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Pascal

Blaise Pascal
Le Provinciali
(Les Provinciales, gennaio 1656-marzo 1657)
Introduzione e traduzione di Giulio Preti
Einaudi 1983
«NUE, 183»
Pagine XXIII-259

L’uso sapiente delle metafore, dell’ironia, dell’invettiva e di ogni sapienza stilistica fa di queste pagine un fluire scintillante di immagini, l’elegantissimo e insieme appassionato discorrere di un dotto. Ma solo comprendendo le ambiguità e il conflitto che albergano in questo libro famoso si può davvero apprezzare l’efficacia del pensare pascaliano.
Le contraddizioni fra l’adesione alla Chiesa Romana e la critica alle sue debolezze, tra lo scetticismo e il fanatismo, fra un’estrema serietà e una costante ironia, convergono e si annullano nel rigore del Sacro di cui Le Provinciali sono intessute. «Sant’Agostino, il più grande dei Padri» (lettera II, pag. 19) ritorna ad affrontare e a sconfiggere Pelagio e la sua idea che «un peccatore potrebbe rendersi degno dell’assoluzione senza nessuna grazia soprannaturale. Ora, non c’è nessuno che non sappia che questa è un’eresia condannata dal Concilio» (let. X, p. 114). È il pelagianesimo dei Gesuiti e del loro teologo Luis de Molina a indurre Pascal a inviare queste lettere ai responsabili della Compagnia di Gesù (pelagianesimo, tra parentesi, al quale sembra molto indulgere l’attuale Pontefice Romano, non a caso un gesuita).
Pascal è del tutto consapevole delle ragioni dei Gesuiti, del loro obiettivo ultimo: non respingere nessuno, offrire a chiunque un mezzo per salvarsi, stemperando il rigore dell’etica evangelica. La lucidità antropologica di Pascal si scontra tuttavia contro questo umanesimo e attribuisce a Dio una severità priva di incertezze:

Infatti, non vediamo che Dio insieme odia e disprezza i peccatori, fino al punto che anche nel momento della loro morte, che è il momento in cui il loro stato è più deplorevole e più triste, la saggezza divina unirà la canzonatura e il riso alla vendetta e al furore che li condannerà ai supplizi eterni? (let. XI, p. 120).

Questa radicalità di Agostino e di Pascal è stata di fatto respinta dalla Chiesa Romana in molte fasi della sua storia, certamente lo è in quella attuale nella quale la dottrina e la prassi delle gerarchie e di molti fedeli mettono in discussione gli stessi fondamenti della fede cattolica. In effetti è Molina ad aver vinto, sono i Gesuiti a continuare a vincere contro Pascal.
Al di fuori dell’ambito legato direttamente alla fede, Pascal è anche altro: su questioni di fatto e su ogni argomento non strettamente dogmatico, egli ritiene necessario non quasi ex autoritate praecipere, sed ex ratione persuadere (let. XVIII, p. 247). Il filosofo distingue nettamente i sensi, la ragione e la fede, assegnando a ciascuna di queste facoltà un proprio non valicabile ambito. Lo scienziato cita ironicamente il caso Galileo, in quanto non sarà un decreto «che proverà che la terra sta ferma» (ivi, p. 251).
La modernità di Pascal è ancora più profonda. È la convinzione illuministica e nietzscheana del valore del singolo rispetto alle masse, del potere degli illuminati sulla canaglia, del significato non democratico che inerisce alla verità quando è tale.
Una psicologia del peccatore in quanto «bambino-viziato» avvicina Pascal a Ortega y Gasset; l’analisi sociologica della massa fa pensare a una versione moralistica di Elias Canetti; il disprezzo verso tutto ciò che è umano, troppo umano, spiega la costante ammirazione di Nietzsche verso questo libro e il suo autore.

La fame

Cacciatori di cibo – Ivo Saglietti
Haiti, a noi così vicina, così lontana dal Cielo

Galleria San Fedele – Milano
A cura di Andrea Dall’Asta SJ e Stefano Femminis
Sino al 23 maggio 2015

Saglietti_HaitiCi volevano i gesuiti, sempre i più intelligenti tra i papisti, per denunciare alcune delle palesi contraddizioni dell’Expo 2015. È bastato allestire e ospitare nel loro spazio culturale di Milano una mostra del fotografo Ivo Saglietti, il quale nel 1993 fotografò ad Haiti la fame. Sì, la fame che spinge -allora come oggi- gli haitiani ad aspettare lo scarico di tonnellate di immondizia proveniente dagli Stati Uniti d’America e lanciarsi su di essa alla ricerca di qualcosa. Una busta sporchissima di latte in polvere mostrata come un trofeo. Poche gocce d’acqua stillate da bottiglie di plastica schiacciate e luride. In una delle fotografie che ritraggono delle schiene curvate, piegate alla ricerca, in basso a destra si vede una testa un poco alzata, occhi che guardano l’orrore. Ma occhi pacati, rassegnati.
Andrea Dall’Asta, gesuita appunto, presentando la mostra scrive: «In questi ultimi mesi, non si fa che parlare di Expo, di nutrire il pianeta, di cibo, di sapori e di profumi. Tra maggio e ottobre, parteciperemo a un’esilarante festa del gusto e del palato, a un’immensa kermesse, dove tutti saremo invitati ad applaudire prodotti raffinati e sostenibili, sentendoci coinvolti nell’avere contribuito in qualche modo alla salvaguardia del nostro così tormentato pianeta…Riusciremo a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, rispettando così la terra e i suoi equilibri?» E risponde: «E le ferite continuano, così come i falsi aiuti che troppo spesso non fanno che arricchire i ‘ricchi’, con stipendi favolosi, ‘fingendo’ di aiutare i poveri…Già, tutto continua, come sempre, anche oggi, con la violenza, le malattie, gli orfani e…gli immondezzai».
Un’immagine di Saglietti mostra tra la spazzatura innumerevoli bicchieri di carta della Coca Cola, sponsor primario dell’Expo milanese, insieme a MacDonalds e Nestlè. «Nutrire il pianeta» con cibo scaduto, avvelenato, sporco. «Energia per la vita», l’energia umana che trasforma l’immondizia in nutrimento. L’Expo è un insulto ai popoli che patiscono la fame.

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