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Educarsi

La pedagogia, con le sue propaggini didatticiste, è uno dei finti saperi che riempiono la modernità. I Greci ne ignoravano l’esistenza e sapevano, invece, educare. Pensavano, infatti, che l’essenziale si impara da sé, dal riflesso che il fluire del mondo lascia nei nostri occhi e che nessun maestro -bravissimo o inetto che sia- ci può insegnare. Questo è l’evidente segreto del socratismo.

Morire nella luce

Diagora era stato un grande atleta, più volte premiato a Olimpia. Ebbe un giorno la gioia di assistere anche alla vittoria dei suoi tre ragazzi negli agoni olimpici. Osannato dalla folla e abbracciato dai figli -che gli offrirono in dono le proprie corone-, ricevette da uno spartano questo saluto: «Muori ora, Diagora, perché certo non potrai salire all’Olimpo» (Plutarco, Vita di Pelopida).
Faust muore -secondo il patto che aveva sottoscritto- quando nel colmo della gioia dice all’attimo, al tempo, «Verweile doch, du bist so schön!» (Fermati, dunque, sei così bello!) (Faust, vv. 1700 e 11582). Goethe, autore di questo verso, sembra che sia morto invocando la luce: «Mehr Licht! Mehr Licht!» (Più luce, più luce!). Così muoiono i pagani. Uno dei loro poeti scrisse che morire in Sicilia, isola di tripudi e di sfacelo, «è acquietarsi nella luce».

Kavafis

Constantinos Kavafis
SETTANTACINQUE POESIE
A cura di Nelo Risi e Margherita Dalmàti
Giulio Einaudi Editore, Torino 1992
Pagine 219

Centocinquantaquattro poesie scrisse Kavafis, all’intersezione tra il mito, la storia, le passioni. Là dove «la memoria del corpo» (Ritorna, pag. 69) si coniuga al «monotono giorno da un monotono identico giorno seguìto» (Monotonia, 79). «Miseri balocchi della sorte» (I cavalli di Achille, 21), gli umani di Kavafis sono intessuti di sensualità, di desiderio, di racconto, di storia, di tempo. E cosa sarebbe tutto questo senza la parola che lo celebra?

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Edipo Re

Piccolo Teatro Strehler – Milano
Edipo Re
di Sofocle
traduzione di Raul Montanari
con Franco Branciaroli
scene di Pier Paolo Bisleri
regia di Antonio Calenda

La scena è cupa. Ai lati due facciate di palazzi, al centro un lettino sul quale è sdraiato Edipo con davanti a sé un uomo seduto che prende appunti. Evidente il riferimento alla psicoanalisi. È il re che narra a se stesso il proprio delirio. Il coro, Creonte, Giocasta, Tiresia, i pastori che lo salvarono, sono ombre che emergono dal buio della psiche. Giocasta e Creonte non hanno neppure una voce autonoma, è Edipo/Branciaroli a parlare anche per loro. Molto bello, in particolare, il duetto tra il re e Tiresia -cuore della tragedia- nel quale le due voci appaiono davvero due, come se Tiresia raccontasse ciò che da sempre l’inconscio di Edipo sapeva.
Nonostante il peso eccessivo della lettura psicoanalitica, il risultato di questa messa in scena è ancora greco. Gli attori sono tutti maschi; il dramma si colora spesso di grottesco poiché, come sosteneva Platone, «tutto ciò che è umano non è, in complesso, degno di essere preso molto sul serio» (Leggi, 803b); l’inesorabilità della Ananke vi appare subito, sin dai silenzi e dalle ombre iniziali.
Il testo di Sofocle è davvero, in qualunque modo lo si interpreti, uno dei vertici del pensiero greco, e quindi universale.

 

Les Grecs

NOUVELLE ÉCOLE
LES GRECS

Numéro 58 – Année 2009
Éditions du Labyrinthe
Paris, 2009
Pagine 168

Per i Greci morire non è la cessazione del respiro ma la cessazione della luce; i poemi omerici ripetono in modo ossessivo la formula “vivere e vedere la luce del Sole”. I Greci sono uomini che convivono con gli dèi invece che porli in una alterità che col pretesto di rendergli onore in realtà uccide il divino. Marcel Conche afferma con piena ragione che «le dieux sont dans le monde, associès aux hommes pour diriger les cités. Quant au dieu au singulier, il est immanent au devenir universel et en est le rythme même» (p. 11). Che a dispetto e al di là di ogni differenza, «le dieux et les hommes aient une même origine» (J. Haudry, 41) è dovuto anche al dominio che su di loro, su tutti loro, esercita il tempo.

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Passioni

I monoteismi impongono una cura chirurgica delle passioni, il cui effetto è l’opposto dell’equilibrata soluzione greca che consiste nel dare di tanto in tanto uno sfogo festoso alle cattive inclinazioni. È questo l’elemento etico del paganesimo rimasto fin dal principio incomprensibile all’ordine morale ebraico, cristiano e islamico. I Greci riconoscevano l’inevitabilità del desiderio e della violenza insiti nella natura umana e invece di tentare ingenuamente di estirparli preferivano dar loro una legittimazione sociale e una ritualizzazione che favorisse l’espressione dell’estremo conservando nel contempo il controllo delle sue manifestazioni. Si tratta di una forma di libertà interiore e comportamentale la quale non si mutila della dimensione ebbra e dionisiaca che abita al fondo dei cuori umani non ancora spenti. Tenta piuttosto di consentirle uno sfogo moderato atto a salvaguardare sia l’elemento orgiastico che quello razionale.

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