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Haus der Kunst

Haus der Kunst
München 

L’imponente Haus der Kunst (Casa dell’arte) di Monaco di Baviera sta di fronte a un grande parco, è circondata da acque, è un magnifico esempio architettonico di funzionalismo neoclassico. Voluta dal regime nazionalsocialista, è oggi la sede di mostre d’arte contemporanea. Il contrasto tra gli spazi, lasciati come vennero concepiti negli anni Trenta del Novecento, e le creazioni che essi ospitano nel XXI secolo è straniante, efficace, bello. I grandi lucernari che offrono luce naturale alle sale illuminano il travaglio del nostro tempo, la tensione che oggi viviamo tra un crepuscolo volto alla disperazione e la tenace volontà di inventare un nuovo spaziotempo.
In questo periodo l’edificio ospita alcune mostre tra loro diseguali ma tutte, per una ragione o per l’altra, interessanti. Provo a farne una sintesi.

Kapsel 09: Raphaela Vogel  Ha chiuso il 14 luglio questa piccola mostra fatta di due installazioni e un video. Lo spazio più coinvolgente è costituito da due totem infuocati che circondano automobili e motori. I fari di un’automobile posta nel mezzo proiettano radiografie, altari, occhi egizi dentro i quali cammini deformati battono lo spaziotempo che si trasla in musiche sacre e danzanti. In un video due umani con maschere-totem ferine mimano dentro foreste e fiumi la lotta, la forza, l’animalità, il desiderio, il fluire. Le due installazioni di Raphaela Vogel disegnano in questo modo un ibrido zoomacchinico vivace, divertente, ironico. L’esatto contrario di quanto accade invece nell’opera di Miriam Cahn.

Miriam Cahn: Ich als Mensch [Miriam Cahn: l’io come umano] è aperta da poco (chiuderà il 27 ottobre). Questa è la mostra più debole, incentrata com’è su una ‘questione di genere’ ripetitiva e un poco stucchevole, soprattutto spettrale. Vi emergono una visione e un’immagine del sesso come cupa violenza. E questo conferma che la questione gender è fondamentalmente anche una questione sessuofobica. Una seconda tematica è invece più universale e riguarda il problema energetico e il rischio universale di fronte al quale l’umanità si trova. Altre opere disegnano e ripetono il fungo atomico o espongono grossi moncherini di legno morto, quello che probabilmente sarà il destino della vegetazione sul pianeta se gli umani non spariranno in tempi rapidi.

El Anatsui: Triumphant Scale [in mostra sino al 28 luglio] è la strepitosa creazione di un artista nigeriano. Etichette di plastica e carta, tappi di bottiglia, altri umilissimi materiali (qui a sinistra un particolare; sotto una delle opere) diventano tappeti, labirinti, pareti, pavimenti, spazi. Alcune opere, come Tiled Flower Garden (2012), fanno pensare a Monet; altre alla tradizione dei totem africani; altre ancora –Flusso, Icaro– al mondo greco. Tutte opere che costituirebbero un eccellente sfondo per l’arcaismo della tragedia attica.

Nachts. Zwischen Traum und Wirklichkeit [Notte. Tra sogno e realtà] è la più recente (aperta il 12.7.2019, chiuderà il 6.1.2020) ed è allestita nella Sammlung Goetz, la parte sotterranea dell’edificio. Video, suoni, fotografie descrivono un mondo notturno inquietante e mortale. La luna tra le nuvole, la notte e il vento. Discussioni sulla paura del Capitale. Un piano sequenza racconta il divenire dell’entropia. Zombie e streghe in un sarcastico verde-morte. Sonnambuli cercano di salvare libri che bruciano. Border. Mattino successivo al diluvio; il Sole al centro e nuove aurore a splendere. Baci a Parigi, baci allo specchio, rêve. Maschere inquietanti e insieme patetiche, tempus fugit e soltanto l’amore, forse, ricuce il senso; l’anima se ne va. È il movimento che rende i viventi qualcosa di meglio che burattini mossi da un oscuro racconto. Film noir. Flash senza scopo nella notte fonda. Lune finte nella finta vita. La staticità, il mai nuovo, noi. Frammenti d’incubi, di sogni. Ovunque il loop, la certezza e l’orrore del ritorno.
The dark side of human existence.

Interno / Esterno

Paulo Mendes da Rocha
Tecnica e immaginazione

Palazzo della Triennale – Milano
A cura di Daniele Pisani
Sino al 31 agosto 2014

Mendes_da_Rocha_Casa_Millan«Non ci dovrebbero essere case isolate», anche perché l’architettura non è un dominio autonomo ma costituisce un ambito dell’urbanistica. È questo il principio che guida la tecnica e l’immaginazione dell’architetto brasiliano Paulo Mendes da Rocha. Un principio epistemologicamente plausibile e  socialmente necessario ma che non può essere esclusivo. Il rischio è un funzionalismo che in Mendes dichiara di ispirarsi sempre e comunque a un «ridisegno del territorio» che ne rispetti le caratteristiche e l’identità ma che in altri -e a volte in lui stesso- vira più di frequente verso una «complessiva ‘costruzione della natura’» che impone ancora una volta il progetto umano come suprema regola del costruire.
Emblematica, bella e rischiosa è la sua definizione dell’architettura come un «costruire -dove prima non c’era- un luogo dove sia possibile vivere»; significativo è in questo senso l’utilizzo totale, pervasivo e massiccio di un materiale quale il cemento armato, che per il solo fatto di essere ancora il materiale per eccellenza dell’architettura contemporanea non per questo risulta meno fragile al tempo, meno triste allo sguardo, oltre che affetto da vari limiti, tra i quali assai fastidioso è ciò che l’ingegner Carlo Emilio Gadda descrive come «lo svantaggio termico: le stanze si raffreddano e si riscaldano al variare della temperatura esterna con le ore del giorno: il sorgere del sole è percepito attraverso la scemenza dei forati dall’inquilino a levante, la bestiale autorità del sole estivo delle sedici diciotto è patita attraverso la inefficienza dei forati dalla indifesa agonia e dal sudore turco dell’inquilino a ponente» (Verso la Certosa, Adelphi 2013, p. 122).
Molte opere funzionalistiche- tra le quali anche quelle di Mendes da Rocha come il Palazzetto del Clube Atletico Paulistano, Casa Gerassi, lo Stadio Serra Dourada, il Museo Brasileiro de Escultura (MuBE)- sono certamente geniali e innovative ma appaiono già pochi anni dopo la loro realizzazione in uno stato di degrado che è probabilmente intrinseco alla struttura stessa del calcestruzzo. Bisognerebbe, da parte degli architetti, avere il coraggio di utilizzare più spesso materiali alternativi, compresi il legno e la pietra, la cui continuità con il mondo garantisce loro durata e prestazioni. Mendes da Rocha si inserisce invece nel progetto base della modernità, quello inaugurato da Le Corbusier. La sua opera è una sorta di mescolanza tra i principi funzionalistici e la fantasia di Picasso.
In ogni caso, Mendes ha ragione quando afferma che «il mare ha senso se lo vedi dalla finestra, non se lo vedi dalla spiaggia», poiché soltanto la dinamica interno/esterno dà senso al fare architettonico, a un «abitare che viene prima del costruire» (Heidegger).

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