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Il fatto educativo

Metto a disposizione la registrazione audio dell’intervento che ho svolto il 29.11.2019 nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania, in occasione di un Convegno organizzato dall’Associazione Nazionale Docenti su La scuola che vogliamo. Idee e proposte per una scuola democratica. Il mio intervento ha avuto come titolo La scuola socratico-gramsciana e la scuola del liberismo.

Sono partito dalla constatazione che le riforme scolastiche e universitarie avviate in Italia dalla fine degli anni Novanta del Novecento con il ministro Luigi Berlinguer e proseguite con tutti i suoi successori -qualunque fosse il loro schieramento politico- hanno avuto l’effetto di dissolvere il valore reale dei diplomi e delle lauree, regalandoli a tutti indistintamente e cancellando in tal modo l’unico mezzo di promozione sociale di cui dispongono i ceti e gli individui più svantaggiati. La gestione di tali riforme è stata inoltre affidata non più a direttori e presidi ma a DS, Dirigenti Scolastici, presidi manager e padri-padroni.
L’abbassamento del livello qualitativo nella preparazione degli alunni della scuola primaria e secondaria ha avuto immediate conseguenze sull’Università, dove la conoscenza è diventata un carico di merci i CFU, crediti formativi– da scambiare secondo le regole di un capitalismo non si sa se più arcaico o postmoderno.
Tutto questo è parte della colonizzazione che il nostro Continente sta subendo e che rischia di dissolvere l’identità dell’Università europea come era stata pensata e realizzata nell’Ottocento da Wilhelm von Humboldt, vale a dire una Università istituzionalmente libera dai poteri politici ed economici e soprattutto per questo in grado di svolgere la sua funzione al servizio della scienza, nella unità e pluralità del sapere.
La decadenza dell’Europa è invece testimoniata anche dal tramonto di tale modello a favore di una struttura al servizio del potere politico (qualunque esso sia) e degli organismi finanziari volti alla perpetuazione dell’esistente. Difendere l’università europea humboldtiana contro la sua degenerazione burocratica significa semplicemente garantire il presente e il futuro della scienza e quindi dell’intero corpo sociale.

Con la trasformazione delle materie in crediti da accumulare, lo studio dei nostri studenti è diventato trafelato e quindi superficiale, frammentario, lacunoso. E soprattutto è diventato sempre più apparentemente facile. Lo studio, invece, è un piacere ma è anche sempre determinazione e impegno. Studiare, apprendere, capire il mondo è qualcosa di splendido che, come tutto ciò che vale, richiede tenacia e fatica.
La ragione forse ultima e più profonda di questo pervicace danno didattico ed esistenziale sta nel fatto che governi, media, tecnici della didattica sono attivamente impegnati ‒ciascuno per la sua parte‒ a favorire la costruzione di un Corpo sociale incompetente e passivo. E dunque più facilmente manipolabile. L’obiettivo è ridimensionare, e in prospettiva eliminare, uno dei pochi ambiti della vita sociale ancora istituzionalmente autonomi e culturalmente critici.
L’Università italiana ha naturalmente le sue zone oscure, le sue grandi e gravi responsabilità, disfunzioni, complicità, ma i provvedimenti legislativi e la disinformazione sistematica invece di contribuire a fare luce e a migliorarla producono una sua complessiva delegittimazione che serve soltanto ai poteri finanziari, una delegittimazione che priva di risorse la ricerca, che ruba il presente e il futuro ai nostri figli.
A questo proposito, mi sono esplicitamente riferito alla situazione di Unict e ho parlato in difesa dell’amministrazione del Rettore Giacomo Pignataro, il quale aveva tentato di restituire correttezza e normalità al nostro Ateneo e che invece (forse anche per questo?) è stato sottoposto a una campagna giudiziario-mediatica denigratoria, dentro la quale si muovono le forze più oscure della città. Campagna che capovolge la realtà trasformando alcuni dei responsabili della corruzione in accusatori e alcune delle vittime in accusati. La Sicilia rimane la terra di Pirandello, oltre che del Giorno della civetta.

Ho poi ribadito che la conoscenza e la sua trasmissione non costituiscono soltanto opera di formazione ma soprattutto e prima di tutto opera di educazione. La formazione intende plasmare dall’esterno, l’educazione riconosce invece che la propria funzione consiste nel far emergere da corpimente autonomi il meglio di cui essi sono capaci.
Il vero cuore dell’educazione è la relazione tra persone, l’apprendere insieme. Ogni persona che insegna, infatti, non trasmette soltanto delle informazioni, delle nozioni, degli strumenti tecnici ma sempre anche un modo di porsi di fronte agli altri, di fronte alle regole, di fronte alle difficoltà, di fronte alle idee e ai comportamenti.
Il docente insegna sempre se stesso. E questo accade che lo sappia o non la sappia, che se ne accorga o meno, che tematizzi la questione o la ignori. Il grande successo di molti insegnanti o il fallimento di tanti altri dipende soprattutto da come si affronta questo aspetto cruciale della professione docente.
La scuola è prima di tutto un’educazione a crescere nella libertà, mediante il rigore dei contenuti disciplinari, delle conoscenze, del sapere. Opporre le competenze alle conoscenze è funzionale alla trasformazione della scuola da spazio di elaborazione critica a luogo di utilizzo di strumenti pensati da altri.
Ciò che è in gioco non è un  qualche consolidato metodo didattico; è in gioco –né più né meno– la libertà intellettuale e la capacità progettuale delle nuove generazioni. È in gioco la salvaguardia di due articoli fondamentali della Costituzione della Repubblica:

«L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento» (33)
«I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» (34)

A tali principi si vuole sostituire una scuola ridotta a cinghia di trasmissione dei programmi confindustriali, volti a creare soltanto quadri esecutivi, incapaci di quella critica dell’esistente che è il portato più fecondo della storia europea. Un modello di istruzione terapeutica e socializzante priva di qualunque spessore culturale e ridotta a tenere in qualche modo i ragazzi a scuola per non lasciarli sulle strade.
La scuola non può “garantire a tutti pari opportunità di successo formativo” ma deve certamente offrire a ogni membro del corpo collettivo uguali occasioni di apprendimento.
La struttura dell’educazione è socratica. Nessun docente può garantire alcun risultato se in chi lo ascolta non c’è predisposizione all’apprendere e volontà di riuscirci. L’educatore non è onnipotente; l’educando non è una macchina plasmabile in qualsivoglia forma.
Rapporto fra persone, incontro di libertà; in questo consiste il fatto educativo.

La registrazione dura 26 minuti:

Unict, il pane

Pubblico un documento del CUDA che condivido per intero. Il mio auspicio di docente dell’Ateneo e di cittadino di Catania è che la sconfitta delle forze e degli interessi più oscuri che hanno agito contro l’Università costituisca una ragione in più per operare, con rinnovata energia, a favore del sapere e dei nostri studenti.

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Non siamo tornati indietro. Ora bisogna andare avanti…

L’elezione del professore Francesco Basile a Rettore di Unict rappresenta un momento di continuità e insieme di rottura nella vicenda dell’Ateneo e della città.

Si è affermata infatti la continuità con l’azione di Giacomo Pignataro, come è stato evidente sin dal programma e dalle intenzioni espresse in favore di legalità, trasparenza e autonomia dell’Ateneo da influenze indebite e malaffare (non sfugge a nessuno infatti che la serenità del presente si misura anche dalla chiarezza sul passato); una continuità che ieri sera è stata segnata dal lungo, sincero e caldo applauso che ha accolto Pignataro nell’Aula Magna del Rettorato, a dimostrazione che la sua azione a favore di una gestione trasparente e lineare del nostro Ateneo è stata compresa e apprezzata, e che non sarà certo dimenticata ma piuttosto valorizzata. Pare significativo inoltre che tale applauso si sia ripetuto al saluto e al ringraziamento che il nuovo Rettore ha voluto rivolgere al suo predecessore; e in questo quadro non si può che apprezzare la cortesia istituzionale e lo stile (mancati purtroppo nella precedente elezione) per i quali il Rettore uscente dà il suo benvenuto al collega che gli subentra…

L’elezione di Basile è invece un deciso momento di rottura rispetto al tentativo di restaurazione delle modalità e dello stile che hanno caratterizzato l’amministrazione di Antonino Recca. 1022 voti a favore di Basile e 374 a favore di Enrico Foti (che non ha davvero raccolto, spiace dirlo, né il voto di opinione né molto voto di protesta) rappresentano con la forza dei numeri un chiaro segnale di rifiuto di ogni tentativo di far tornare indietro l’Ateneo rispetto ai risultati conseguiti negli ultimi quattro anni, pur in presenza di una situazione ambientale non certo favorevole e di attacchi debiti e indebiti. Un voto chiaro che respinge tra l’altro, in modo che speriamo definitivo, i soliti claudicanti (e ormai scontati) giochetti di endorsement e disendorsement, e il consueto balletto di segnali obliqui e inquinamenti del clima di vita e lavoro dell’Ateneo.

Quanto accaduto ieri è quindi un punto di arrivo ma soprattutto un punto di partenza, come Pignataro e Basile hanno subito affermato. I docenti, il personale tecnico-amministrativo, gli studenti che si sono espressi con tale chiarezza non hanno però rilasciato deleghe in bianco a nessuno. Sia le grandi scelte che attendono l’Ateneo sia l’azione quotidiana di governo dovranno essere fattivamente improntate:
– al rispetto per le persone, condizione prima e diremmo naturale di ogni comunità scientifica rivolta all’insegnamento;
– alla scelta dei collaboratori e delle cariche in base a delle qualità non generiche ma specifiche rispetto agli scopi e soprattutto alla volontà dei soggetti incaricati di lavorare duramente e quotidianamente al raggiungimento degli obiettivi;
– alla consapevolezza che un Ateneo come quello di Catania è una struttura stratificata e complessa che può essere gestita positivamente soltanto anteponendo gli interessi collettivi a quelli individuali;
– al ribadire che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento», anche rispetto a ogni tentativo burocratico di svuotare questo principio costituzionale;
– al coinvolgimento dell’intera comunità accademica, che coinvolta vuole essere, come è risultato chiaro anche dalla partecipazione massiccia, democratica e consapevole che ha caratterizzato l’elezione del nuovo Rettore.

Come docenti e membri di questo Ateneo, augurando buon lavoro al nuovo Rettore, vigileremo propositivamente e daremo il nostro contributo dialettico al raggiungimento di tali scopi, affinché le parole si trasformino in atti e le intenzioni espresse in queste settimane diventino il tessuto quotidiano della nostra comunità. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri studenti, a una città che di ricerca e di pensiero ha bisogno come il pane.

2 febbraio 2017

Il CUDA (Coordinamento Unico di ricercatori, docenti, Pta e studenti di UNICT)

«Tutto quello che non uccide…»

Il CUDA (Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica) ha diffuso un documento che fa il punto sulla situazione dell’Università di Catania, anche alla luce delle sentenze dei tribunali amministrativi e delle recenti elezioni (5 ottobre) per il rinnovo del Senato Accademico.

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Non è vero che il carro segua i buoi, come logica e buon senso vorrebbero. O meglio, è vero dovunque, ma non in questa splendida e “autonoma” terra siciliana, bagnata da una Giustizia Amministrativa orgogliosa della sua differenza e della sua alterità.

Veniamo ai fatti. Il TAR di Catania, con la sentenza n. 2441 del 6 ottobre c.a., ha sancito che vadano avviate le procedure per la ricostituzione degli organi statutari di UNICT, nei termini e con le modalità già fissate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa nella decisione n. 243/2016. Nel contempo, essendo proprio tale sentenza del CGA a dir poco ambigua se non pilatesca sul punto in oggetto (elezioni o meno del Rettore, tenuto conto che a tale carica si applicherebbe, a detta del Ministero, la norma che fa salvo il mandato in corso di svolgimento, ai sensi dell’art. 2, commi 8 e 9 della legge n. 240/2010), lo stesso CGA ha fissato e più volte rimandato (prima a settembre, poi a ottobre, adesso addirittura al 16 novembre!) un’udienza di interpretazione ottemperativa, tempestivamente chiesta dall’Ateneo già ai primi dell’agosto scorso. Situazione paradossale (se non vergognosa) e tutta “siciliana”, dunque, quella di un tribunale di primo grado che invoca l’applicazione di una sentenza definitiva, la quale però, ancora, non ha per niente raggiunto la sua stabilità e definitività. A voler essere maliziosi (e noi non lo siamo) si potrebbe pensare ad una sorta di “strategia del sandwich”; blocco la decisione a valle, e poi colpisco a monte con un’ulteriore sanzione. Ovvero indebolisco l’istituzione e cerco di porla, de facto, in condizione di stallo ed emergenza. E a continuare a voler essere maliziosi (e noi continuiamo a non esserlo) si potrebbe pensare che questa strategia abbia il fine di temporeggiare, di prendere tempo, logorare e lavorare sull’usura dell’avversario.

Nel contempo infatti, di certo in modo anch’esso “autonomo”, mentre la Giustizia Amministrativa siciliana litiga all’arma bianca con il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica (perché è con questo che sta litigando, come abbiamo più volte e chiaramente illustrato), all’Università di Catania i soliti noti manovrano per fare cadere l’attuale Amministrazione, rea di essere impegnata a ripristinare trasparenza e legalità a fronte di amicizia e clientela (anch’esse ben più “autonome” e siciliane, oltre che redditizie). E i soliti noti – gli stessi che prima avevano fretta fretta fretta di fare cadere il Rettore Pignataro – adesso hanno bisogno di tempo, tempo, tempo. Perché il loro candidato, aldilà di ipotesi-civetta e poco credibili, è come la pentola Lagostina: si cerca e cerca e cerca: ma proprio non si trova!

Facciamola breve e azzardiamo una previsione finale. Il 16 novembre il CGA (nel quale siedono esimi ex docenti dell’Ateneo di Catania) scioglierà la sua riserva e chiarirà quello che ha scritto (o meglio che non ha voluto scrivere da subito e davvero) chiedendo anch’esso le elezioni del Rettore, in barba all’interpretazione del Ministero e alla ratio di legge. A quel punto si dovranno indire elezioni, ma non si potranno tenere prima di gennaio. I soliti noti cercheranno allora (estrema e disperata chance) di non fare presentare l’attuale Rettore, il quale però ha pieno diritto legale (oltre che esplicito dovere morale) a concorrere a una nuova elezione fino ai sei anni di mandato prescritti dalla Legge. Seguiranno, à la carte, polemiche, denunce, falsi scoop di organi di millantata “inchiesta”, personalizzazioni parossistiche, minacce a mezzo di atti giudiziari; la solita routine, insomma, che ormai fa anche ridere se non fosse frutto della peggiore subcultura…

Fino al voto, in gennaio. Voto che confermerà (si vedano le recenti elezioni al Senato Accademico) un concetto semplice, anche se a taluni indigesto: a UNICT indietro non si torna. E se qualcuno vuole guidare questa Università, si prepari a farlo, dal 2019; ma con argomenti nuovi, proposte per un nuovo decennio e una cultura della legalità e della trasparenza chiare e non equivocabili.

Ai colleghi e alle colleghe che stanno producendo questo parapiglia di fine anno, dopo tre anni di “strategia della tensione”, ricordiamo il detto di un filosofo, che chi conosce un po’ la vita (ma non chi vive solo di potere e denaro) può comprendere .

“Tutto quello che non uccide, fortifica.”

Qui siamo tutte e tutti in buona salute…

Abbracci e serenità

Il CUDA
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Paranoie

Dopo Il gioco al massacro riporto qui un nuovo documento del Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica.
Spero che questa accurata ricostruzione degli eventi serva a comprendere meglio che cosa sta accadendo a Catania.

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Il caos della paura e la forza del buon senso

L’Ateneo di Catania è nuovamente sotto i riflettori.
Qualcuno sembra terrorizzato dal fatto che l’attuale Rettore giunga all’esito naturale del suo mandato, ovvero il 2019. Per questo qualcuno il 2019 è troppo lontano, soprattutto troppo pericoloso, troppo fuori controllo.
Per comprendere che cosa stia accadendo sarà necessario vedere con pazienza – e per un attimo “da fuori” – dentro quale narrazione ci troviamo catapultati; e come questa narrazione, passo dopo passo, sia stata volutamente costruita nel corso degli ultimi due anni.

L’invenzione del caos

Alcuni “Organi di stampa” – in particolare uno, la testata online SUDPRESS – portano avanti da tempo e in modo martellante e ossessivo una tesi, di continuo gridata e urlata (spesso si urla e grida se si ha paura di ciò che le urla e le grida nascondono); e questa tesi – elemento importante se non fondamentale – ha una esatta data d’inizio, che corrisponde al manifestarsi del contrasto tra il dr. Lucio Maggio, allora Direttore Generale nominato dalla precedente gestione, e l’Amministrazione attuale.
In realtà, il conflitto non è né è mai stato tra il  Rettore Pignataro e il Direttore generale dott. Maggio; il contrasto è sorto invece e in modo chiaro tra l’Amministrazione con i suoi Organi rappresentativi da un lato (in primis il Consiglio di Amministrazione, salvo alcuni dei consiglieri nominati dal precedente rettore, e poi il Senato Accademico), e l’ex Direttore Generale dall’altro. L’Amministrazione, sostenuta dalla quasi totalità dei direttori di dipartimento, dei docenti, del personale tecnico-amministrativo e delle associazioni sindacali, ha ritenuto che la gestione del Maggio sia stata illegittima su alcuni specifici e significativi passaggi amministrativi (la proroga autonoma e non concordata di alcune figure dirigenziali a tempo determinato e la decisione non rispettosa del regolamento su alcuni appalti di consistente importo, tra tutte); e soprattutto la comunità universitaria ha ritenuto che tale gestione sia stata radicalmente improntata a  una concezione e una pratica autocratiche, come tale inidonee a una conduzione equilibrata del ruolo che la legge assegna al DG. Questa tesi è una persecuzione ad hominem, o è piuttosto corroborata da elementi fondati e che i lavoratori e le lavoratrici dell’Ateneo hanno sperimentato quotidianamente? Questa seconda ipotesi è facilmente dimostrabile. Nel periodo della sua gestione, infatti, il dr. Maggio compie un processo di accentramento amministrativo che rende ardua se non impossibile la fisiologica dinamica tra dipartimenti e uffici centrali, per missioni non marginali ma fondamentali come il coordinamento di didattica e ricerca (l’ateneo in quegli anni scivola, tra l’altro, agli ultimi posti nelle performance della didattica a livello nazionale); si spinge addirittura (durante la breve fase del suo reintegro, dal 1/12/2014 al 22/1/2015) a emanare direttive che inibiscono i dirigenti e i funzionari dal parlare con gli organi di governo e i direttori di dipartimento senza una previa “autorizzazione” del DG stesso. Il DG teorizza la superiorità della funzione, certo importante ma amministrativa ed esecutiva, che la legge gli assegna, rispetto al ruolo degli organi d’indirizzo democraticamente eletti  o nominati; sostanziali effetti di paralisi della gestione amministrativa stessa);  ed è curioso, a dir poco, che egli non “scopra” tale sua centralità gestionale-politica, questa sua missione di centro focale dell’universo accademico, all’inizio della sua funzione (prima di Direttore Amministrativo e poi di Direttore Generale sotto l’amministrazione Recca): ma che tale illuminazione lo colga solo all’indomani dell’elezione del candidato che Recca stesso aveva combattuto fino all’ultimo, pur non potendone impedire l’elezione quasi plebiscitaria, ovvero Pignataro… Strano, vero?
Questo quadro, certo conflittuale ma anche “fisiologico” nella vita della Pubblica Amministrazione, viene sistematicamente deformato dal suddetto “organo di stampa”.
Il mandato è: drammatizzare e personalizzare. E soprattutto dipingere la vita dell’Ateneo – complessa e difficile, come quella di tutti gli atenei italiani in età di crisi e tagli strutturali – come un girone infernale di interessi e clientele. Il che forse è stato vero un tempo (a volte si proietta il passato sul presente), ma oggi di certo non è più.
Chi può accusare di irregolarità penalmente rilevanti chicchessia senza prove inoppugnabili? Nessuno che sia corretto con se stesso e con gli altri. Se il dr. Maggio lo fa, noi non lo seguiremo. Gli ricordiamo però un unico passaggio della sua vita professionale di dirigente, semplicemente, tra i moltissimi possibili, che dovrebbe spingerlo a maggior cautela e più serena capacità di contenimento: infatti, in occasione del tristissimo scandalo del Mailgate per il quale il prof. Recca è inquisito e per il quale l’Ateneo si è costituito parte civile, almeno un’intercettazione ambientale lo vede al tavolo col past rettore e un funzionario, mentre il primo indica le azioni necessarie e utili ad addossare a taluni le responsabilità, condivise, di quell’evento nefasto. Questo è del tutto inoppugnabile, ahinoi. Non sappiamo se qualche magistrato chiederà mai al dr. Maggio di rispondere di tale evidenza; ma l’evidenza resta. Sorvoliamo su altri passaggi, dunque, e continuiamo la nostra narrazione.
Non prima però di esserci posti una domanda, che sorge spontanea: perché mai un organo di stampa, che si definisce di giornalismo d’inchiesta,  dovrebbe sposare con tale perseveranza e violenza la tesi di una parte in un conflitto tutto sommato marginale? Perché SUDPRESS diventa il megafono della difesa del dr. Maggio? A questa domanda non troviamo risposta. Ma il dato è anch’esso difficilmente oppugnabile.

La paranoia penale 

La “strategia di pressione” del dr. Maggio – di cui ci sfugge la logica etica e istituzionale – non è tanto, francamente, importante in sé. Essa diviene piuttosto importante in quanto parte di una strategia ancor più complessiva di pressione sull’ateneo e  sul Rettore, attraverso una vera e propria forma di bombardamento mediatico. Questa strategia è viziata da una nemmeno tanto sotterranea paranoia penale e inquisitoriale. Chi vive una tale paranoia, chi concepisce un tale rapporto con il suo luogo di lavoro e i suoi colleghi, tradisce una realtà nemmeno troppo difficile da capire: egli nutre tremendi dubbi non sull’incolumità degli altri (su cui vorrebbe scatenare folgori e pestilenze e  distruzioni), ma su di sé, sulla sua sicurezza, sulla sua stessa incolumità. Ognuno ha i suoi fantasmi, ha anche diritto di averli e coltivarli; ma nessuno è titolato a trasferirli sugli altri né, soprattutto, sulle istituzioni che operano per il bene comune.
Questa “strategia” è dunque dettata dalla paura patologica di chi la ordisce e persegue. E ciò è psicologicamente semplice da capire quanto eticamente triste e difficile da accettare.
Il medesimo schema narrativo viene oggi utilizzato per la vicenda dello Statuto. Lo stesso Rettore che ha creato il vulnus istituzionale dello Statuto illegittimo per il MIUR (nel 2011) usa la vicenda per tentare la vendetta giudiziaria nei confronti del suo avversario.
Il copione è il medesimo. Recca si fa passare quale paladino della legalità, esempio positivo e difensore della legittimità costituzionale (dopo aver fatto quello che ha fatto).
Il Rettore Pignataro viene additato come già decaduto (con grave ma consueta confusione tra desideri e realtà) e come esempio negativo di renitenza all’applicazione di sentenze esecutive e inoppugnabili (anche quando non lo sono).
Infine, la natura del conflitto giudiziario viene drammatizzata e personalizzata in modo infantile. Infatti, la vicenda del contenzioso sullo Statuto non è un conflitto, come caricaturalmente rappresentato, tra un singolo rettore e il Consiglio di Giustizia Amministrativa; la natura vera di quel conflitto è altra, del tutto, ed è quella di un conflitto tra MIUR e CGA sull’applicazione e sugli esiti della Legge 240, generato come polpetta avvelenata dalla passata gestione di Recca, e utilizzato dall’entourage recchiano per ottenere un capovolgimento giudiziario dell’elzione democratica di questa amministrazione (torneremo su questo punto).
C’è un ultimo aspetto. Il dr. Maggio, con grande tempismo, fa sfornare al suo esercito di avvocati (si vede che ha i mezzi per sostenerne le spese), quasi ogni settimana ormai, minacce di denunce o denunce penali vere e proprie contro il Rettore Pignataro. E – fatto davvero inconsueto! – sono gli stessi avvocati a produrre e divulgare dei comunicati stampa. La prima di queste, con una memoria di 1200 pagine (!!!), invero archiviata – supponiamo nel ludibrio degli organi inquirenti – accusa il Pignataro addirittura di “maltrattamenti familiari”; e ancora querele per diffamazione, denunce per danno psicologico, mobbing, inadempienza alle sentenze… manca solo una denuncia per terrorismo internazionale (ma confidiamo che sia in preparazione).
Perché tutta questa enfasi sulle denunce penali?
Vediamo due obiettivi, oggettivamente comprensibili (da un certo punto di vista): il primo è  tenere alta la pressione mediatica tentando di convincere l’opinione pubblica locale (molto distratta, ahinoi, anche nelle sue testate giornalistiche più “titolate”) che la quantità sia qualità. Convincere anzi della qualità attraverso la quantità. Ma avere il bancone pieno di merce è inutile, se la merce è falsa. Siamo ormai consumatori accaniti e smagati, un po’ tutti…
Un secondo obiettivo è però più sottile: ovvero quello di ottenere una qualche forma di inibizione penale in caso di nuove elezioni del rettore (auspicate da qualcuno che fa male i conti, ma di molto). Questo secondo obiettivo ci pare ben lontano dal raggiungersi, ma, se questa seconda ipotesi fosse vera, sarebbe una semplice mascalzonata, che nessun docente dell’ateneo è disposto a sopportare e di cui ogni cittadino avvertito del nostro territorio dovrebbe essere cosciente.

 Ognuno risponde delle sue azioni

Immaginate di essere un genitore la cui figlia o il cui figlio sta per compiere la scelta della vita: l’iscrizione ad un corso universitario, il bivio del proprio futuro lavorativo ed esistenziale. Immaginate che la giovane o il giovane si vogliano iscrivere all’Università di Catania. Come potrà farlo, con serenità, dinanzi ad una rappresentazione mediatica che espone l’Ateneo alla gogna quotidiana? “Tutti contro tutti”, “Muro contro muro”, “Organi azzerati”, “Caos all’Università di Catania”…
Chi guadagna (pochissimi) e chi perde (tutti noi) da questa rappresentazione apocalittica del caos viziata da una paranoia e da una paura “penali” profonde?
Il danno è oggettivo. Crediamo sia venuto il momento di chiedere conto di questo danno, come degli altri che si sono verificati in passato. Il tempo del silenzio è finito. Per questo riteniamo si tratti di valutare l’opportunità di controdenunce e di azioni penali collettive volte a tutelare la vita e l’immagine del nostro Ateneo; che è il nostro luogo di lavoro e la nostra missione sociale.
Quando il prof. Recca era Rettore, noi del CUDA lo abbiamo contrastato apertamente. Abbiamo denunciato le sue scelte e criticato gli atti della sua amministrazione: le linee guida per i provvedimenti disciplinari; i provvedimenti disciplinari stessi; la politica delle lauree honoris causa; la scelta di fare il rettore e insieme il presidente regionale del partito di Cuffaro, con un conflitto di interessi inopportuno  ed essendo dunque politicamente vicino all’allora Presidente della Regione Sicilia nel periodo in cui maturavano gli esiti che avrebbero condotto alla condanna di questi per concorso esterno in associazione mafiosa; lo scandalo Mailgate, gravissimo; le scelte sul mancato pagamento dei ricercatori per la didattica frontale; e potremmo continuare…
Abbiamo criticato e contrastato Recca. Ma l’abbiamo contrastato A VISO APERTO; candidandoci nelle elezioni degli organi, venendo isolati e additati, fregandocene dei servi , dei pavidi e degli opportunisti (che allora fiorivano) della prima e della seconda ora, ma continuando a metterci la faccia, senza spostare mai la contesa dal piano politico a quello giudiziario, salvo denunciare e motivare pubblicamente quello che non ci convinceva se non ci convinceva.
Abbiamo condotto una battaglia politica.
Chi sposta immotivatamente e sistematicamente il confronto sulle scelte amministrative sul piano del complotto o della vendetta giudiziaria si pone di fatto fuori dal sistema fisiologico di funzionamento di una comunità. E, soprattutto, mostra debolezza e paura.
Ci chiediamo allora: paura di cosa? Cosa si teme?
Che qualcosa del passato venga alla luce? Che scelte, procedure di appalto, sistemi di controllo magari pressati da interessi privati passino al vaglio degli organi competenti? Accadrà, quando accadrà, inevitabilmente. Se ne faccia ciascuno una ragione. Noi continuiamo a pensare alla vita dell’università; la magistratura penserà al resto, vogliamo credere e confidiamo, con imparzialità e rigore.
La risposta della comunità universitaria catanese di fronte alla “crisi” di questi giorni è stata ed è compatta: si vedano i documenti, le prese di posizione di tutti i direttori (meno uno…), di varie sigle sindacali.
Crediamo però che – per il futuro del nostro ateneo – si debba ragionare ancor più a fondo di come si è fatto finora sugli effetti della passata gestione, su ciò che è accaduto e su come è accaduto, senza mettere la testa sotto la sabbia, senza tacere la realtà delle paure e delle pavidità colpevoli, perché il presente è figlio del passato; e riteniamo che si debbano ampliare gli spazi di riflessione, dibattito e dialogo aperto e franco sull’università e sui suoi problemi, locali e nazionali. Solo così si potrà con ancora più forza non solo difendere un presente, ma rilanciare la nostra università e costruire un futuro di fisiologico confronto e di reciproco rispetto, senza padrini né padroni, in una comunità di ricercatori liberi, responsabili della loro funzione in questo contesto che di libertà e cultura ha bisogno vitale; e consapevoli della possibilità unica, loro offerta, di promuovere benessere morale e materiale delle nuove generazioni.
Dire tutto questo, oggi, senza paura, senza ipocrisia, è già investire su un futuro migliore. Ne abbiamo bisogno, anzi dobbiamo farlo.

IL CUDA

Il gioco al massacro

Nel febbraio del 2013 l’Università di Catania elesse un nuovo Rettore -Giacomo Pignataro- con una percentuale di voti che non lasciava dubbi sulla volontà del corpo accademico di segnare una discontinuità con la precedente amministrazione. La quale però non si è rassegnata a tale risultato e ha operato in molti modi per capovolgerlo. L’episodio più recente è raccontato nel documento del CUDA che riporto per intero, condividendone i contenuti e le intenzioni. È bene che soprattutto gli studenti sappiano come si intende paralizzare la vita della loro Università, con grave danno per tutti.

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Questa storia narra di un ateneo presso il quale la parola legalità faticava a far rima con realtà, giustizia e legittimità.
C’era un rettore che aveva dato corso a una legge solo nelle parti in cui gli piaceva. Questa legge gli imponeva di adottare uno statuto raccordandosi con altri attori istituzionali (il MINISTERO). Ma lui niente: lo statuto è mio e me lo faccio come voglio io; anzi, lo approvo “a prescindere”. E se qualcuno si lamenta, vada a raccontarlo ai giudici. Io me ne infischio; anzi, me ne frego.
Nel 2011, questo rettore manda tanti saluti al Ministero e fa approvare uno statuto “fai da te”.
In quegli stessi anni, questo rettore che non amava tanto essere disturbato, e che si segnala anche per il conferimento di laurea honoris causa a un signore – un uomo d’onore, direbbe Shakespeare – che l’ha, ci dicono, successivamente riposta nel poco spazio lasciato libero dagli incartamenti di tutte le pendenze giudiziarie che lo riguardano, questo rettore, amante delle regole, amante del confronto pacato con tutti, si segnala per aver promosso un’azione disciplinare contro un preside, uno tra i pochi docenti del Suo ateneo a farlo in verità, che osa biasimare, ah ingeneroso!, la sua gestione amministrativa.
In quegli stessi anni, il medesimo rettore, uso a discutere ragionevolmente con quanti non riescono a vedere i sacrifici che fa ogni giorno per mandare avanti la baracca, pensa bene di lanciare in politica la moglie di un suo sottoposto. Ma nel farlo si affida, poveruomo, alla collaborazione di maldestri esecutori che gli combinano un guaio con risvolti penali.
Sempre negli stessi anni lo stesso rettore si segnala, nella sua azione politica indefessa, per un esilarante doppio incarico che evidenzia l’ateneo come indiscussa anomalia nel panorama nazionale: presidente regionale dell’UDC – partito dell’allora presidente della Regione Cuffaro Totò – e immarcescibile rettore…
Ora, diciamo noi, ma è possibile che un tale lavoratore indefesso debba anche tollerare che i soliti sfascisti, gufi e rosiconi facciano commenti su tutte le cose buone che fa. Per di più disprezzandole, non cogliendone la bellezza, la purezza, il disinteresse. Ma la libertà di pensiero può mai divenire libertà di scassare i cabbasisi a un santo? No, e infatti arrivano le linee guida comportamentali in caso di azioni disciplinari, incostituzionali e illiberali, tanto da scatenare una polemica nazionale.
Le vite dei santi, genere letterario importantissimo, ispirano una sequela della santità, fanno proseliti. Oggi ci pare che questo esempio di difensore delle regole abbia giuridicamente ispirato una collega, già componente del Cda, che si è accorta che c’era del marcio a Catania.
Menomale. Menomale che ha caricato la sveglia, dato fiato alle trombe, fatto suonare le campane.
C’è un giudice a Berlino, anzi a Palermo, e finalmente c’è, dopo una parentesi di oscurantismo e notte e nebbia, un po’ di luce anche a Catania (dove nel frattempo ricorso-fotocopia è stato presentato, proprio dal già rettore, con perfetto tempismo e pervicace attivismo giudiziario…).

A conclusione di questa doverosa, lunga e ricca (ma di povertà) premessa storica – perché la tendenza a dimenticare è una tentazione diffusa nel nostro Paese e dalle nostre cuffariane parti in ispecie – ecco il punto. Proprio da parte di chi ha creato un vulnus grave e dunque una condizione di potenziale ingovernabilità e stallo istituzionale (con l’approvazione dello Statuto “a prescindere”) viene oggi agitato quel vulnus, per dire che l’attuale amministrazione è illegittima, non ha titolo, e che un rettore votato da  oltre l’80% dell’ateneo è abusivo. Addirittura, in un’ultimissima esternazione a mezzo stampa, avente per oggetto niente di meno che “elezioni del nuovo rettore”, il prof. Recca, in abborracciato blasone istituzionale, dichiara “grande soddisfazione” per la sentenza del CGA che a suo dire azzererebbe tutte le cariche dell’ateneo (Rettore compreso) e si lancia come suo solito in accuse incontrollate e ardite nei confronti dell’attuale Rettore (mentre allestisce già gazebi elettorali agostani e lancia prevedibili candidature civetta). Scorda, il Recca (o finge di scordare e ignorare), che la stessa sentenza del CGA da lui osannata lo censura gravemente, ribadendo testualmente (come già la sentenza di primo grado) che “male ha fatto il rettore Recca” (si veda p. 12, rigo  7 e seguenti della stessa) ad avviare un contenzioso così pernicioso per l’Ateneo approvando lo Statuto in conflitto con MIUR e TAR.
Ma oggi il prof. Recca – con ennesima e metamorfica giravolta –  si erge a paladino della “legalità”! Fantastico! Abbiamo avuto notizia che alcuni colleghi, appena ricevuta la sua esternazione, l’hanno prontamente stampata e incorniciata, ponendola in bella mostra tra una foto di Totò e una di Dario Argento…
E dunque, e veniamo al punto, c’è da chiedersi: perché tale accanimento nei confronti della presente amministrazione? Un’amministrazione che noi abbiamo sostenuto ma con franchezza e libertà criticato su alcuni aspetti, anche rilevanti, della sua azione (tra questi la composizione troppo gerarchica e poco rappresentativa del SA [Senato Accademico] nel nuovo Statuto, o la posizione contraria assunta nella protesta sullo Stop VQR [Valutazione Qualità della Ricerca]); ma un’amministrazione che – non dimentichiamolo – ripristinando forme fisiologiche di confronto e dibattito (prima inimmaginabili), ha ereditato e affrontato, con importanti risultati, una crisi fortissima del nostro ateneo nella didattica e nella ricerca (nel settennio precedente altre erano le priorità), che ha  ripristinato modalità trasparenti di gestione degli appalti, che si è costituita parte civile nell’avvilente affaire del mailgate, che ha affrontato situazioni gravi e complesse – segnalandole  a tutti gli organi competenti – come la lievitazione esorbitante dei costi della Torre biologica e del contratto Global Service stipulato in precedenza dall’ateneo (solo per citare alcune delle azioni “sensibili” di questa amministrazione)?
Siamo in presenza di un gioco al massacro? Ovvero di un gioco in cui chi non ha nulla più da guadagnare nell’attuale situazione, ma tutto da perdere nel perdurare di azioni di trasparenza amministrativa, gioca il tutto per tutto, il “la va o la spacca”, il “muoia Sansone con tutti i Filistei”?
Calma, calma, con le illazioni. Diciamo calma a tutte le colleghe e i colleghi (circa un migliaio) che si stanno ponendo questa esatta domanda in queste settimane e in questi giorni.
E in attesa che si stabilizzi il contenuto – invero non chiaro e talora sibillino – della recente sentenza del CGA (si chiede il rinnovo degli organi statutari escluso o compreso il rettore? La prima ipotesi sembrerebbe ben più probabile a rigor di legge e di logica…), ci pare di potere dire una cosa, con serenità.
A chi ha ispirato, sostenuto, incoraggiato, promosso le recenti azioni giudiziarie vorremmo dire che noi non abbiamo MAI avuto paura delle regole né di chi le applica in un determinato momento. Se non ci piacciono le rispettiamo, ma cerchiamo di cambiarle e anche di cambiare chi le fa e le applica (se democraticamente eletto).
Il passato non ritorna mai uguale a prima e noi siamo ancora qui.
Pensiamo, dunque, che il  nostro ateneo non possa più di tanto stare al palo a farsi indebolire da interessi obliqui e giochi al massacro. Se l’incertezza dovesse perdurare, in assenza di un’interpretazione autentica della sentenza, aggravata anche da un gioco di rimpalli giuridici e di  indignazioni tanto strillate quanto interessate, c’è – in extrema ratio – un modo semplice per risolvere la questione. Tornare  a votare. E se (in questo ipotetico scenario) il Rettore Pignataro vorrà ricandidarsi e presenterà un programma condivisibile, lo sosterremo convintamente come abbiamo fatto la volta passata, per dare sia serenità e continuità alla gestione amministrativa quanto per migliorarla e rafforzarla dove possibile e necessario: ciò che riteniamo sia nell’intendimento della stragrande maggioranza dell’ateneo, docenti, personale amministrativo e studenti. Perché – come ricorda Machiavelli nei suoi Discorsi – “la malignità non è doma dal tempo né da alcuno dono”. Ma la volontà collettiva, serena e vigile, può sanare e correggere storture che il tempo lascia in eredità. Ma non per sempre.

CUDA (Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica)

Novelle dal ducato in fiamme

gadda_novelle_ducatoL’argomento è serio e piuttosto triste ma ho scelto un titolo gaddiano -che ora è compreso nella raccolta Accoppiamenti giudiziosiperché si tratta anche di un argomento un po’ grottesco. L’Ateneo di Catania, nel quale ho il piacere e la responsabilità di insegnare e fare ricerca, sta infatti attraversando un momento particolare, per comprendere il quale può forse essere utile leggere un documento assai vivace del Cuda (Coordinamento di docenti, amministrativi, studenti, strutturati e precari dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica libera, aperta e democratica).
Per capire ciò di cui parla questo testo credo sia opportuno riepilogare i risultati delle elezioni per la carica di Rettore che si tennero il 21 e il 28 febbraio 2013, risultati che sono pubblicamente consultabili qui: http://www2.unict.it/elezioni/index.php
La prima cifra si riferisce ai voti ottenuti nella prima tornata, la seconda cifra a quelli della seconda tornata, dopo il ritiro del secondo classificato -Prof. Giuseppe Vecchio- dalla competizione elettorale.

Riepilogo dei voti per singolo candidato (Dati consolidati)
Vittorio Calabrese: 2 – 15
Enrico Iachello: 108 – 13
Giacomo Pignataro: 745 – 1225
Giuseppe Vecchio: 661 – 112
Bianche: 25 – 72
Nulle: 15 – 28

Il testo del Cuda fa riferimento a ciò da cui la vicenda è nata, vale a dire una sentenza emessa lo scorso 18 novembre dal giudice del lavoro Patrizia Mirenda in merito al ricorso del Dott. Lucio Maggio contro l’Ateneo di Catania per il suo reintegro nell’incarico di Direttore generale. Credo sia importante conoscere l’effettivo contenuto di tale sentenza.
«Le doglianze poste a base dell’affermazione secondo cui la revoca dell’incarico sarebbe stata irritualmente assunta non sembrano fondate, dovendosi evidenziare, da un lato, che la revoca deliberata dal CdA non costituisce l’esito di un procedimento disciplinare (con la conseguenza che non sono pertinenti gli argomenti spesi dal ricorrente in ordine alla insussistenza di un vincolo di subordinazione gerarchica del direttore generale rispetto al CdA), venendo in rilievo, piuttosto, la responsabilità dirigenziale del direttore generale dell’Ateneo siccome configurata dall’art. 11 comma 6 del vigente Statuto, e, dall’altro, che sembrano essere state rispettate le garanzie procedimentali previste dal detto articolo» (p. 18).
«Ciò premesso, deve osservarsi che l’assunto del ricorrente secondo il quale l’avvio della procedura disciplinata dall’art. 11 comma 6, dello Statuto, ove non preceduta da un preventivo accertamento delle accuse da parte di un organo terzo, si tradurrebbe nell’esercizio di un potere disciplinare del tutto abusivo, è privo di fondamento» (pp. 18-19)
«Reputa questo giudice che anche sotto tale aspetto le doglianze del ricorrente non siano condivisibili giacchè se è vero che il CdA diede mandato al rettore di contestare le sole gravi irregolarità connesse con la vicenda della proroga dei contratti a termine dei dirigenti, l’articolo 11 comma 6 dello Statuto non prevede che il rettore debba ricevere dal CdA un mandato che individui previamente l’oggetto della contestazione». (p. 20)
«Le considerazioni sopra esposte inducono ad escludere la ricorrenza del fumus boni iuris rispetto alla dedotta illegittimità, sotto il profilo del rispetto delle garanzie procedimentali, della delibera di revoca dell’incarico di direttore generale» (p. 20)
«Le considerazioni espresse appaiono sufficienti a far ritenere, pur nella sommarietà che connota tale fase, la parvenza del buon diritto in capo al ricorrente e ad escludere la ricorrenza dei presupposti voluti dallo Statuto e dal contratto per la revoca dell’incarico» (p. 25)
«Reputa il Tribunale che il ricorrente abbia fornito elementi concreti da cui desumere sia l’allegata impossibilità di conservare integro il bagaglio professionale acquisito e la perdita di chance di carriera e di potenzialità occupazionali, sia, e soprattutto, la lesione della propria immagine professionale» (26) E qui il giudice sembra chiaramente riferirsi alla parte del ricorso nel quale il ricorrente lamenta «un serio impoverimento del suo bagaglio professionale impedendone l’ulteriore sviluppo e impedendogli di iscriversi nell’elenco degli idonei alla nomina di direttore generale o di direttore amministrativo delle aziende del servizio sanitario della regione Sicilia» (p. 12).

Si tratta, come si vede, di una sentenza circoscritta, della quale lo stesso giudice evidenzia per ben quattro volte la natura ancora «sommaria» (pp. 17, 24 e 25 [due ricorrenze]). L’aggettivo giustamente usato dal Rettore Pignataro in una sua mail del 28.11.2014 -«fantasioso»- va dunque attribuito non soltanto ad alcune interpretazioni giornalistiche della sentenza ma pure alle tesi di qualche amico del Dott. Lucio Maggio. Si tratta di interpretazioni anche provocatorie. Aggettivo, quest’ultimo, che va inteso sotto la fattispecie della figura retorica dell’eufemismo. A chi fosse interessato sono pronto a inviare il testo completo della sentenza.

Neurociak

Neurociak

 

 

 

 

Il 14 marzo 2014 alle 17,00 nell’Aula Pero del Policlinico di Catania parteciperò alla presentazione del ciclo di seminari Neurociak. La neurologia tra finzione cinematografica e documentazione scientifica.
Saranno presenti tra gli altri il Rettore dell’Ateneo Giacomo Pignataro e il Direttore del mio Dipartimento Giancarlo Magnano San Lio.

 

 

 

 

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