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Palma e Moncado su Kremer & Johnson

Enrico Palma – Enrico Moncado
L’impero che illude

in Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini
anno XXVI – numero 75 – luglio 2020
pagine 54-61

L’impero che illude è il titolo dell’analisi che Enrico Palma ed Enrico Moncado hanno dedicato all’arte fotografica di Kremer & Johnson, in particolare alle raccolte This is not Magritte Conceptual.
Nella prima «l’intento dei fotografi è di riformulare, pur con la massima fedeltà agli originali, alcuni quadri particolarmente fecondi di Magritte, e in seguito di aggiungervi alcuni oggetti che riflettano la realtà del mondo attuale».
Nella seconda «lo scatto fotografico costruisce la finzione dell’esistere e allo stesso tempo rivela la spaesante verità di ciò che sta sotto, di ciò che fonda e sfonda l’illusione: il fatto di essere nearing the end».
Il testo dei due studiosi conferma che lo sguardo teoretico è anche lo sguardo estetico più profondo.

K&J_Magritte

Materico e abissale

Graffi – Attilio Scimone
in Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini
anno XXVI – numero 75 – luglio 2020
pagine 42-49

È la potenza della vita, della storia, della terra, dell’amore, che il bianco e nero materico e abissale di Attilio Scimone ci fa toccare, sfiorare, afferrare, vedere. Come se l’arte fotografica si fosse trasformata in domanda metafisica, nel labirinto di uno sguardo che coglie il mondo mentre germina dalla densità delle zolle, dall’armonia delle chiese, dal limpillio delle fontane, da sentieri astratti e interrotti, da colline che diventano città, da città che tornano fango, dal fango che gorgoglia dentro il tempo, dal tempo che si fionda nelle zolle.

Teoresi fotografica

Sul numero 74 di Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini (Anno XXV – Dicembre 2019) i miei allievi Enrico Moncado ed Enrico Palma leggono con raffinata profondità l’opera di due importanti fotografi.
Moncado scrive che «Elkaim sembra conoscere questa saggezza fotografica, questo limite che si rivela essere il senso e il significato più profondo del portare in atto la scrittura della luce, la foto-grafia. La luce di cui si sono nutriti i greci conosce la tenebra, il volto negativo di ciò che appare».
Palma afferma che «tentando di prelevare l’invisibile che vi si annida, Berger provoca il negativo della quiete, il divenire che sempre accade, che non è solo mare, né cielo, ma anche i corpi che vi dimorano. Il mare, una lamina di pause equilibrate, ospita i riflessi di questi placidi naufragi, di cui la macchina mostra il trasmutare».
Invito a leggere queste analisi teoretiche della τέχνη fotografica e a osservare alcune delle immagini alle quali si riferiscono.

[La foto in alto è di Elkaim, tratta dalla serie Sleeping with the Devil. L’immagine, splendida, non compare sulla rivista ma ha contribuito all’analisi svolta da Moncado]

Dentro il mondo

George Marazakis. Dentro il mondo
in Gente di Fotografia
anno XXV – numero 73 – luglio 2019
pagine 42-43 – immagini, pp. 43-49

C’è un ritmo nel mondo, un respiro regolare, nonostante tutti gli affanni, il disordine, l’incomprensibile. Andare per gli spazi, scoprirne il sottile segreto di dolore. Un gemito non umano che abita la materia e canta il suo limite e trionfo. Il mondo sembra a volte finto e morto, scenari messi su velocemente e con altrettanta rapidità smontati, una quinta teatrale per frotte fameliche di occhi che lo guardano sperando di trovare nello sguardo una qualche consolazione al fatto d’esserci. Nell’opera di George Marazakis l’ordine mai pedante degli incroci, l’impero non tracotante delle piante, il coagulo di industria e di natura, disperdono l’umano come un ancestrale selvaggio in mezzo ai boschi.
E dissolvendolo lo salvano.

La festa, il dolore

Venerdì 9 novembre 2018 alle 17,30 nel Coro di Notte del mio Dipartimento parlerò del magnifico libro di Franco Carlisi  Il valzer di un giorno (Seconda edizione rinnovata nei testi e nelle immagini, Gente di Fotografia Edizioni 2018).
Qualche mese fa avevo già scritto che questo libro raffigura i corpi, la festa, la tensione, il sorriso, la carne, le luci, le chiese e le strade, i curiosi e le madri, i suoni e i silenzi, il battito pronto a dire di sì, il distacco da ciò che fu, l’attesa dell’avvenire, gli abbracci per sempre e la potenza dell’adesso, il καιρός. E tutto questo nell’istante di uno scatto, in una foto.
Insieme a me e all’autore interverrà Maria Rizzarelli, con la sua consueta capacità di decifrare le immagini e restituirle in parole.

 
 

ὕβϱις

Claudius Schulze / ὕβϱις
in
Gente di Fotografia
Anno XXIV, n. 71, luglio 2018
Pagine 62-69

Il peggiore dei mali è la dismisura, è la ὕβϱις che smarrisce senso, proporzione, mezzi e obiettivi, che tutto confonde nel coacervo di una grandezza pronta a spezzarsi, che si spezzerà. Il primo dei beni è dunque -come concludono gli interlocutori del platonico Filebo (66a)- ciò che è misurato nello spazio, τὸ μέτριον, e opportuno nel tempo, τὸ καίριον. L’epoca presente è invece dismisura. Ed è questo State of Nature che l’opera di Claudius Schulze descrive con l’esattezza di un architetto, di un entomologo, di un filosofo.
Nelle sue immagini l’enormità degli spazi e delle costruzioni umane diventa exemplum di una sproporzione che emerge dentro i fenomeni più diversi come il gigantismo nell’architettura, la bulimia didattica, l’ultraliberismo, la democrazia colonialista, la negazione del genere, lo spettacolo televisivo, i Social Network, il culto per la ‘vita’ a ogni costo, il multiculturalismo e il mondialismo, il dominio della crematistica, e soprattutto la dismisura demografica, l’esponenziale crescita in pochi decenni degli umani in ogni parte del globo.
L’umano non è fatto per vivere da solo e non è fatto per raggrumarsi in termitai. In entrambe le modalità non può che perire. Sta qui il vero cuore di tenebra della questione ambientale, quello dal quale deriva ogni altro rischio, ogni altra distruzione. Siamo già 6 miliardi e mezzo di persone e il nostro numero si accresce di un milione di individui ogni quattro giorni. Numeri e percentuali talmente enormi da non riuscire davvero a intenderle, sino a quando sarà troppo tardi. Le risorse del pianeta, come quelle di ogni altro ente, sono finite.
Di fronte a un’intelligenza così scadente e autodistruttiva, quando non ci sarà più vita sulla Terra -e sembra che non mancherà molto-, quando la morte nucleare avrà reso il pianeta una nebbia indistinta e avvelenata, in attesa di essere inglobata dal Sole e sparire, chi dovesse osservarla da lontano non potrebbe certo immaginare che questa distruzione è frutto delle capacità e della pervicacia di una specie che definiva se stessa Sapiens e si credeva più intelligente di ogni altro animale. Ma così sarà stato.

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