono di luce dell’emergenza e quindi trascurabile); solo i morti israeliani, solo l’autonomia ucraina vale ma non quella dei russofoni ucraini, e così via. L’emergenzialismo, come Figaro, canticchia perennemente “uno alla volta, uno alla volta per carità”.

Un buon consiglio per una buona emergenza è di non far coincidere i cattivi della vicenda con una minoranza organizzata (errore fatto con i pro-palestinesi) ma di ritagliarla nella carne viva della società, tra gente che non sa ancora di essere il chiodo che sporge. Inquinatori con l’Hammer in garage e tizi che coltivano bio, se non hanno avuto fede nel verbo emergenziale climatico, si sono trovati incasellati nella medesima casella del negazionismo. Fascisti, comunisti, liberali, conservatori e progressisti, se hanno visto con perplessità le politiche pandemiche, si sono ritrovati nella casella dei no vax e cosi via.  L’emergenza infatti va fatta coincidere, dopo averla ritagliata tematicamente e temporalmente, con il bene assoluto e tanto colui che non crede, quanto colui che non ritiene sia perimetrabile come ha deciso la macchina informativa, quanto infine colui che pensa di risolverla diversamente, si trovano allocati nel male e vengono costituiti dall’esterno e omogeneizzati come una specifica classe di malvagi in quanto avversari del bene. La specificità del sistema è quella di accorpare posizioni diverse e definibili solo ex contrario dalla mancata adesione alla “brutta novella” causando una orribile stenosi del pensiero e del principio di realtà. Diventano così putiniani tanto coloro che apprezzano Putin quanto chi non l’apprezza ma ne capisce le ragioni e perfino chi non l’apprezza, non ne capisce le ragioni ma ritiene che si debba cercare la pace. Diventa antisemita sia chi odia gli ebrei e sia chi ama gli ebrei ma pensa che gli israeliani stiano esagerando. Diventa no vax sia chi teme tutti i vaccini, sia chi teme i soli vaccini anticovid e persino chi (ho conosciuto personalmente un caso) stando all’estero ha fatto senza problema i vaccini anticovid tradizionali (cinesi o cubani ad esempio) ma tornando in Europa non era disposto a fare quelli a mRNA.

Una lettura totalitaria del mondo è dunque strutturale al sistema emergenza. A fronte di questa, la barbarie della verità che ci mostra l’amministrazione Trump, così chiara nel mostrare i rapporti di forza e la solita natura predatoria umana squadernata in bella vista, appare come l’ultima tappa di un progressivo disvelamento del reale che il ventunesimo secolo ci sta regalando. Che poi le masse sappiano approfittare di questa opportunità di comprensione è un altro discorso.

Gadda, il guerriero

Gadda, la guerra, la nazione
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
18 febbraio 2025
pagine 1-7

In Carlo Emilio Gadda, nella sua idea del mondo, non c’è posto per gli infingimenti, per le illusioni, per i sentimentalismi ‘umanitari’. Lo testimonia un esplicito brano, che Gadda scrisse anche se poi preferì non pubblicarlo: «Io non ho mai avuto sentimenti umanitarî, né in guerra né in pace, pur essendo molto sensitivo al dolore e alla miseria degli altri e anche alla gioia degli altri». Espressamente enunciata è invece una formulazione che della guerra mostra le innate radici nell’umano e nelle sue società: «Le armi Caino ferocemente le impugna: e talora anche contro alla nostra filantropia».
Ovunque e sempre nei suoi scritti – direi tratto caratterizzante l’intera sua opera – Gadda non ha inteso ‘migliorare il mondo’ ma ha voluto descriverlo nella sua realtà spesso surreale e divertente così come spesso è insensata e feroce: «essendo io un rètore, amo le scritture compiute e non amo gli edificanti stralci». Nessuna scrittura edificante, no, ma la descrizione di ciò che necessariamente consegue da una verità metafisica quale è il tempo che tutto intesse, involve e vince, al modo in cui anche Petrarca sa dirlo: «Così ’l Tempo triunfa i nomi e ’l mondo». Con densità ed efficacia simile a queste, Gadda scrive che «gli umani, nella brevità storica della lor vita, sono il sostegno efimero del divenire».
Eφήμεροι e patetici, con la pretesa – in alcune filosofie ed epistemologie – che  il divenire immenso (miliardi di anni) della materia, delle galassie distanti miliardi di anni luce, degli oceani terrestri, delle lave dell’Etna, tutta questa magnifica potenza dipenderebbe per esistere (non per essere semplicemente conosciuta dall’umano ma proprio per esistere) da quella dimensione parzialissima e insignificante che è la coscienza  di una entità abitante da pochi anni un periferico pianeta di una delle innumerevoli galassie che compongono il cosmo. Pretesa formulata da una entità, l’umano, frutto del tempo (come tutto), la cui vita è intramata di limiti, sofferenza, patologie, ed è destinata in un batter di ciglia a sparire.

 

«Chi si fa verme»

E dunque la seconda presidenza Trump sta cancellando le finzioni con le quali la colonia Europa ha giustificato a se stessa la propria servitù agli Stati Uniti d’America.
Ora il dominio del padrone americano appare per come realmente è: brutale, colonialistico, violento. Merito di questo miliardario è aver sollevato il velo – «sfrondato gli allori», direbbe Ugo Foscolo – e posto davanti agli occhi degli europei la verità del dominio e della servitù.
I ciechi non vedono, sennò non sarebbero ciechi, e tuttavia è talmente palese il disprezzo degli USA verso i colonizzati europei da gettare nello sconcerto i ceti dirigenti delle nazioni prone e il corrotto governo  dell’Unione Europea guidato da Ursula von der Leyen. Non si aspettavano proprio di essere ricambiati con il soldo dell’umiliazione, dopo aver fatto in tutto e per tutto gli interessi degli USA, distruggendo l’Europa in una guerra per procura contro la Federazione Russa e persino accettando il sabotaggio del gasdotto NordStream2 che riforniva di gas russo Germania ed Europa a costi molto vantaggiosi.
La psicologia collettiva e la filosofia della storia ci insegnano da sempre che un padrone può ben avvalersi dell’opera dei servi ma naturalmente non li rispetterà mai, proprio perché sono servi.
Tra i Paesi europei l’Italia è particolarmente disprezzata. Nel maggio del 2022 ponevo infatti «una semplice domanda: che cosa ha fatto la Federazione Russa all’Italia? In quali circostanze, modi, azioni ha aggredito il territorio italiano o le sue rappresentanze, ha tradito gli accordi commerciali o politici, ha leso i diritti dei cittadini italiani?»
La risposta è: niente, la Russia non ha fatto niente all’Italia nella sua storia recente. E tuttavia, pur senza aver subìto dalla Russia il minimo affronto o pericolo, l’Italia ha contribuito e sta contribuendo in modo massiccio – militarmente, finanziariamente, politicamente – alla guerra degli USA e della NATO contro la Russia. E questo anche a costo di sottrarre risorse finanziarie (soldi) alla sanità, alla scuola, all’università, ai trasporti. Lo fa il governo Meloni e lo fanno con altrettanto zelo le cosiddette ‘opposizioni’ guidate da quella entità penosa che è il Partito Democratico.
Perché accade? Perché, come spesso nella sua storia, l’Italia e i suoi governi sia di ‘destra’ sia di ‘sinistra’ sono senza onore, il che vuol dire che non fanno gli interessi degli italiani ma quelli dei padroni che guidano tali governi, ridotti a colonie.
«Wer sich aber zum Wurm macht, kann nachher nicht klagen, daß er mit Füßen getreten wird.
Ma chi si fa verme, non può poi lamentarsi d’essere calpestato»
(Immanuel Kant, Die Metaphysik der Sitten – La Metafisica dei costumi [1797], trad. e note di G. Vidari, Laterza, Bari 1973, parte II, I sezione, II capitolo, p. 297).
A proposito di metafore e similitudini etologiche, ha ragione Alberto Capece quando scrive che «la povera Europa strilla e corre senza meta come un gallina senza testa»…
Dolorosa e sostanziale testimonianza di tutto questo è infatti che la stessa struttura politica – l’Unione Europea e le sue articolazioni finanziarie – la quale con Draghi e con von der Leyen aveva per anni escluso categoricamente che si potesse deviare dal cosiddetto «patto di stabilità» per fornire ai cittadini europei i servizi sanitari, scolastico-universitari, pensionistici, dichiara ora che tale ‘patto’ può e deve essere sospeso per riempire l’Europa di armi. Ciò che non si poteva fare per salvare la sanità, i bambini, gli anziani, la formazione scolastica e universitaria, i trasporti, il lavoro (in Grecia e in tutta Europa) è ora richiesto e voluto per continuare una guerra e incrementare il militarismo, per dissipare in questo modo le risorse e le vite dei cittadini europei.
Qui si mostra la reale natura del liberismo e del capitalismo, una natura che è sempre guerrafondaia, sempre distruttiva, sempre antisociale.
E ancora una volta trova conferma la tesi che soltanto dalla dissoluzione dell’Unione Europea potrà forse rinascere la civiltà europea, ora in mano a un ceto dirigente globalista e delirante, un’Europa che mai era stata così politicamente umiliata.

Zeus

Piccolo Teatro Studio – Milano
Semidei
Testo e regia di Pier Lorenzo Pisano
Con: Francesco Alberici, Marco Cacciola, Pierluigi Corallo, Michelangelo Dalisi, Claudia Gambino, Pia Lanciotti, Caterina Sanvi, Eduardo Scarpetta
Costumi Gianluca Sbicca
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Sino al 23 febbraio 2025

Cominciano nel buio gli eroi. Cominciano elencando le ragioni del loro pianto. Le lacrime accomunano i guerrieri che combattono sotto le mura di Troia: le lacrime e la paura, che ammettono di sentire. Paura di morire, di lasciare la luce del giorno, di essere scagliati nell’enigma oscuro dell’Ade.
La scena diventa poi una spiaggia nella quale Achille e la madre Teti, Ettore, Andromaca e il piccolo Astianatte, Odisseo, Penelope e il neonato Telemaco, Menelao e Agamennone, tutti prendono il sole in attesa della guerra imminente, delle vele dispiegate verso Ilio o del timore che tali vele appaiano all’orizzonte della Troade. In questa prima parte l’inquietudine è minima e la fiducia è grande.
Sino a che, dopo dieci anni di guerra, gli eroi appaiono coperti e sovrastati da armature incrostate di terra, animali, scudi, bambini, maschere. Armature enormi, come se il tempo avesse accumulato sui guerrieri violenza su violenza. Anche Achille è morto e il figlio Neottolemo è una pura energia di morte. Le donne troiane, Andromaca, Ecuba e Cassandra, elevano il loro canto e il proprio lamento di fronte alla città distrutta, in attesa di essere destinate all’uno o all’altro sovrano acheo.
Nel mezzo, tra le due parti del racconto e anche dentro ciascuna di esse, ci sono gli dèi. Appaiono nell’alto, litigano in modo acceso e soprattutto rumoroso. Sino a quando Zeus li tacita. Il dio è tutto d’oro, si manifesta smerigliante e luminoso, sicuro di sé e potente su ogni cosa. Rimprovera sdegnato gli dèi che intasano di voci e rumori lo spazio della sua natura, ricorda loro che quando il suo fastidio sarà più forte dell’amore che prova per loro, gli basterà aprire la bocca e subito dopo chiuderla per divorarli tutti, per rimanere finalmente in silenzio.
Zeus accenna agli umani, ultima e insignificante manifestazione dell’essere, capaci solo di adorare quei rumorosi suoi figli e morire.
E soprattutto Zeus ammette di non essere il sovrano ultimo del cosmo. Egli è stato capace di gettare nel Tartaro suo padre, il terribile Κρόνος, ma nulla può e mai potrà nei confronti di Ἀνάγκη, la necessità, il fato, il destino, la Μοίρα. Nel frattempo, mentre a lui è dato il dominio secondario sul mondo, il divino si mostra per quello che è: puro potere, assoluto potere. Per permettere a questi umani così convinti e così tristi di sterminarsi tra loro a Troia, Zeus impone ad Agamennone il sacrificio della primogenita Ifigenia. Per quale ragione? Nessuna, «perché un vero dio è assurdo».
Ecco, sta in questa frase, in questo particolare del testo che Pier Lorenzo Pisano ha tratto dall’Iliade e da altre tradizioni sulla guerra di Troia, sta qui l’intuizione che illumina uno spettacolo che sa ironizzare sul mito ma lo fa al modo di Dürrenmatt, cogliendone e mostrandone la forza; che sa riconoscere la potenza della guerra, il terribile amore che gli umani nutrono per essa e che soprattutto sa trasmettere l’enigma del sacro, che è appunto e anche l’assurdo.
I vermi verticali che siamo si alzano di tanto in tanto nella loro ὕβρις e sono convinti di aver compreso il dio, gli dèi. Ma il sacro rimane insoluto e anche per questo nel volgere dei millenni sa suscitare parole antiche che sembrano essere state pronunciate per la prima volta qualche mese fa. Le parole appunto di Semidei.

Vai alla barra degli strumenti