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Immagini/Realtà

Immagini inquietanti / Disquieting images
Milano – Palazzo della Triennale
A cura di Germano Celant e Melissa Harris
Sino al 9 gennaio 2011

Fotografie. Saranno qualche centinaio. Gli autori sono sparsi per l’intero pianeta. Si cammina tra queste immagini con un crescente senso di orrore. Esse documentano la quotidiana infelicità di tanti umani; le loro passioni estreme; le guerre e le trasformazioni che esse producono nei corpi di chi rimane vivo, oltre all’enorme numero di cadaveri che generano; la vita nei luoghi dominati dal crimine -dal Messico a Palermo-; la sofferenza inflitta dalle donne su altre donne nelle culture che recidono il clitoride alle bambine, come in Indonesia; la violenza dentro la famiglia; l’immensa solitudine di ciascuno.
Nan Goldin ritrae ironicamente uno skinhead vestito comme il faut con accanto la propria figlia tutta linda e ben educata. Elena Dorfman intitola Still Lovers il rapporto tra degli esseri umani e delle bambole erotiche, fotografati mentre si fanno semplicemente compagnia. Donna Ferrato mostra che cosa significhi Living with the Ennemy, con un marito che dà in escandescenze mentre la moglie cerca di nascondergli la cocaina. Robert Mapplethorpe mostra il lato più estremo della propria arte di raffigurare i corpi, giungendo a un risultato pornografico sino all’inguardabile.
Ma nulla è più inguardabile dei morti sfigurati che costellano le tre tappe -dal titolo The Silence– nelle quali Gilles Peress ha scandito i massacri avvenuti nel 1994: The Sin (Rwanda), Purgatory (Tanzania), The Judgment (Zaire); sono foto senza filtro, senza censura, atroci. Zaimaï disvela l’orrore dell’Afghanistan, luogo nel quale le apocalittiche “missioni di pace” hanno portato in ogni angolo le armi più all’avanguardia, hanno raso al suolo il tessuto antropologico e sociale di quelle comunità, hanno indotto persone di tutti i ceti e gruppi a usare dosi massicce di oppio per sopportare ferite e sofferenze. Nina Berman mostra senza infingimenti e retorica le conseguenze delle guerre statunitensi sui soldati americani, tranciati, deturpati, ridotti a fantasmi di se stessi, orribili e segnati per sempre. Letizia Battaglia descrive i cadaveri disseminati dalla mafia a Palermo e la disperazione dei loro familiari. Philip Jones Griffiths documenta i Collateral Damages della guerra in Vietnam, con immagini che non si possono descrivere a parole. Michael Nichols denuncia il Brutal Kingdom, le violenze inutili e terribili che gli umani infliggono ai primati e ad altri animali.
Inquietanti è naturalmente un eufemismo. Mi vergogno di appartenere a una specie che è capace di compiere le azioni e gli eventi che le immagini di questa mostra dicono accadere ogni giorno, qui ora.

Il fotografo, le città

Istanbul 05 010
Milano – Fondazione Stelline
Sino al 12 dicembre 2010

Lo spazio, gli spazi. Lo spazio come oggetto e soggetto, contenitore e contenuto, rappresentazione e sostanza. Gli spazi delle città che Gabriele Basilico sa cogliere nella loro natura fisica, di organismo che una volta nato cresce come un corpo vivo. E come un corpo, una città può essere ferita, invecchiare, rigenerarsi, morire.
Istanbul appare in tutta la sua confusa concrezione di legno, cemento, ponti, mare, luci, parabole satellitari. Un formicaio di case che nulla concede all’esotico, alla cartolina, alla storia. Per Basilico, la fotografia documenta e ricrea sempre e solo il presente. Protagonisti assoluti sono dunque e appunto gli spazi urbani, dei quali gli umani sembrano soltanto un epifenomeno.
Lo stesso sguardo il fotografo rivolge alle altre città che visita, come ben documenta il lungo e appassionante filmato che accompagna la mostra. Città soprattutto di mare, coi loro porti infiniti. La costa bretone sembra ampliarsi nel cielo cupo di tempesta; Genova è la potenza delle sue strutture portuali che fanno corona all’immobilità verticale della Lanterna; Beirut appena uscita dalla guerra sembra da lontano una delle tante città mediterranee, coi loro quartieri sventrati dalla pace e non dalle bombe; San Francisco è il conflitto/continuità tra i quartieri industriali dismessi e i tracotanti grattacieli della finanza.
Ma anche una città senza porto, Mosca, è colta nelle sue costanti e nelle trasformazioni, una città decisamente verticale, dove l’ossessione del potere si fa architettura. E l’architetto/fotografo torna poi sempre alla sua città, Milano, della quale lo interessano i quartieri meno alla moda, meno curati ma ricchi di una stratificazione produttiva e antropologica che l’immagine ufficiale cerca di nascondere o addirittura negare.

Per Basilico, infatti, la fotografia ha in sé una dimensione sociale essenziale e fondante. Che in lui diventa consapevolezza della non neutralità dello sguardo. Afferma infatti, in un brano della lunga intervista che intesse il film, che «posso fotografare le periferie accentuando il tono drammatico e gli scuri, ma posso invece avere uno sguardo più rispettoso della natura anche solidale di questi spazi». Ha ragione, non esistono luoghi ma solo interpretazioni. Basilico attraversa dunque le città col suo cavalletto sul quale una raffinata macchina analogica si ferma a cogliere, fedele, non soltanto ciò che si riflette nel diaframma ma soprattutto quanto l’occhio dell’artista aveva già colto e costruito.

Geometrie corporali

Francesca Woodman
Milano – Palazzo della Ragione
A cura di Marco Pierini e Isabel Tejeda
Sino al 24 ottobre 2010

Parti del corpo che però rimangono sempre colmi della vitalità dell’intero, del dinamismo che assicura la vita anche quando essa è pregna della tristezza densa e antica che le immagini di Francesca Woodman sanno evocare. Una tristezza classica, che affonda nella statuaria greca ma che questa giovanissima artista (1958-1981) seppe ricreare in forme che qualcosa devono, certo, a Man Ray o a Luxardo ma che sono assolutamente originali sia nella ripresa della tradizione dell’autoritratto sia nella sapienza geometrica dei risultati.
Le immagini sono quasi tutte scattate in interni, in angoli di stanze vuote alle quali Woodman affida il proprio corpo e spesso la propria nudità. Un corpo che si fa una cosa sola con le pareti, con la plastica che l’avvolge, con le sedie e i pavimenti sul quale poggia. Luoghi che diventano gabbie -alla lettera- ma che poi si aprono a esterni di grande potenza, dove la figura di Francesca sembra assorbita dalle radici di alberi secolari, dalle spiagge, dal mare.
Il volto appare di rado, mentre in una tra le serie più efficaci -dal titolo Face– il pube è coperto da specchi, maschere, vetri, quasi a moltiplicare all’infinito l’enigma della sostanza che lo compone.
Nella fotografia forse più cosmica ed emblematica l’artista raffigura se stessa appesa a uno stipite, in una forma che non può non richiamare la crocifissione di questa donna al legno della propria solitudine.

Zhang Huan. Ashman

Milano – Padiglione d’Arte Contemporanea
Sino al 12 settembre 2010

Ashman è il nome col quale Zhang Huan sintetizza la propria visione eroica dell’esistere.
Dei video mostrano il silenzio del protagonista mentre compie i suoi pellegrinaggi dentro le città, tra la cenere, il ghiaccio, offrendo il proprio corpo agli elementi. Alcune fotografie lo ritraggono mentre gioca con la propria pelle o coi monumenti romani. Quadri di grandi dimensioni compongono una celebrazione gloriosa e funerea della Cina comunista, della Cina contemporanea. Altri dipinti rappresentano insetti, operai, soldati. Imponenti Buddha fatti di materiali diversi segnano l’immobilità della storia, del dolore, del niente. Uno di essi è composto di cenere che a poco a poco si disfa trasformando in vuoto lo spazio prima occupato dal Buddha.
Dominano dunque in questa mostra il grigio, la cenere, i teschi, la disgregazione. Su tutto una silenziosa ed elegante disperazione, insieme materica e interiore.

Kubrick fotografo 1945-1950

Milano – Palazzo della Ragione
A cura di Rainer Crone
Sino al 4 luglio 2010

Diciassettenne, Kubrick venne assunto dalla rivista Look, per la quale realizzò dei servizi fotografici che testimoniano della precocità di uno sguardo che attraverso le immagini -immobili o in movimento che siano- è stato capace di cogliere il segreto della vita e delle cose e trasformare il quotidiano in epica. Come per i film, i temi sono i più diversi ma in tutti è assolutamente riconoscibile una forza veritativa che coglie e disvela l’enigma dentro persone, fatti, oggetti, situazioni, e tale enigma sa portare alla luce, letteralmente. Il gioco delle luci e delle ombre è infatti già cinematografico, denso di un’inquietudine sospesa e definitiva.

Veicoli per il trasporto dei detenuti; l’epopea di un lustrascarpe ragazzino; dietro le quinte del circo; una giovane attrice e il suo ambiente; la vita accademica della Columbia University e dell’Università del Michigan; la città degli orfani di Mooseheart; il jazz; un viaggio in Portogallo. Questi i temi documentati dalle circa duecento fotografie della mostra. Mondi diversi che acquistano senso e unità nell’occhio profondamente partecipe e insieme totalmente tecnico di Stanley Kubrick.

Treccani. La mia città

Ernesto Treccani. La mia città
Milano, fotografie e dipinti

Milano – Fondazione Corrente
Sino al 18 giugno 2010

Ernesto Treccani (1920–2009) ha amato Milano dell’amore che questa città merita. Un amore intimo e fattivo. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, l’artista realizzò una serie di fotografie e di dipinti -di dipinti in gran parte tratti dalle foto- che ritraggono e soprattutto sentono la città e ne mostrano il tessuto sociale operaio e aristocratico, l’espansione veloce e i silenzi profondi. Rispetto al presente, mostrano soprattutto il vuoto, i grandi spazi ancora simili a quelli dipinti da Sironi decenni prima. Non soltanto le periferie ma anche le strade del centro storico sembrano avviluppate da una tranquillità perduta. Milano è un grosso paese, non è affatto una metropoli, e anche questo fa la sua dolcezza e la sua forza antropologica, ancora nonostante tutto pulsante.
La mostra è allestita nella sede della Fondazione voluta dall’artista, che per essa realizzò la magnifica facciata in maiolica, con le rondini che volteggiano sopra la città.

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