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Sloterdijk / Gnosi

Recensione a:
Peter Sloterdijk
NEGARE IL MONDO?
Sullo spirito dell’India e la gnosi occidentale
InSchibboleth, 2019
pagine 126
in Diorama Letterario – numero 356 – Luglio/Agosto 2020
pagine 24-25

Le metafisiche gnostiche, induiste e buddhiste partono tutte dalla medesima constatazione, da una pura fenomenologia dell’esserci: «Il mondo fa male: ci devono essere dei motivi. Se si conoscono questi motivi, si può far tornare tutto al suo posto».
La metafisica è una presa d’atto, una consapevolezza, una terapia. Presa d’atto della condizione nella quale non soltanto l’umano ma ogni vivente si trova; la consapevolezza delle ragioni per cui ci si trova in tale condizione; una terapia per uscirne, sempre nei limiti dati dall’essere temporale dei viventi. Tutto questo si può riassumere in un’espressione efficace come «ermeneutica dell’esser-capitati», vale a dire nella pratica teorica di una indagine sull’esserci come frutto immediato di volontà cieche -lo sperma, l’ovulo, il desiderio, la ripetizione, il consueto, il caso– e come risultato mediato di strutture fondamentali -la materia, il divenire, la finitudine, il tempo.

Il dominio della lotta

Metafore politiche contemporanee
in Vita pensata, numero 21, gennaio 2020
pagine 87-90

Tre film. Tre narrazioni simboliche del sociale e della sua violenza. Una narrazione è infatti e alla fine la vita degli umani. Di questi animali che nutrono lo struggente e magnifico desiderio di comprendere con la parola e con la scrittura il mondo del quale sono parte. Essi che «invecchiarono senza avere requie; morirono, non trovavano alcuna verità, non conoscevano il Dio della verità. Fu così che tutta la creazione divenne schiava per tutta l’eternità, dalla fondazione del mondo fino a adesso. Presero mogli e generarono figli dalle tenebre, a immagine del loro spirito; chiusero i loro cuori, e dalla insensibilità dello spirito di opposizione, divennero insensibili fino a adesso»1. E oltre.

Nota
1. «Apocrifo di Giovanni», in Testi gnostici, a cura di Luigi Moraldi, Utet 1997, § 30, p. 161.

Euripide

Mercoledì 15 maggio 2019 alle 14.30 nell’aula 252 del Dipartimento di Scienze Umanistiche parleremo di Euripide in occasione delle rappresentazioni delle tragedie Elena e Le troiane, in scena al Teatro greco di Siracusa per la 55a Stagione di spettacoli classici dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA). L’evento è organizzato dall’Associazione Studenti di Filosofia Unict.
Tenteremo un’analisi dell’opera euripidea che faccia emergere la concezione tragica e insieme innocente che i Greci avevano del mondo. In loro abita un’accettazione profonda della nostra natura intrisa di limite, tempo, balbettio, tramonto. Assai più grande è infatti la forza degli dèi rispetto alla fragilità di una condizione finita. Se «la sorte dell’uomo è patire» (Ippolito, trad. di Filippo Maria Pontani), questo è dovuto alla volontà dei Numi, che sono anch’essi materia che desidera.
Nelle Baccanti Dioniso afferma che «io non dovrò mai subire / quello che non è scritto nel mio destino». Il destino di dolore e di morte era scritto nel nome di Penteo, il destino di vittoria, di euforia, di saggezza e di canto era scritto nel nome di Dioniso, «il dio dell’evoè». L’umano è la mescolanza di questi destini.
L’arte di Euripide trova uno dei suoi vertici nella preghiera panteistica che Ecuba, donna e regina al culmine della disperazione, rivolge a Zeus, preghiera nella quale i nomi degli dèi trascolorano nella forza senza fine e senza senso della materia agra: «Sostegno della terra, tu che siedi sopra la terra, chiunque tu sia, Zeus, così arduo a immaginare, oppure legge forzante di natura oppure mente dell’uomo, a te la mia preghiera. Per silenti tramiti muovi ed ogni umana cosa secondo il giusto guidi» (Le troiane).
Parleremo in particolare di Elena, tragedia nella quale si fa evidente come e quanto i percorsi del mito e degli dèi siano rizomatici, labirintici, cangianti, imprevedibili. Il politeismo greco è anche libertà rispetto a ogni monoteismo ermeneutico, a ogni unicità del divino, a ogni identità immutabile del dio. Qui Elena è infatti un personaggio del tutto diverso dalla Elena omerica e dall’universale biasimo che l’accompagna. Elena è un simbolo orfico di nascondimento e rinascita, una gemella di Dioniso, un itinerario che gli gnostici presero a modello di gettatezza e riscatto, disvelante le apparenze e volto verso la luce.

«La necessità dell’imprevisto»

Sul numero 18 di Vita pensata (Febbraio 2019) Lucrezia Fava conduce un rigoroso «itinerario nel mito gnostico» (pagine 26-37), nella sua complessità, nel suo significato.

«In tale contesto il mondo appare una negatività assoluta: qualcosa che c’è e non dovrebbe avvenire giacché non vi è alcuna giustificazione per la sua essenza malvagia. L’unico regno legittimo infatti è quello del Pleroma, necessitato dalla sua stessa natura divina a esserci. Eppure anche l’esistenza del mondo è a suo modo necessaria: l’ignoranza e l’errore di Sophia, la crisi interna al Pleroma, lo scarto delle passioni al di fuori del Pleroma, in breve gli antecedenti all’origine del mondo secondo il mito, sono eventi inevitabili nel processo emanativo del Principio, dato che si tratta di un processo deterministico. La cosmogonia delineata dai testi gnostici è la distribuzione del tutto attraverso un processo evolutivo, degenerativo e ricostitutivo che risponde fedelmente al Λόγος di Dio; da Dio tutto si dispiega e di Dio tutto va mostrando le forme, la struttura e la dinamica secondo necessità. L’avvento del mondo, allora, va inteso come la necessità dell’imprevisto» (p. 33).

 

Kubrick gnostico

In occasione dei cinquant’anni dall’uscita di 2001. A Space Odyssey, martedì 11 dicembre 2018 l’Università Ca’ Foscari di Venezia ha organizzato un Convegno dal titolo 2001: l’Odissea di Kubrick e la Mente Cinematografica. Vi terrò una relazione su Kubrick gnostico: il cinema come materialuce. La sede del Convegno è l’Auditorium Santa Margherita di Venezia.

Pubblico qui l’abstract della mia relazione

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Plato is Philosophy and Philosophy is Plato. L’affermazione di Emerson potrebbe essere volta in questa forma: Kubrick is Cinema and Cinema is Kubrick. La perfezione tecnica, la forza delle immagini, l’unitarietà del percorso che da Day of the Fight (1951) conduce a Eyes Wide Shut (1999), la continua innovazione e un classicismo fuori dal tempo, sono alcune delle ragioni che giustificano l’identificazione tra Stanley Kubrick e l’arte cinematografica. Il senso dei suoi film è evidente e nello stesso tempo inaccessibile, come l’esistenza. Esso nasce da una antropologia negativa perché fin troppo illuminata, dentro la quale si mostra la radice gnostica del pensiero di Kubrick. Gnosi è anche la possibilità di attraversare il buio, l’incomprensibile, l’enigma -come fa David nella sezione Jupiter and Beyond the Infinite di 2001– senza soccombere ma anzi diventando luce e dalla luce rinascendo. In tutta l’opera di Kubrick il familiare diventa mostruoso, la Heimat –la dimora, la terra, l’Overlook Hotel- si trasforma nello Unheimlich, nell’inquietante dentro la cui ombra ci si può smarrire. Ma l’occhio della mente cinematografica e filosofica può guardare la Gorgone e non morire: gli occhi chiusi/spalancati su questo mondo oscuro si aprono ad altre visioni poiché –afferma Kubrick- «il vero scopo di un film è fare luce».
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La Gnosi pagana

Recensione a:
Paganisme?
di Aa. Vv.
«Krisis», n. 47 – juin 2017 – pp. 184

in Vita pensata
Numero 17 – Aprile 2018
Pagine 78-80

Il Sacro non è altrove, non è l’Altrove. Il sacro è ora, qui, sempre, è l’unità di materia, animalità, mondo. Gli dèi sono i nomi di questa immanenza. Essi abitano accanto a noi, intorno a noi, dentro di noi. I paganesimi esprimono l’ancestrale panteismo di tutte le comunità umane, di tutte le culture. Una delle forme religiose e filosofiche più pervasive, lucide e feconde, la Gnosi, germina da tale humus, da questa terra, dai politeismi mediterranei e orientali. I contributi che compongono il numero 47 della rivista Krisis argomentano anche questo nodo antropologico e teoretico.

 

Verità

Platone a Colmar
Una lettura gnostica de L’essenza della verità di Heidegger
in «InCircolo – Rivista di filosofia e culture»
Numero 4 – Dicembre 2017
Pagine 111-129

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Abstract
del saggio:

«The gnostic fundament of Martin Heidegger’s thought not only comes out of Geworfenheit which is treated in Sein und Zeit, but also out of all from the most important concepts of his philosophy: from the truth as ἀλήθεια to the ontological difference. One of the texts which better expresses such a root is the university course Heidegger dedicated to Plato in the winter semester 1931/32. Theaetetus and The Republic analysis, the ascent to the sun of knowledge consists of an ontological way from the darkness to the light. The paper attempts to pick up and argue the gnostic dimension spreading throughout this course, even if paying attention to the development of the Heidegger’s philosophy in its entirety. A peculiar figurative example of such a dimension is The Isenheim Altarpiece of Matthias Grünewald».

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Indice del saggio:

Premessa
1. Idea e Un-verborgenheit
2. Gnosi e ontologia
3. La Gnosi al di là del bene e del male
4. Gnosi, verità, tempo
Immagine
Bibliografia

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