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Mitomania / Eracle

Sabato 4 giugno 2022 alle 15,00 a Lentini (Siracusa) terrò una lezione/conversazione nell’ambito dell’edizione 2022 di MitoMania, dedicata quest’anno a Eracle: il limite e l’illimite del divino e dell’umano.
Il titolo del mio intervento è «γενοίμην πέτρος; diventare un sasso». Πέρας e ὕβρις di Eracle.

Eracle, figlio di Zeus e di Alcmena, il più forte dei mortali e uno dei più generosi, è certamente il più grande degli eroi greci. E tuttavia Eracle viene annientato come uno qualsiasi dei figli dell’uomo, viene colpito negli affetti più fondi, nell’onore, nella saggezza. Perché?
Cercheremo di comprendere l’enigma della gloria e della morte di questo eroe, ancora una volta emblema dell’umano.

Illimitato

Πέρας, limite, è una parola fondamentale del vocabolario greco, vale a dire della vita dei Greci. Mηδὲν ἄγαν, nulla di troppo, non è un invito ad accontentarsi, a rassegnarsi, a patire ma è al contrario un’esortazione a cogliere la vita nella sua struttura complessa, ricca, a volte malinconica e altre spumeggiante, senza però -ecco il limite- pensare di imporre agli enti, agli eventi e ai processi la volontà umana, senza illudersi che tutto sia realizzabile, senza nascondersi che nella φύσις, nell’intero, esistono dei bastioni fisici e ontologici oltre i quali a nessuno è possibile andare.
La modernità nata dal volontarismo monoteistico è fatta invece di puro artificio, del sogno/incubo di una parte, la parte umana, che trasforma l’Intero sino a modificarne i fondamenti, immaginando persino di sconfiggere la morte. È la logica del funesto demiurgo contro cui gli gnostici hanno sempre pensato, scritto, operato. Il limite è quindi un tratto gnostico che induce non a rifare la realtà da zero -come fosse una tabula rasa– ma a rispettare l’immensa potenza che ci precede, la materia, anche se gli gnostici, ovviamente, non la chiamavano così ma la definivano pienezza, luce, Πλήρωμα. Vivere secondo natura significa anche «porsi il problema di come non ferire la trama della vita, di come ridurre nel migliore dei modi l’impatto dovuto ai nostri bisogni e consumi. Se c’è qualcosa che la natura indica perentoriamente, è il limite» (Eduardo Zarelli,  Diorama Letterario n. 364, p. 39).
Il totalitarismo contemporaneo, che si manifesta e agisce in molte e diverse maniere, è invece «l’essenza del sistema mondo-mercantile, alle cui leggi economiche e alla cui ‘metafisica’ finanziaria siamo sottoposti nell’intero pianeta. Il totalitarismo è una riduzione all’identico e si realizza nell’omogeneizzazione culturale espressa dai mezzi di comunicazione di massa e dalla mercificazione consumistica dell’esistenza» (Ibidem).
La cosiddetta ‘politica’ è ridotta a fungere da servitore e maggiordomo di queste potenze. Tre soli esempi che sembrano diversi e persino lontani e che invece a guardar bene sono convergenti nell’obiettivo di distrarre i cittadini attraverso gli strumenti dell’informazione spettacolare.
Il primo: Giuseppe Conte, un avvocato arrivato non si sa come alla presidenza del consiglio dei ministri in Italia; confinatore dei cittadini nelle case e loro consolazione serale in televisione; scalzato da vecchie volpi come Matteo Renzi e Mario Draghi e diventato il «curatore fallimentare che cerca di trovare dei buoni acquirenti di quel che è rimasto di un movimento che aveva scosso alle radici il sistema politico italiano e illuso parecchi milioni di elettori», di un movimento politico ora defunto, diventato stampella del Partito Democratico (Marco Tarchi, ivi, p. 34).
Il secondo: Matteo Salvini, un interessante caso degli effetti che la tracotanza, la perdita appunto del limite, può produrre. Convinto di poter arraffare tutto il banco, costui spinse il Movimento 5 Stelle nella bara del PD; azione che da quel momento ha segnato il declino suo e della Lega. Giustamente Tarchi scrive che Salvini «dall’agosto 2019 ha effettuato una serie di mosse difficilmente comprensibili alla luce della razionalità politica» (35).
Il terzo: Greta Thunberg. Con questo personaggio si entra pienamente nella Société du Spectacle. Il ritratto che ne fa Archimede Callaioli è duro ma realistico.
«Un’accozzaglia di slogans ad un livello perfino più basso di un comizio elettorale americano, una rabbia insulsa e di maniera nel pronunciarli, il precipitato del più vacuo movimentismo degli ultimi vent’anni incastonato nel vuoto pneumatico dell’assenza di qualunque proposta concreta, di qualsiasi preciso obiettivo da raggiungere; il sublimato del ‘bla bla bla’. […] Cosa vuole Greta? La fine dell’inquinamento. Come vuole ottenerla? Subito: ‘Domani è troppo tardi’, ‘Non c’è un pianeta B’. Il problema è che ‘subito’ è un ‘quando’, non è un ‘come’ o un ‘cosa’. […] Lei non è una radicale, è un fumetto che vive in una realtà fatta di chiacchiere e distintivo, una ‘realtà aumentata’, come dicono oggi i nativi digitali, dove ciò che è reale è ologramma e ciò che è ologramma è reale. Dietro questa pagliacciata c’è però un problema vero, quello di un modello di sviluppo che non è più sostenibile, e che va sostituito con un modello diverso, che non sia predatorio nei confronti del pianeta» (Ivi, p. 40).
E torniamo così al limite, che per le pratiche e la forma mentis capitalistiche non esiste. Un modello di sviluppo economico indefinito e astratto, impossibile e velleitario. La crescita senza limiti della popolazione umana; la crescita dello sfruttamento delle risorse del pianeta; la crescita della sottomissione di tutte le vite animali a un animale solo; la crescita dell’irrazionale convinzione di poter estrarre energia infinita da un pianeta finito; tutto questo è ὕβρις, ed è quindi destinato a fallire.
Un’affermazione di Ivan Illich sintetizza e disvela la dismisura contemporanea:
«I popoli primitivi hanno sempre riconosciuto la potenza della dimensione simbolica: hanno avvertito come una minaccia il tremendo, il terrificante, il misterioso. Questa dimensione poneva limiti non soltanto al potere del re e del mago, ma anche a quello dell’artigiano e del tecnico. Secondo Malinowski, solo la società industriale ha consentito che gli strumenti disponibili venissero utilizzati al massimo della loro efficienza; in tutte le altre società, una base fondamentale dell’etica era il riconoscimento di limiti sacri all’uso della spada e dell’aratro. Ora, dopo parecchie generazioni di tecnologia sfrenata, la finitezza della natura torna a turbare la nostra coscienza. […] La fabbricazione di un’ecoreligione sarebbe la caricatura dell’antica hubris»
(Nemesi medica. L’espropriazione della salute [Limits to medicine-Medical Nemesis: the expropriation of health, 1976], trad. di D. Barbone, Red!, 2021, p. 278).

Italia / Europa

GRAND TOUR. Sogno d’Italia da Venezia a Pompei
Gallerie d’Italia – Milano
Sino al 27 marzo 2022

[Barberi, Veduta dei Fori romani, 1854; l’immagine di apertura è di Hackert, I Faraglioni di Aci Trezza, 1793]

L’Italia, l’antico, la storia, la bellezza. L’Italia, fonte e antologia dell’Europa, è stata solcata, conquistata, abbandonata, ammirata, dipinta, scolpita. Alcune tracce se ne vedono nella mostra milanese dedicata al  Grand  Tour, al Grande Itinerario che attraversa le capitali -Roma, Venezia, Napoli, Firenze- ma anche centri minori e soprattutto l’Isola del mito, dell’incanto e della morte: la Sicilia.

[Waldmülle, Rovine del Teatro di Taormina, 1844]

Di essa, come è noto, Goethe affermò che «l’Italia senza la Sicilia non lascia alcuna immagine nell’anima. Qui è la chiave di tutto». Meno note ma altrettanto vere sono le parole che il poeta dedicò a Napoli, descritta come «un paradiso; tutti vivono in una specie di ebbrezza e di oblio di se stessi. A me accade lo stesso; non mi riconosco quasi più, mi sembra d’essere un altr’uomo» . Di Goethe si vedono qui alcuni celebri ritratti, ai quali fanno compagnia un ritratto di Piranesi e due di Winckelmann, uno degli scopritori del mondo greco, dell’arte classica, della sua perennità, misura, splendore. Il mondo greco non fu, naturalmente, solo quella misura ma fu anche vibrazione verso il limite ultimo della potenza, fu violenza, passioni, inquietudine. Una testimonianza è la statua della Artemide Efesia, che apre la mostra è che la domina con la sua sovrabbondanza di sacralità, distanza, implacabilità.

[Ducros, Teatro Greco di Siracusa]

Poi si susseguono, senza un ordine preciso e anche questa è una buona scelta, i luoghi dell’Italia, le città, le rovine -Roma, Pompei-, i vulcani -il Vesuvio e l’Etna-, i teatri -Siracusa, Taormina-, i templi -Agrigento, Paestum-, le feste -Venezia, Napoli-, le tempeste -come un singolare Temporale a Cefalù di Ducros (qui sotto), nel quale una imbarcazione sembra volare sui boschi e Zeus scagliare fuoco e folgori dal cielo.

E insieme al  cielo, i mari, le mura delle città, i palazzi, la vita, le esistenze, il tempo…

Qui l’umana speranza e qui la gioia,
qui’ miseri mortali alzan la testa
e nessun sa quanto si viva o moia.
Veggio or la fuga del mio viver presta,
anzi di tutti, e nel fuggir del sole
la ruina del mondo manifesta.
[…]
Passan vostre grandezze e vostre pompe,
passan le signorie, passano i regni;
ogni cosa mortal Tempo interrompe,
e ritolta a’ men buon, non dà a’ più degni;
e non pur quel di fuori il Tempo solve,
ma le vostre eloquenzie e’ vostri ingegni.
Così fuggendo il mondo seco volve,
né mai si posa né s’arresta o torna,
finché v’ha ricondotti in poca polve.
[…]
Tutto vince e ritoglie il Tempo avaro;
chiamasi Fama, et è morir secondo;
né più che contra ‘l primo è alcun riparo.
Così ‘l Tempo triunfa i nomi e ‘l mondo.

Francesco Petrarca, Trionfo del Tempo, vv. 64-69; 112-120; 142-145.

Giusy Randazzo su Tempo e materia

Giusy Randazzo
Una metafisica antropodecentrica
A proposito di Tempo e materia. Una metafisica
in Koinè, anno XXVIII – 2021
«Ideali di Comunità»
pagine 197-204

Indice
-La tetralogia sul tempo
-Una metafisica

«Dove è l’uomo, dunque, in questa prospettiva? Dove deve stare: al suo posto. Un posto minimo, scomodo, modesto, disagiato, persino carente, in cui l’esserci avverte la fatica del corpomente che ha il terribile privilegio di un’autoconsapevolezza in cui la ragione ha fatto irruzione mostrandogli la prospettiva che lo nientifica continuamente mentre lo fa essere nell’attesa di non essere più. Questa ontologia restituisce dignità a ogni ente e non a partire da una Natura-Dio – “Φύσις non è ‘natura’, φύσις è ἀρχή κινήσεως, è principio, origine e sostanza del mutamento, è costante divenire dell’ente che è e non sta fermo mai, la cui unica costante è μεταβολή, è la trasformazione, è quindi il divenire, è il tempo” (p. 94) – ma a partire da una filosofia prima che rimette al loro posto gli enti, gli eventi e i processi che da sempre sono dove devono essere e non sono dove non devono essere. Una metafisica che ci invita a tornare là: alla pienezza di senso della filosofia aurorale, almeno fintanto che ci sarà un tempo umano». 

Comunità scientifica

Teoria e prassi della comunità scientifica
in Koinè, anno XXVIII – 2021
«Ideali di Comunità»
pagine 99-114

Pdf del saggio

  • Indice del saggio
    -Che cos’è una comunità scientifica
    -Due teorie della pratica scientifica: Spinoza e Gentile
    -I Greci come comunità scientifica
    -Un caso empirico: Atene
    -La comunità scientifica come comunità libertaria
    -La comunità scolastica
    -La comunità universitaria
    -Canetti e Nietzsche: una gaia scienza

Una comunità scientifica è parte, forma ed espressione di una più ampia comunità politica, della πόλις, della storia e delle strutture collettive dalle quali germina e che la rendono possibile. A costituire in particolare una comunità scientifica sono alcune condizioni ed elementi che è possibile unificare e riassumere in questo modo: si dà comunità scientifica dove la curiosità prevale sul conformismo, dove la ricerca prevale sul dogma, dove la libertà prevale sull’obbedienza, dove la conoscenza diventa un fine in se stessa (autonomia) e non è rivolta ad altro da sé (eteronomia).
Rispetto all’attuale dominio dell’etica in ogni aspetto della vicenda umana e naturale -bioetica, deontologie, proliferare di etiche normative– i Greci ritengono che sia la filosofia stessa, la sua sostanza comunitaria e dialogica, la più efficace guida dei comportamenti, delle esistenze, dei conflitti.
La prassi quotidiana delle comunità scientifiche – intese specialmente come comunità accademiche – è inevitabilmente segnata dagli elementi che guidano tutte le comunità umane, da un misto di collaborazione, competizione, invidia, malevolenza, amicizia, legami che si creano e legami che si rompono. Gli elementi più problematici sono stati aggravati, in Italia ma non solo, dagli ordini dei decisori politici i quali da almeno un paio di decenni accentuano gli elementi della normativa che impongono competizioni, esclusioni, guerre interne.
Si tratta di modalità arcaiche e forse inevitabili della relazione, che nessuna modernità o postmodernismo può cancellare. Sarebbe però importante mantenere sempre la misura. 

Siddharta

Hermann Hesse
Siddhartha
(1922)
Traduzione di Massimo Mila
Adelphi, 1987
Pagine 169

Siddharta, figlio di un brahmino, conosce e pratica la preghiera e il culto verso gli dèi, ma non se ne accontenta. Diventa un Samana, pellegrino, povero, mendicante. Impara il saper pensare, aspettare e digiunare, ma non se ne accontenta. Incontra e ascolta il Buddha e da lui riceve l’indicazione fondamentale: la santità non sta nelle idee ma nell’essere. Per questo non rimane fra i discepoli del Sublime e s’immerge tra la gente, nei commerci, nella ricchezza. Conosce l’amore di una donna, pratica il gioco e ogni godimento, ma non se ne accontenta. Diventa amico e discepolo di un barcaiolo che sa sentire la voce saggia e senza fine del fiume. Da lui impara l’ascoltare e apprende una serenità senza macchia. Per la prima volta ama e soffre per un essere umano: il figlio, verso il quale «il suo amore, la sua tenerezza, la sua paura di perderlo» si rivelano più forti di ogni meditazione e di ogni sapere (p. 141).
Alla fine di questo itinerario tra le forme molteplici del vivere, Siddharta è diventato ciò che è: un sorriso del mondo, la sapienza dell’unità, la perfezione dell’essere.

E così parve a Govinda, questo sorriso della maschera, questo sorriso dell’unità sopra il fluttuar delle forme, questo sorriso della contemporaneità sopra le migliaia di nascite e di morti, questo sorriso di Siddhartha era appunto il medesimo, era esattamente il costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l’aveva visto centinaia di volte con venerazione. Così – questo Govinda lo sapeva –  così sorridono i Perfetti (168).

Su tutto domina una dimensione di totale interiorizzazione. Nella solitudine di colui che cerca, nella sua anima, si svolgono la vicenda, la fatica, la gioia del mondo. A lui si apre lo spettacolo iridescente e sempre uguale della forme e degli umani. Quegli umani che Siddharta insieme ama e disprezza, uomini-bambini (così li chiama) afferrati da passioni, dolori, soddisfazioni per enti ed eventi che agli occhi del saggio rappresentano un gioco.
Gli uomini, i molti, «sono come una foglia secca, che si libra e si rigira nell’aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c’è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino» (93).
A Siddharta, stella variabile e insieme ferma, gli eventi e il divenire rivelano alla fine la loro cifra più nascosta: il senso delle cose non è oltre e dietro di loro ma nelle cose stesse, nel loro tutto, nell’intero del quale è parte anche il tempo come increspatura dell’immobile infinità dell’essere. Ogni cosa è dunque perfetta:

In quell’ora, Siddhartha cessò di lottare contro il destino, in quell’ora cessò di soffrire. Sul suo volto fioriva la serenità del sapere, cui più non contrasta alcuna volontà, il sapere che conosce la perfezione, che è in accordo con il fiume del divenire, con la corrente della vita, un sapere che è pieno di compassione e di simpatia, docile al flusso degli eventi, aderente all’Unità (156).

Il mondo è perfetto, la Necessità lo governa. Sapienza è benedire la vita al di là di ogni passione, pensiero o dottrina. Ciò che va non può andare diversamente, ciò che accade non può in altro modo accadere. Il sorriso del Perfetto è l’ironia stessa di una sapienza senza trascendenze, riscatti, salvezze, senza senso alcuno. Sapienza del vuoto e del nulla che è l’altra parola per l’essere.
Lo stesso disincanto, gaiezza e sorriso di Spinoza. Lo stesso disincanto, gaiezza e sorriso dei Greci.

Odissea

Umanità irrequieta, nel mare e nel sole di un viaggio rapsodico
il manifesto
21 gennaio 2022
pagina 11

Il personaggio e la persona di Odisseo sono una delle incarnazioni più emblematiche dell’ermeneutica, del fatto che la vera storia di una figura letteraria, di un’opera, di un concetto sono i suoi effetti nel tempo. E questo conferma la potenza degli antichi canti dei Greci che vennero selezionati, messi per iscritto e ai quali si diede il titolo di Iliade, la guerra, e di Odissea, i viaggi e i ritorni. Vale a dire i due archetipi della letteratura universale perché modello e forma delle esistenze di tutti noi: i conflitti, la casa, gli affetti, lo spazio, l’inquietudine, la morte.

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