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La Cura

Who by Fire
di Leonard Cohen (1974)
Live In London (2009)

[audio:https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2018/08/Who-By-Fire-Live.mp3]

Versione video

And who by fire, who by water,
who in the sunshine, who in the night time,
who by high ordeal, who by common trial,
who in your merry merry month of may,
who by very slow decay,
and who shall I say is calling?

And who in her lonely slip, who by barbiturate,
who in these realms of love, who by something blunt,
and who by avalanche, who by powder,
who for his greed, who for his hunger,
and who shall I say is calling?

And who by brave assent, who by accident,
who in solitude, who in this mirror,
who by his lady’s command, who by his own hand,
who in mortal chains, who in power,
and who shall I say is calling?

Attraversando gli elementi -fire, water-; nelle ore più diverse -sunshine, night time-; chi in un allegro maggio e chi in un lento decadere; chi per un qualche decreto divino e chi per umana violenza; chi dando stoicamente il proprio assenso e chi senza nulla saperne; chi in catene e chi al potere; chi in solitudine e chi per amore. Tutti si muore.
Perché morire «è la possibilità della pura e semplice impossibilità d’esserci» (Heidegger, Essere e tempo, trad. di Alfredo Marini, Meridiani Mondadori, § 50, p. 709), una possibilità sempre certa e sempre indeterminata. L’umano non ha una fine «bensì esiste in modo finito» (§ 65, p. 927) ed è per questo che die Sorge, la Cura che sempre ci accompagna, è un essere per la morte.
I versi e la musica di Cohen ben esprimono il fatto che angoscia è lo stare al mondo in quanto tale. Nulla a che vedere con tristezze, depressioni o paure ma il semplice esistere e la sua complessità. «L’esserci fattizio esiste per nascita, e per nascita muore anche proprio nel senso dell’essere-alla morte. Entrambi i “capi” e il loro “trasono, finché l’esserci fattiziamente esiste, ed essi sono in quel modo che unicamente è possibile sulla base dell’essere dell’esserci come cura. Nascita e morte si “connettono”, nel modo che è proprio dell’esserci, nell’unità di dejezione e sfuggente o precorrente essere-alla-morte. In quanto cura, l’esserci è il “tra”» (§ 72, p. 1051).
Nella versione originale -a pagina 495 del volume 2 della Gesamtausgabe– il testo suona in modo meno freddo rispetto a questa traduzione: 

«Das faktische Dasein existiert gebürtig, und gebürtig stirbt es auch schon im Sinne des Seins zum Tode. Beide ‘Enden’ und ihr ‘Zwischen’ sind, solange das Dasein faktisch existiert, und sie sind, wie es auf dem Grunde des Seins des Daseins als Sorge einzig möglich ist. In der Einheit von Geworfenheit und flüchtigem, bzw. vorlaufendem Sein zum Tode ‘hängen’ Geburt und Tod daseinsmäßig ‘zusammen’. Als Sorge ist das Dasein das ‘Zwischen’».

Heidegger afferma infatti che l’essere gettati nel mondo e l’essere mortali costituiscono la profonda unità e tonalità dell’esistere; sono essi il ‘tra’ della Cura, dell’esistenza ‘fattizia’, quotidianamente immersa negli elementi, nel tempo, nei decreti del mondo, nel sapere e nell’ignorare, nella solitudine e nei «realms of love».
«Who shall I say is calling?» A chiamare è la Cura.

Tenebrae responsoria

The Place
di Paolo Genovese
Italia, 2017
Con: Valerio Mastandrea (l’uomo), Giulia Lazzarini (la signora Marcella), Sabina Ferilli (Angela), Marco Giallini (Ettore), Rocco Papaleo (Odoacre), Alba Rohrwacher (Suor Chiara), Vinicio Marchioni (Luigi), Silvia D’Amico (Martina), Vittoria Puccini (Azzurra), Alessandro Borghi (Fulvio), Silvio Muccino (Alex)
Trailer del film

Dico subito che The Place è uno dei film più coinvolgenti ed esatti che abbia visto negli ultimi anni. Non vi succede nulla al di là della parola, del narrare che costituisce da sempre una delle ragioni di identità della nostra specie. Qui c’è un uomo che ascolta. Lo fa nell’angolo di un bar, prende appunti su un’agenda mentre persone gli manifestano i propri desideri. Lui è in grado di soddisfarli, purché gli obbediscano. Un patto faustiano che coinvolge un’anziana signora che vorrebbe veder guarire il marito dalla devastazione dell’Alzheimer, un poliziotto recuperare la refurtiva di una rapina, una ragazza diventare più bella, una moglie essere di nuovo voluta dal marito, un cieco riacquistare la vista, una suora ritrovare la fede perduta, un padre salvare il proprio bambino da morte imminente, un meccanico trascorrere la notte con la modella che sorride dai manifesti dell’officina, un figlio liberarsi del padre. A tutti l’uomo garantisce la realizzazione delle loro aspirazioni purché facciano ciò che loro chiede. Che è quasi sempre malvagio o inconsueto o estremo.
Non è lui, naturalmente, a decidere. Sono loro a farlo, in un continuo alternarsi del solista che suggerisce e del coro che risponde. E lo fanno sul crinale della necessità e della pietà, della passione e del calcolo, di un libero arbitrio sempre illusorio e di un demone interiore che li guida, li spinge, li fa volere, li determina. Infatti poiché «ἦθος ἀνθρώπῳ δαίμων» (Eraclito, fr. 119),  «l’uomo fa sempre soltanto ciò che vuole e pure lo fa necessariamente» (Schopenhauer, La libertà del volere umano, Laterza 1988, p. 147) perché noi siamo sì in molte azioni liberi di fare ciò che abbiamo voluto ma non di volere proprio ciò che stiamo volendo.
Siamo dispositivi desideranti e sempre lo rimarremo finché un corpo umano e animale pulserà del desiderio di vita e del suo terrore. Il desiderio, infatti, «ci pervade in ogni momento e nelle forme più diverse. Dalla brama verso gli oggetti alle ambizioni sociali, dalla conquista dei corpi altrui al possesso del loro tempo, dall’aspirazione a vivere ancora alla passione del vivere nella pienezza delle nostre soddisfazioni, il desiderio costituisce il motore sempre acceso della vita che pulsa e non si arresta mai. Essere corpo e vivere nel desiderio sono la medesima espressione della Zoé che ci impregna al di là del bìos delle nostre vite individuali, delle nostre specifiche volontà, della particolare modalità in cui il flusso di aspirazioni che siamo si colloca in un luogo e in un istante particolari» (La mente temporale. Corpo Mondo Artificio, Carocci 2009, p. 260).
La radice di tale struttura è anche ambientale, psichica, relazionale, neuronale ma va oltre, molto oltre. E tocca la condizione di gettatezza del corpomente di ciascuno in un mondo labirintico e ferreo, nel quale le spranghe della necessità ci consegnano a un fantasma di libertà, allo spettro del bene, all’inganno della morale.
Ma il demiurgo malinconico, implacabile e potente di questo film si mostra anch’egli rinchiuso nei confini dell’oscuro, dai quali soltanto un angelo arriva a liberarlo quando tutto sembra essersi compiuto. «Credo nei dettagli» risponde quest’uomo a chi gli chiede in che cosa riponga la sua fede. Il dettaglio di uno spazio incomprensibile e geometrico. The Place è il luogo della Geworfenheit, dell’essere gettati in un mondo costituito di tenebra.

L’ascolto del II mottetto della terza giornata («Sabbato Sancto ad Matutinum») di Tenebrae Responsories di Tomás Luis de Victoria (1585) trasmette la malinconia di ciò che abbiamo perduto, della luce che intravediamo.

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