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Ifigenia

A purificare Oreste dal matricidio non è bastata la furia delle Erinni, non la potenza di Atena che le trasformò in Eumenidi, non la sentenza a suo favore che ad Atene diede inizio alla giustizia umana. Non è bastato tutto questo. Apollo ordina ancora a Oreste di trafugare dalla Tauride la statua della sorella Artemide, condurla in Attica, renderle culto. E allora sarà puro.
Va Oreste con il fidato Pilade, attraversa il mare e le Simplegadi ma viene catturato dai locali, la cui usanza è di sacrificare ad Artemide gli stranieri che giungono alle rive. A officiare il rito di sangue in onore di Artemide è Ifigenia, figlia di Agamennone, sorella di Oreste e molto altro, come lei stessa canta all’inizio della storia: «Si recò a Pisa Pelope di Tantalo su cavalli veloci; ivi sposò la figliola d’Enomao, da cui nacque Atreo: figlioli d’Atreo, Menelao e Agamennone, questi fu mio padre. Io sono Ifigenia; mia madre fu la figliola di Tindaro. Sui gorghi dove l’Euripo smuove ai fitti venti cupi marosi, mio padre, per causa d’Elena, mi scannò (lo crede, almeno) ad Artemide, là nella vallata tanto famosa d’Aulide»1.
Lo credette, Agamennone, insieme a tutti i Greci. E invece Artemide salvò la ragazza, sostituendola con una cerva2. Allo stesso modo Menelao e tutti i Greci credettero Elena in fuga con Alessandro Paride verso Troia, quando invece -per volontà di Era–  fu un εἴδωλον ad abitare le case d’Ilio.
Inganno è la vita umana, inganno è questo costruzionismo che ci spinge a credere ciò che più temiamo o più desideriamo (wishful thinking) e ci porta ogni volta alla deriva contro i muri del reale.
Catturati in Tauride, Oreste e Pilade stanno per essere sacrificati quando Ifigenia si rende conto che questi stranieri le potranno essere utili se porteranno ad Argo notizia che lei è ancora viva. Propone quindi loro di recapitare una lettera e in cambio lei li salverà. L’intreccio si dipana sino all’inevitabile riconoscimento di fratello e sorella, alla macchinazione per fuggire e condurre ad Atene la statua della dea dei boschi, all’inganno ben riuscito verso il re Toante, all’ira di costui, alla calma che gli impone infine Atena.
Un trastullo in mano al bimbo cosmico è davvero l’esistenza umana –«αἰὼν παῖς ἐστι παίζων πεσσεύων· παιδὸς ἡ βασιληίη» (Eraclito, detto 52)–  nel racconto dei poeti e nel divenire della storia.
Secondo Euripide in questo gioco i Greci sono spesso infidi o feroci: a Toante che le dice «tanta acutezza la devi alla Grecia!», Ifigenia risponde con un (auto)ironico «non fidarti mai dei Greci» (515-516); le donne tramano inganni; i sentimenti suonano e di continuo mutano nelle diverse note della tastiera interiore che noi siamo: «E mutare, il peggio, per chi / era felice: per gli uomini / questo è il peso più grave» (512). Versi che il cristiano Alighieri, innamorato della sapienza antica, tradusse in questo modo: ««Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria» (Inferno, V, 121-123).
Ma quando dalla miseria, dal gorgo della fine, dalla disperazione, si apre la luce di eventi impensati e redentori, ‘nessun maggior gaudio che ricordarsi del tempo sofferto nella vittoria’. Ifigenia è anche questa gioia.

Note
1. Euripide, Ifigenia in Tauride (Ἰφιγένεια ἐν Ταύροις), in «Le tragedie», trad. di Filippo Maria Pontani, Einaudi 2002, p. 445.
2 Una inquietante ripresa del mito è quella che dà il titolo al film di Yorgos Lanthimos Il sacrificio del cervo sacro (2017).

La gioia

Johann Sebastian Bach
Grosser Herr, o starker König
Dall’Oratorio di Natale (Weihnachtsoratorium BWV 248)
per soli, coro e orchestra
Diego Fasolis & I Barocchisti

Versione in html

Versione video (con altri esecutori)

Tripudio, ritmo, dinamismo, potenza delle voci strumentali e delle voci umane. La musica insomma. La musica di Johann Sebastian Bach, la musica dunque in se stessa, la musica in quanto tale, la musica totale, la musica come «exemple unique de ce qu’aurait pu être -s’il n’y avait pas eu l’invention du langage, la formation des mots, l’analyse des idées – la communication des âmes» (Proust, La Prisonnière, in À la recherche du temps perdu, Gallimard 1999, p. 1797), unico esempio di ciò che sarebbe potuta essere la comunicazione tra le anime se non ci fossero stati linguaggio, parole, analisi delle idee.
La musica è immediatezza ed è insieme complessità, la musica è fluire ed è esultanza, la musica è suono ed è visione. La musica è relazione matematica. La musica è gioia, come si vede anche da un concerto dell’ensemble L’Arpeggiata di Christina Pluhar, capace di trasformare la Pizzica di San Vito in un  irresistibile rap [minuti 53.40 -57.00 del video].
Una gioia straripante. La gioia che auguro in questo nuovo anno ai miei amici.

 

Wimoweh

Wimoweh – The Lion Sleeps Tonight
(The Tokens – 1961)

Una leggenda zulu narra che uno dei più importanti re di questo popolo, Shaka il leone, non è morto ma è soltanto andato a dormire e un giorno si sveglierà. Allo stesso modo non sono morti gli dèi, che si desteranno e restituiranno ai mortali la pienezza del tempo qui e ora.
E così di tanto in tanto vanno a dormire il sorriso e il gaudio della vita. In attesa del loro risveglio -ora, sùbito- cantiamo questo sereno e gioioso inno all’apparenza del mondo.

[audio:https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2017/08/The_Lion.mp3]

(A-weema-weh, a-weema-weh, a-weema-weh, a-weema-weh)
(A-weema-weh, a-weema-weh, a-weema-weh, a-weema-weh)

In the jungle, the mighty jungle
The lion sleeps tonight
In the jungle the quiet jungle
The lion sleeps tonight

Near the village the peaceful village
The lion sleeps tonight
Near the village the quiet village
The lion sleeps tonight

Hush my darling don’t fear my darling
The lion sleeps tonight
Hush my darling don’t fear my darling
The lion sleeps tonight

(A-weema-weh, a-weema-weh, a-weema-weh, a-weema-weh)
(A-weema-weh, a-weema-weh, a-weema-weh, a-weema-weh)

«Essere significa apparire. Quest’ultimo non è qualcosa di accidentale, qualcosa che abbia a che fare qualche volta con l’essere. L’essere è come apparire [Sein west als  Erscheinen]»
(Heidegger, Introduzione alla metafisica, § 38)

«Fammi la faccia, fammi la finta, basta chi lu me cori si cuntenta» è una verità che ho appreso dalle mie magnifiche nonne, Giuseppa Favazza e Rosa Biuso.

[Photo by Corentin Marzin on Unsplash]

Albertine disparue

La fuggitiva
di Marcel Proust
(Albertine disparue, 1921-22)
Trad. di Franco Fortini
Einaudi, 1978 (1954)
Pagine XV – 321

Proust_La FuggitivaUno dei momenti assoluti della Recherche è la fuga inaudita e poi la morte di Albertine. Né prima né dopo ho letto qualcosa di così potente e di così vero sulla realtà e sulla percezione dell’abbandono e del lutto. Lentamente e inesorabilmente gli aspetti più caduchi -caste sociali, illusioni, speranze, ambizioni- sembrano dissolversi. Rimangono le potenze che guidano l’opera e l’esistere: la Verità, impossibile da cogliersi; il Tempo, intessuto di memoria e di oblio, «come c’è una geometria nello spazio, c’è una psicologia nel tempo, dove i calcoli di una psicologia piana non sarebbero più esatti, perché non si terrebbe conto del Tempo e di una delle forme che assume, l’oblio» (p. 149)1; la Solitudine, «i legami fra una persona e noi esistono solamente nel pensiero. La memoria, nell’affievolirsi, li allenta; e, nonostante l’illusione di cui vorremmo essere le vittime, e con la quale, per amore, per amicizia, per cortesia, per rispetto umano, per dovere, inganniamo gli altri, noi viviamo soli. L’uomo è l’essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in sé medesimo, e che, se dice il contrario, mentisce» (pp. 36-37) 2.
Questo è la nostra vita, questo è la vita degli umani. Il Narratore ne ha appreso la forza e i segreti attraverso il tempo e la cristallizzazione da esso operata intorno alla sua amata: «Albertine, insomma, come una pietra intorno alla quale sia nevicato, era solo il centro generatore d’una costruzione immensa che passava attraverso il piano del mio cuore» (p. 23)3.
Prima di ricapitolare il ritorno della realtà e il ritorno dell’io, prima di svelare l’inquietante enigma della sua narrazione, Marcel ha lasciato dietro sé debolezze e sogni, ha intagliato -come un sole che al crepuscolo definisce meglio i contorni- disegni vasti, ironici e dolenti; ha scolpito mediante una scrittura colma di strazio e di gelo l’intera bellezza e potenza delle due forze che in un contrappunto costante guidano le vicende degli esseri che pensano: il dolore e l’oblio.
Dalla Recherche si impara a sconfiggere la sofferenza, a trionfarne.

Note

1. «Comme il y a une géométrie dans l’espace, il y a une psychologie dans le temps, où les calculs d’une psychologie plane ne seraient plus exacts parce qu’on n’y tiendrait pas compte du Temps et d’une des formes qu’il revêt, l’oubli» (À la recherche du temps perdu, Gallimard, Paris 1999, p. 2023)

2. «Les liens entre un être et nous n’existent que dans notre pensée. La mémoire en s’affaiblissant les relâche, et, malgré l’illusion dont nous voudrions être dupes et dont, par amour, par amitié, par politesse, par respect humain, par devoir, nous depons les autres, nous existons seuls. L’homme est l’être qui ne peut sortir de soi, qui ne connaît les autres qu’en soi, et, en disant le contraire, ment» (p. 1943)

3. «Bref Albertine n’était, comme une pierre autour de la quelle il a neigé, que le centre générateur d’une immense construction qui passait par le plan de mon coeur» (p. 1933)

(Le mie riflessioni sugli altri sei volumi della Recherche si possono leggere qui: La strada di SwannAll’ombra delle fanciulle in fioreI GuermantesSodoma e GomorraLa prigionieraIl Tempo ritrovato )

Napoli vive!

Canta appress’a nuie
di Edoardo Bennato
Da È Goal! (Live, 1984)

Uno dei luoghi arcaici, ctoni, tenebrosi e sempre nuovi. Questo è Napoli, città meravigliosa e come nessun’altra in Europa uccisa dal male. La sua parlata è una lingua  capace di andare al cuore stesso della materia, dei corpi e delle passioni. La monnezza che la camorra impone è specchio della camorra stessa, del suo tanfo entropico, e non dell’intero popolo che abita Napoli. Il canto al quale invita Edoardo Bennato è segno della gioia che trascina questo luogo, della vita dolente ed entusiasta di cui è impastato. Auguro a Partenope di diventare ciò che è, di tornare bella.

[audio:Bennato_Live.mp3]
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