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Cuori pesanti

The Idol
di Hany Abu-Assad
Palestina, Qatar, Gran Bretagna, 2015
Con: Tawfeek Barhom (Muhammad Assaf), Hiba Attallah (Nour bambina), Nadine Labaki
Trailer del film

A Gaza non è facile vivere e sopravvivere. Tanto più sembra impossibile aspirare a vincere il più importante concorso televisivo musicale che si tiene in Egitto:  Arab Idol. Ma Muhammad Assaf e sua sorella Nour sono abituati a correre, correre, correre, per sfuggire ai soldati e per raggiungere i loro sogni. Quando una malattia ferma la vitale e simpaticissima Nour, il fratello fa di tutto per regalare a lei e a se stesso il sogno. E ci riesce superando in modo rischioso e rocambolesco gli ostacoli più diversi: il muro eretto da Israele, la scarsità di risorse tecniche, l’intransigenza islamista, la rassegnazione. La sua bella voce gli apre le porte, la fortuna, la libertà.
Il film racconta una vicenda realmente accaduta, quella di un ragazzo diventato icona spettacolare del possibile riscatto di un popolo -i palestinesi- umiliato e offeso. Più fresco nella prima parte, quando Muhammad e Nour sono ragazzini, e più drammatico nella seconda, The Idol è certo un po’ televisivo e melodrammatico ma ha il merito di farci conoscere meglio la tragedia e la tenacia di un popolo che rischia il genocidio e i cui giovani anarchici hanno scritto un Manifesto dove si possono leggere parole come queste: «Siamo giovani dai cuori pesanti. Ci portiamo dentro una pesantezza così immensa che rende difficile anche solo godersi un tramonto. Come possiamo godere di un tramonto quando le nuvole dipingono l’orizzonte di nero e orribili ricordi del passato riaffiorano alla mente ogni volta che chiudiamo gli occhi? Sorridiamo per nascondere il dolore. Ridiamo per dimenticare la guerra. Teniamo alta la speranza per evitare di suicidarci qui e adesso. Durante la guerra abbiamo avuto la netta sensazione che Israele voglia cancellarci dalla faccia della Terra» (Libertaria 2016, Mimesis, Milano 2016, p. 106).

Se questo è un uomo

Da anni i palestinesi della striscia di Gaza vivono in una condizione atroce. Alcune organizzazioni umanitarie cercano periodicamente di portare aiuti a queste popolazioni ma subiscono la continua ostilità dello stato di Israele. Stanotte è successo qualcosa di terribile: delle imbarcazioni dirette a Gaza sono state assalite –in acque internazionali– dalla Marina israeliana. Sono morti decine di volontari e altri hanno corso enormi rischi, compresi donne e bambini. Un massacro attuato per impedire che altre donne e bambini ricevano cibo, vestiti, farmaci. La giustificazione di Gerusalemme è che «Israele considera» tale iniziativa «studiata per minare la sua immagine». L’immagine di uno Stato contro la vita di vecchi, donne, bambini. Considerate se questi sono uomini, costretti a vivere rinchiusi, isolati, affamati, bombardati. Ma nessun film, nessun libro, nessuna giornata della memoria ricorderà le vittime della violenza di questo Stato razzista.
In ogni caso, niente di nuovo sotto il sole: «Marciarono dunque contro Madian come il Signore aveva ordinato a Mosè, e uccisero tutti i maschi. […]..] Gli Israeliti fecero prigioniere le donne di Madian e i loro fanciulli e depredarono tutto il loro bestiame, tutti i loro greggi e ogni loro bene; appiccarono il fuoco a tutte le città che quelli abitavano e a tutti i loro attendamenti e presero tutto il bottino e tutta la preda, gente e bestiame. […] Mosè si adirò contro i comandanti dell’esercito, capi di migliaia e capi di centinaia, che tornavano da quella spedizione di guerra. Mosè disse loro: “Avete lasciato in vita tutte le femmine? Proprio loro, per suggerimento di Balaam, hanno insegnato agli Israeliti l’infedeltà verso il Signore, nella faccenda di Peor, per cui venne il flagello nella comunità del Signore. Ora uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna che si è unita con un uomo; ma tutte le fanciulle che non si sono unite con uomini, conservatele in vita per voi». (Libro dei Numeri, cap. 31, vv. 7-18)

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