«Quello della pietra e della fionda»
Gervasio Sánchez. Antología
Centro Português de Fotografia– Porto
Sino al 2 marzo 2014
5 sezioni, 139 fotografie, 72 ritratti. Numeri dentro i quali abita l’orrore. Le immagini di questo fotografo spagnolo non solo documentano la guerra contemporanea ma la fanno sentire come se in essa si fosse immersi. Robert Capa diceva ai suoi emuli: «Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino». Gervasio Sánchez si trova sempre vicinissimo alla ferocia indicibile dei massacri africani, al fanatismo delle dittature nell’America Latina, alle città balcaniche distrutte con dentro i loro abitanti, ai corpi mutilati dalle mine antiuomo, allo strazio dei familiari dei desaparecidos. Sánchez sembra presente proprio nell’istante in cui la violenza si compie, nella pienezza della sua follia e del suo significato. L’inevitabile voyeurismo della macchina fotografica si stempera nel tentativo e nella volontà di cogliere la poesia -sì, proprio la poesia– dei luoghi e dei gesti che generano morte e della morte testimoniano il divenire. Una sola immagine per tutte: un uomo fuma seduto su ciò che resta della vetrina di un negozio a Sarajevo mentre accanto a lui è steso il cadavere di un giovane colpito da un cecchino. Non si tratta di nemici né di parenti né di poliziotti o di soldati. Si tratta soltanto di un uomo vivo e di uno morto poiché il caso ha così deciso. E in altre immagini emerge la forza, nonostante tutto, dei bambini che giocano mentre ovunque è distruzione. Questa mostra è una danza macabra aperta alla rinascita, dove i simboli coincidono con la materia e dove i ritratti dei mutilati con i loro sorrisi colmi di pazienza sembrano dire: «Sono ancora qui, respiro ancora».