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Stefano Isola su Ždanov

Stefano Isola
Per un’ascesi barbarica
ACrO-Pólis
25 agosto 2024
pp. 1-5

«Questo di Biuso è un libro necessario per orientarsi nella situazione di barbarica decadenza in cui viviamo, e lo è anche per la sua capacità, assai rara nel quadro degli attuali tentativi di ridefinizione degli strumenti concettuali per la critica del presente, di realizzare generosamente l’auspicio del suo stesso autore: scrivere un testo che sia non soltanto una critica al wokismo dilagante, ma un più generale “tentativo di ragionare sulla difficoltà o persino sulla impossibilità di buona parte della cultura dominante di pensare il mondo”. In tale ampia prospettiva il libro di Biuso dedica ricche ed ispirate disamine a questioni fondamentali come la dissoluzione della scuola e dell’università, e l’oscurantismo antibiologico della cosiddetta gender theory, in capitoli che meriterebbero ciascuno una recensione a parte.
[…]
I fenomeni collettivi che vanno sotto la denominazione di woke e di cancel culture, insieme ad esiti apparentemente bislacchi come gli abbattimenti di statue o la censura nell’insegnamento scolastico di poeti e pensatori del passato in nome di dogmi del presente, sedimentano ed alimentano l’annullamento e il superamento dei dati di realtà – tra cui la distinzione biologica tra i sessi, ma anche tra salute e malattia, tra materico e digitale, tra reale e virtuale – spingendo l’intera cultura occidentale nella trappola di un narcisismo egotico in cui tutti possono essere tutto nello stesso momento in cui sono portati benevolmente per mano verso il nulla, verso la perdita di ogni differenziazione culturale ed esperienziale e dunque di ogni significato effettivo. E proprio nella misura in cui si dissolve il confine tra verità e finzione, tra ciò che si dà e ciò che si inventa, tra ciò che si produce naturalmente e ciò che viene artificialmente simulato ed implementato, si configura un macroscopico processo di ingegneria sociale assegnato alla decostruzione delle dimensioni umane prodotte dalla biologia e dalla storia, ed al loro oltrepassamento verso la dimensione del transumanesimo»

[La recensione è uscita anche sulla rivista La Fionda, il 6 settembre 2024 e sul bellissimo periodico Il Covile il 19 settembre 2024.  Di questa terza uscita è disponibile anche il pd,, pagine 1-6]

Marta Mancini su Ždanov

Marta Mancini
Ždanov o della superiorità (im)morale
Aldous
3 luglio 2024
pagine 1-4

«La chiave per comprendere la sottocultura che va sotto il nome di politically correct, con gli annessi dispositivi della cancel culture e del wokismo, è senz’altro la sudditanza all’egemonia culturale d’oltreoceano, sostenuta da una forte matrice identitaria radicata nel puritanesimo protestante e nel più profondo calvinismo. Nonostante la crisi in cui versa il progetto economico-finanziario della globalizzazione, gli effetti che ha generato nelle mode culturali sono ancora tangibili e più stringenti che in passato, anche se il compito di conservare la supremazia statunitense ha passato la mano allo sforzo bellicista, naturalmente a spese di altri paesi e lontano dalla geografia fisica della democraticissima nazione che ha sempre molto da insegnare, specialmente in superiorità etica.
Da una simile prospettiva prende avvio l’ultimo libro di Alberto Giovanni Biuso, da poco uscito per Algra Editore, Ždanov. Sul politicamente corretto nel quale l’autore percorre i tratti di tale contesto culturale mostrandone con critica passione i sintomi, i presupposti impliciti, la pervasività, le sostanziali contraddizioni ma anche la possibilità di uscirne attraverso un atto coraggioso di libertà che è prima di tutto libertà di pensiero e di parola. Con la scelta della globalizzazione come sfondo naturale del politicamente corretto, Biuso ne esplicita anche la connotazione ideologicamente trasversale, rappresentata da “un bizzarro miscuglio di alcune espressioni della cultura ‘di destra’ nelle sue componenti individualistiche e liberiste e della ‘cultura di sinistra’ nelle sue componenti altrettanto individualistiche che tendono a trasformare semanticamente e giuridicamente alcuni legittimi ‘desideri’ individuali, figli di ben precisi contesti storici, in dei ‘diritti naturali’»

Sindacalisti

La Syndacaliste
(titolo italiano: La verità secondo Maureen K.)
di Jean-Paul Salomé
Francia, 2022
Con: Isabelle Huppert (Maureen Kearney), Grégory Gadebois (Gilles Hugo), Marina Foïs (Anne Lauvergeon)
Trailer del film

Mantenere il titolo originale, molto più espressivo, avrebbe significato secondo i distributori italiani perdere spettatori e incassi. E probabilmente è vero, visto che cosa da molto tempo sono diventati la CGIL, la CISL e la UIL in Italia, consorterie al servizio dei sindacalisti stessi e dei partiti, non del mondo del lavoro.
Non così la sindacalista Maureen Kearney, che esiste davvero, è viva e ha subìto ciò che il film racconta. Lavoratrice e rappresentante dei lavoratori della Areva, azienda francese che si occupa dell’energia nucleare, viene aggredita e violentata nella propria casa il 17 dicembre 2012, il giorno nel quale avrebbe dovuto incontrare il presidente della Repubblica francese per fare con lui un ultimo tentativo di bloccare il passaggio dell’azienda e della tecnologia nucleare francese alla Cina. Un accordo tenuto segreto dai vertici di Areva e che avrebbe comportato, come di fatto comportò, il licenziamento di decine di migliaia di operai francesi. Quando la combattiva Kearney venne a conoscenza di questo accordo fece di tutto per bloccarlo ma la criminalità politico-finanziaria bloccò lei portandola persino in tribunale con l’accusa di essersi inventata l’aggressione, ottenendo due sentenze dal contenuto opposto e subendo in ogni caso tutta la forza stritolante delle autorità giudiziarie e industriali poste al servizio della criminalità finanziaria.
Il film racconta questa vicenda in modo didascalico ma coinvolgente soprattutto per l’energia, la credibilità, la consueta complessità che Isabelle Huppert sa offrire al suo personaggio. Un film che mostra in modo assai chiaro (proprio perché anche ‘popolare’) due evidenze:
-La prima è il condizionamento politico-finanziario che inquirenti, poliziotti, magistrati subiscono nelle loro attività, la cui ‘autonomia al servizio dei cittadini’ è in gran parte una formula vuota, volta a nascondere una realtà spesso indicibile; e questo vale per la Francia come per l’Italia.
-La seconda è la tragedia costituita dalla cosiddetta globalizzazione, vale a dire la fine di ogni possibilità di controllo sociale sui flussi finanziari, sugli investimenti economici, sui diritti dei lavoratori, sulle scelte strategiche di un singolo Paese e comunità. Tutto cancellato e sostituito da decisori anonimi, da nessuno eletti e che rispondono alla sola logica di un profitto che sta erodendo la vita collettiva.
Qui sotto un’immagine che raffigura uno dei massimi esponenti della globalizzazione, Mario Draghi, e Maurizio Landini, segretario generale del maggior sindacato concertativo italiano, la CGIL.

Mario Draghi e Maurizio Landini, CGIL

Sovranità limitate

Sorvegliare e punire nel XXI secolo
Aldous, 5 aprile 2024
Pagine 1-2

La dottrina brezneviana dei «Paesi a sovranità limitata» è ampiamente descrittiva dell’Europa contemporanea. E questo anche perché una delle dinamiche più caratteristiche del primo quarto del XXI secolo è il progressivo indebolimento degli Stati e dei loro apparati politici, i quali mettono le proprie strutture amministrative e le riserve economiche al servizio dei poteri globali e multinazionali.
A offrire totale sostegno politico alle dinamiche liberticide  è ‘la sinistra neoliberale’ che dà il titolo alla traduzione italiana di un libro di Sahra Wagenknecht, dirigente per alcuni anni del partito tedesco Die Linke (La Sinistra), libro che nell’originale porta la più efficace denominazione Die Selbstgerechten, che si può tradurre come ‘gli arroganti, gli ipocriti, i presuntuosi, gli autocompiaciuti’, plastica descrizione dell’idealtipo politico-antropologico che transita dall’internazionalismo ‘comunista’, ripudiato con orrore, all’internazionalismo ultraliberista di un capitalismo (da sempre) senza patria e senza identità, nel quale trionfa l’ontologia flussica e indeterminata di un essere umano che privandosi dell’identità nega anche la differenza, un umano esistente soltanto come luogo di passaggio puramente volontaristico e privo di radici territoriali, culturali, biologiche.

Il sacrificio della Grecia

Grecia / Europa
Aldous, 10 febbraio 2024
Pagine 1-2

L’articolo analizza le dinamiche di dissoluzione della cultura e della politica europee come emergono dall’Unione Europea, dall’Euro e dalla Nato. L’esempio più chiaro e drammatico delle conseguenze delle decisioni prese nell’ambito di tali strutture politiche, economiche e militari è il sacrificio della nazione e del popolo greco. Un sacrificio sull’altare dei mercati e della finanza che è la più emblematica e tragica conferma della rinuncia dell’Europa alla propria identità e alle libertà dalle quali è nata.

Universalismo

Universalismo
Aldous, 5 gennaio 2024
Pagine 1-3

L’universalismo liberale dell’Occidente non si fa scrupoli ad agire in base a principi etnocentrici e razziali quando essi diventano funzionali alla sua politica di potenza. Conseguenza di tale universalismo etnocentrico è un sempre più esteso e capillare controllo delle opinioni critiche rispetto agli eventi (che si tratti di epidemia, di Ucraina, di Palestina), una sempre più chiara imposizione di slogan autoritari, un pericoloso tramonto della libertà di espressione.
In questo modo l’universalismo liberale si mostra in realtà per quello che è, una forma della volontà di potenza, un’espressione del rifiuto delle differenze e della molteplicità a favore di un’identità imperiale.

[L’articolo è uscito anche su Sinistrainrete]

Nel Tirreno

La chimera
di Alice Rohrwacher
Italia, 2023
Con: Josh O’ Connor (Arthur), Carol Duarte (Italia), Isabella Rossellini (Flora), Alba Rohrwacher, Vincenzo Semolato (Pirro)
Trailer del film

La bellezza dei pagani, la loro consapevolezza della morte, gli dèi diventati marmo, la loro presenza negli oggetti di uso quotidiano, le tombe dell’Etruria e la ricchezza della vita e della morte.
I tombaroli che cercano questi luoghi, li scavano, li depredano, ne vendono i ritrovamenti a impeccabili società d’aste e a eleganti collezionisti, questi tombaroli nulla sanno del mistero che avvolge le cose, il buio, i millenni. Conoscono soltanto le banconote per campare. Campare nella sporcizia e nei sogni. Arthur invece è un rabdomante, un ‘maestro’, uno che sente le tombe e indica dove scavare, è un archeologo. Durante un furto alle tombe gli altri scappano e soltanto lui viene arrestato. Liberato tramite l’intervento di Spartaco, un ricco e misterioso collezionista, torna alla sua baracca di alluminio sotto le mura di una città toscana. I compagni di impresa lo rivogliono con sé, anche se lui preferisce far compagnia a una vecchia signora della cui figlia è (era?) fidanzato. Una signora circondata da altre figlie e da una giovane brasiliana che impara da lei il canto e l’accudisce.
Ritornano le antiche imprese, Arthur non può vivere lontano dalle tombe, ritornano i furti, la miseria e il denaro, ma anche i simboli, i miti, l’enigma, la bellezza suprema «che occhi umani non possono vedere» e un’espressione della quale precipita nel Tirreno dopo essere venuta alla luce. Miti d’amore anche, miti di scansione del tempo (una festa delle befane/streghe), oggetti apotropaici, i volti degli dèi. E infine come sempre la morte, verso la quale l’itinerario di Arthur è diretto.
Morte che non è quella degli umani attuali, destinati in ogni caso a finire, ma dei morti antichi le cui dimore vengono violate non dai tombaroli, non dagli archeologi ma dalle industrie chimiche che affondano le loro costruzioni dove i morti abitano, rendendo mortale la terra e il mare.
Una magia percorre questo film, l’incanto della bellezza presente e perduta, l’enigma di civiltà aliene, completamente aliene dall’oggi, come quella degli Etruschi, le voci dei cantastorie, la sacralità che il finire dopo essere nati assume sempre agli occhi degli umani ἐφήμεροι, degli umani che niente sono nell’immensità della materia e del tempo. Qualcosa di struggente attraversa La chimera, qualcosa di perduto. Del quale è parte l’Italia degli anni Ottanta, poco prima che essa fosse svenduta alla globalizzazione, messa al servizio dell’Unione Europea e della sua Banca Centrale, degli Organi della finanza, venduta come un reperto di millenaria bellezza il cui unico valore è lo scambio, il mercato.

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