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Platone

Platone, la filosofia
in Vita pensata n. 16/2017
pagine 7-10  (pdf)

«Platone è la tenacia della mente che mai si ferma nel domandare fino a che non pervenga alla chiarezza del concetto, all’apprensione più completa possibile degli enti, degli eventi e dei processi. Anche per questo Emerson riteneva che Platone fosse la filosofia e Whitehead aggiungeva che la storia del pensiero può essere considerata un lungo commento al filosofo greco.
Qual è il senso di queste iperboli? Platone è un dispositivo di conoscenza, un’autentica macchina concettuale che a ogni parola genera visioni, domande, prospettive. Platone è l’indagine che racchiude il gaudio e l’inquietudine, la vita stessa nelle sue potenzialità liete e mortali. La sobrietà e l’ebbrezza con cui questo filosofo costruisce i suoi dialoghi in un costante contrappunto teoretico sono l’espressione di una profonda unità fra vita e sapere. Anche Platone, come ogni pensatore greco, ha dominato l’impulso conoscitivo a favore della vita. Le sue opere coniugano ricerca razionale e indagine misterica: “Chi non sente il continuo tripudio che pervade ogni battuta e ogni replica in un dialogo platonico, il tripudio sulla nuova invenzione del pensiero razionale, che cosa comprende di Platone, che cosa dell’antica filosofia?”».

Il Drago

Teatro Greco – Siracusa
Fenicie
(Φοίνισσαι)
di Euripide
traduzione Enrico Medda
con Simonetta Cartia (prima corifea), Gianmaria Martini (Polinice), Guido Caprino (Eteocle), Isa Danieli (Giocasta), Michele Di Mauro (Creonte), Yamanuchi Hal (Edipo), Alarico Salaroli (Tiresia), Giordana Faggiano (Antigone), Matteo Francomano (Meneceo), Massimo Cagnina (araldo), Eugenia Tamburri (pianista)
scena e costumi Carlo Sala
regia Valerio Binasco

Venendo dalle terre di Tiro e dirette a Delphi, arrivano a Tebe delle donne fenicie. Raccolte in un angolo, vedono i figli di Edipo azzannarsi tra loro, osservano i lamenti e le inutili esortazioni della madre Giocasta, assistono al compiersi delle maledizioni che da sempre hanno colpito la casa di Cadmo.
Giocasta, pur nel suo schianto, sa che «bisogna sopportare ciò che dagli dèi ci proviene». Da loro deriva anche il fatto, lamentato da Polinice, che «un uomo nobile come me, se povero non è niente». E da loro nasce anche l’immensa ambizione, la forza divina del potere, che Eteocle non è disposto a restituire al fratello, come pure era nei patti. «Se è necessario agire ingiustamente, la cosa migliore è farlo per il potere» dichiara. E fa seguire alle parole l’azione furente, inevitabile, cieca.
L’eco della musica, dalla quale la tragedia ebbe nascita, batte nei tasti di un pianoforte che fa da sfondo alla scena e le cui note si coniugano a quelle della percussione mortale che scandisce i nomi dei sette eroi giunti a distruggere le porte di Tebe. Sono i colpi di Aδράστεια, maestra di Zeus. L’Inevitabile prende qui la voce di Tiresia, avvezzo a vedere gli umani cangiare desideri, volontà e pianti al volgere della sorte e del suo derularsi.
La musica dal vivo; l’accento straniero del Coro e le maschere che ne accentuano la distanza; la costanza della ferocia nel tempo (mostrata anche dai costumi militari contemporanei); la fragilità dell’umano, simile alle vele sottili che si muovono nel vento di Siracusa a dire che anche mura ciclopiche diventano un soffio davanti ad Ἀνάγκη, costituiscono le soluzioni registiche più convincenti, le quali compensano altre invece decisamente discutibili. Tra queste soprattutto l’accento comico dell’araldo che annuncia terribili eventi e che -davvero- non può suscitare le risa del pubblico. Conferma di quanto il nostro tempo, pur abituato a carneficine di ogni tipo, sia in realtà incapace di sostenere il tragico e abbia bisogno del riso anche là dove riso non può esservi.
La recitazione è stata nel complesso modesta. So bene che interpretare il teatro dei Greci è molto difficile poiché il sentimento deve erompere ma anche rimanere nei limiti della consapevolezza dell’inevitabile. Qui invece alcuni personaggi -in particolare Giocasta ed Eteocle- riempiono la scena di un eccesso sentimentalistico che non è greco. Il tragico, infatti, è il contrario del sentimentale.
In questo panorama si stagliano le voci profonde di Edipo, lucidamente consapevole che «la volontà oscura degli dèi» richiede che tutto si compia, e di Tiresia, il quale proclama che Ares «vuole vendicare la morte della biscia schifosa», di quel drago ucciso da Cadmo ma la cui potenza uccide i suoi discendenti.
In qualunque modo la si metta in scena, la tragedia greca mostra che «contro il pensiero della necessità non vi è scampo» (Nietzsche, Frammenti postumi 1884, 26[82]).

La mente in Omero

Uno dei testi studiati nell’ambito del corso di Filosofia della mente dell’attuale anno accademico è il libro di Antony A. Long La mente, l’anima, il corpo. Modelli greci.
Metto a disposizione su Dropbox la registrazione audio della lezione nella quale abbiamo in particolare discusso dello statuto della mente nei poemi omerici. Si tratta della seconda parte della lezione del 22 marzo 2017: La mente in Omero
La durata è di 45 minuti.

Archetipi tribali

KEITH HARING
About art

Milano – Palazzo Reale
A cura di Gianni Mercurio
Sino  al 18 giugno 2017

Uno dei massimi artisti del Novecento fu Keith Haring. Giovane -visse 32 anni-, vivace, ironico, innovatore. E insieme assai colto. Nella sua opera si racchiude e squaderna una ricca varietà di prospettive, fonti, sintesi: come la semiologia, l’etnologia, le culture tribali. Quella di Haring è una etnopittura rinascimentale e astratta nella quale l’uomo vitruviano di Leonardo assume le sembianze di un pittogramma antropomorfo -l’«omino»- che si sostanzia di riferimenti espliciti all’arte antica. Scrisse infatti Haring che «I feel in some way that I may be continuing a search, continuing an exploration that other painters have started. I am not a beginning. I am not an end. I am a link in a chain. […] There is a lot to be learned from antiquity and their use of symbols». Anche per questo fu propenso a utilizzare «basic structures that are common to all people of all times» e con esse fu capace di esprimere gli archetipi universali di una specie che ha bisogno di simboli come si nutre di pane. Il pane lo produce dal grano che germina nei campi, i simboli dalla distesa spaziotemporale della propria storia ontogenetica e filogenetica.
E così in questa mostra alle opere di Haring si affiancano il calco di un Combattimento di centauri e lapiti e una ceramica antica  in forma di Antefissa con Gorgone; un grande fregio del 1984 è messo a confronto con un  fregio tratto dalla Colonna Traiana; un bronzo in tre parti sta accanto a una antica pala d’altare, della quale Haring ricrea lo spessore ieratico, la materia sacra.
Profonda è in questo artista l’ammirazione per l’opera di Hieronymus Bosch, che ritorna nella moltiplicazione di simboli i quali pongono in continuità l’umano e altri animali; nelle ripetute immagini di draghi; nella visionarietà materica e arcaica. In Untitled (1986, riprodotto qui sopra) dentro un giallo lampante sono nascoste e insieme risultano evidenti citazioni da Michelangelo, Cranach, Picasso, Bosch. In altri quadri emerge il postmoderno, con riferimenti a Dubuffet, Mondrian, Léger, Pollock, Alechinsky. Alcuni dipinti sembrano ispirati a decorazioni arabe. Ovunque un flusso di geometrie scandite e intrise di tenerezza, dalle quali gorgogliano totemismo e sciamanesimo, culture africane e azteche.
L’ultima sala raccoglie opere e video dei disegni realizzati da Haring per la metropolitana di New York. In due di essi -che chiudono questa preziosa mostra- è possibile riconoscere una Madonna col bambino e una Trinità. Ancora una volta, dall’inizio alla fine della sua breve e scintillante parabola, Keith Haring coniuga aniconismo e simbologia. Lo fa in modo profondo in un Untitled del 1989 (qui a sinistra), nel quale convergono dentro un cerchio i corpi in movimento. Come una danza di grande bellezza.

Erinni

Teatro Greco – Siracusa
Sette contro Tebe
(πτὰ π Θήβας)
di Eschilo
traduzione Giorgio Ieranò
con Marco Foschi (Eteocle), Anna Della Rosa (Antigone), Aldo Ottobrino (messaggero)
scena e costumi Carlo Sala
regia Marco Baliani
Sino al 25 giugno 2017

« μεγάλαυχοι καὶ φθερσιγενεῖς / Κῆρες Ἐρινύες, αἵτ᾽ Οἰδιπόδα / γένος ὠλέσατε πρυμνόθεν οὕτως» -Superbi Destini / annientatori di stirpi, / Erinni che la schiatta di Edipo / così dalle radici schiantaste-  (vv. 1055-1056, trad. di Franco Ferrari).
Il grido di vittoria, il «δυσκέλαδόν θ᾽ μνον Ἐρινύος» -il dissonante inno dell’Erinni- (867, trad. di Monica Centanni) per aver distrutto la stirpe di Edipo risuona all’infinito dentro il mito e mostra la forza implacabile degli eventi concatenati gli uni agli altri, dentro più dentro le passioni umane, il cui andare è stabilito dall’ininterrotto divenire dei desideri, delle ambizioni, del gelo e delle follie.
«θεῶν διδόντων οὐκ ἂν ἐκφύγοις κακά» -Quando gli dèi vogliono donarci sciagure, non c’è chi possa sfuggirvi!- (719, trad. Centanni). Non possono farlo i due fratelli Eteocle e Polinice, che la maledizione di Edipo verso il frutto del proprio sperma ha condannato all’inimicizia. Non può farlo Antigone sorella, che vorrebbe tenere unito ciò che è frammento, conflitto, vergogna. Non può farlo Tebe, uscita salva ma straziata dall’assalto dei tremendi guerrieri riuniti da Polinice contro Eteocle. Se soltanto una città felice può rendere onore ai suoi dèi, Tebe rende onore alla morte e alla guerra. Le quali in questo spettacolo arrivano come suono dei nitriti di stormi di cavalli all’assalto, come furia di venti senza posa, come porte che cedono mentre la terra si apre diventando fuoco e tomba.
Muore il soldato, così saldando il suo debito con la Terra, muoiono l’umano e la città, il cui mutevole destino sta nella carne, sostanza dal potere implacabile, il cui esito ultimo è «ἐρέσσετ᾽ μφὶ κρατὶ πόμπιμον χεροῖν / πίτυλον, ὃς αἰὲν δι᾽ Ἀχέροντ᾽ μείβεται / τὰν ἄστολον μελάγκροκον [ναύστολον] θεωρίδα, / τὰν ἀστιβῆ πόλλωνι, τὰν ἀνάλιον / πάνδοκον εἰς ἀφανῆ τε χέρσον» -il battito che sospinge / il battito che senza requie per l’Acheronte / traghetta il disadorno corteo / trapunto di nero desolato di luce / non calcato da Apollo, / verso il paese oscuro che tutti accoglie (855-860; trad. Ferrari).
Alla guerra vista e descritta da queste altezze, la regia di Marco Baliani offre alcune soluzioni sceniche di notevole impatto ma anche l’insensatezza di una premessa nella quale si spiega l’antefatto (questo lo faceva Euripide, non Eschilo) e soprattutto l’inaccettabile aggiunta di un commento dopo le conclusive parole dell’autore.
Nonostante tali limiti risuona ancora a Siracusa Erinni, «θεόν, οὐ θεοῖς μοίαν» -la dea che agli altri dèi non somiglia- (722, trad. Centanni). Quando essa incede nel tempospazio «Φόβος γὰρ ἤδη πρὸς πύλαις / κομπάζεται» -Terrore già esulta alle porte- (500, trad. Ferrari). Ne percepiamo il suono, ne sentiamo la potenza.

Riferimenti bibliografici
Eschilo, Le tragedie, traduzione e cura di Monica Centanni, Mondadori 2003
Eschilo, Persiani, Sette contro Tebe, Supplici, traduzione e cura di Franco Ferrari, Rizzoli 1997

Callas / Dioniso

La presentazione del volume Mille e una Callas nel Foyer del Teatro Bellini di Catania è stata un’occasione di confronto e di arricchimento al di là dei confini disciplinari.
Metto qui a disposizione la registrazione audio del mio intervento, che si può anche ascoltare e scaricare da Dropbox: Biuso_Callas_13.5.2017.
La durata è di 13 minuti circa.

[audio:https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2017/05/Biuso_Callas_Catania_13.5.2017.mp3]

Dionisismo

Mercoledì 17 maggio 2017 alle 17.30 nell’Aula Magna del mio Dipartimento terrò un seminario dal titolo Tarantismo e dionisismo nelle culture mediterranee.
L’incontro fa parte del Med Photo Fest 2017.

Abstract
La continuità di alcuni archetipi nel volgere dei millenni rappresenta uno degli elementi di identità del Mediterraneo e delle sue culture. Uno di questi elementi è il fondamento pagano di molte manifestazioni collettive, feste, forme d’arte.
Proverò a mostrare gli elementi comuni alle ricerche etnologiche di Ernesto De Martino, confluite ne La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, e all’espressione musicale della Taranta Power di Eugenio Bennato.
Lo scopo sarà comprendere come il dio più mediterraneo della religione greca, Dioniso, sia ancora ben presente nella vita collettiva della contemporaneità.

Ulteriori informazioni (link al sito d’Ateneo)

locandina_biuso_tarantismo

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