Claudius Schulze / ὕβϱις
in
Gente di Fotografia
Anno XXIV, n. 71, luglio 2018
Pagine 62-69
Il peggiore dei mali è la dismisura, è la ὕβϱις che smarrisce senso, proporzione, mezzi e obiettivi, che tutto confonde nel coacervo di una grandezza pronta a spezzarsi, che si spezzerà. Il primo dei beni è dunque -come concludono gli interlocutori del platonico Filebo (66a)- ciò che è misurato nello spazio, τὸ μέτριον, e opportuno nel tempo, τὸ καίριον. L’epoca presente è invece dismisura. Ed è questo State of Nature che l’opera di Claudius Schulze descrive con l’esattezza di un architetto, di un entomologo, di un filosofo.
Nelle sue immagini l’enormità degli spazi e delle costruzioni umane diventa exemplum di una sproporzione che emerge dentro i fenomeni più diversi come il gigantismo nell’architettura, la bulimia didattica, l’ultraliberismo, la democrazia colonialista, la negazione del genere, lo spettacolo televisivo, i Social Network, il culto per la ‘vita’ a ogni costo, il multiculturalismo e il mondialismo, il dominio della crematistica, e soprattutto la dismisura demografica, l’esponenziale crescita in pochi decenni degli umani in ogni parte del globo.
L’umano non è fatto per vivere da solo e non è fatto per raggrumarsi in termitai. In entrambe le modalità non può che perire. Sta qui il vero cuore di tenebra della questione ambientale, quello dal quale deriva ogni altro rischio, ogni altra distruzione. Siamo già 6 miliardi e mezzo di persone e il nostro numero si accresce di un milione di individui ogni quattro giorni. Numeri e percentuali talmente enormi da non riuscire davvero a intenderle, sino a quando sarà troppo tardi. Le risorse del pianeta, come quelle di ogni altro ente, sono finite.
Di fronte a un’intelligenza così scadente e autodistruttiva, quando non ci sarà più vita sulla Terra -e sembra che non mancherà molto-, quando la morte nucleare avrà reso il pianeta una nebbia indistinta e avvelenata, in attesa di essere inglobata dal Sole e sparire, chi dovesse osservarla da lontano non potrebbe certo immaginare che questa distruzione è frutto delle capacità e della pervicacia di una specie che definiva se stessa Sapiens e si credeva più intelligente di ogni altro animale. Ma così sarà stato.