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La Sicilia impossibile

La nuova scuola di fotografia siciliana
Milano – Galleria Gruppo Credito Valtellinese
Sino al 29 gennaio 2012

Tre fotografi siciliani dell’ultima generazione esprimono in modo radicale l’impossibilità di restituire l’Isola in immagini, sineddoche dell’impossibilità di dirla, di coglierla, di esaurirla. Carmelo Bongiorno (Last Plate, 2008) adotta una tecnica sfocata, un mosso troppo esplicito e dagli esiti manieristici, pur con qualche notevole raggiungimento, soprattutto nelle grandi foto a colori, come Last plate. Il risultato complessivo è vicino all’estetica della Pop Art. Effetti opposti consegue Carmelo Nicosia, con le sue immagini scattate dal cielo, troppo gelide e rarefatte. Sandro Scalia dà forma a una natura antropizzata e dunque del tutto desolata, fatta di autostrade, cantieri, cave, serre.

A questi tre fotografi la mostra accompagna le immagini di alcuni grandi maestri tra i quali Letizia Battaglia, con una Palermo dalla miseria senza fine, con i suoi morti ammazzati degli anni Settanta e Ottanta composti al modo di Mantegna e dal taglio sempre rinascimentale o caravaggesco, come lo splendido e dolente ritratto di Rosaria Schifani. Assai meno convincenti risultano le Rielaborazioni recenti di queste opere, che mescolano la tragedia alla frivolezza. Il più importante fotografo siciliano rimane Ferdinando Scianna, un talento nel quale la lezione di Cartier-Bresson, da lui personalmente conosciuto e frequentato, diventa pura arte, immagini epiche e potenti, come in quel vortice di sorriso e di femminilità mediterranea che è Pantelleria.

(Enzo Sellerio, Morgantina, il guardiano degli scavi, 1960; Letizia Battaglia, Rosaria Schifani, 1992)

Enzo Sellerio sembra tra i maestri il più tranquillo e invece a me la sua opera risulta estrema nella sua apparente pacatezza, generatrice di un’angoscia sottile e inspiegabile, come nel barocco e straniante Morgantina, il guardiano degli scavi.
Da tutte queste immagini la Sicilia emerge come tragedia, incubo, gloria, mito, disperazione, Sole, nulla.

KRGR

KRGR. Bob Krieger
Ricordi tra fotografia e arte

Milano – Palazzo Reale
Sino all’11 settembre 2011

 

Bob Krieger è nato nel 1936 ad Alessandria d’Egitto da padre tedesco che parlava inglese e da madre siciliana che parlava solo francese. Il nonno materno era un pittore napoletano. Le condizioni giuste per diventare un apolide. Così come apolide è l’ambiente della moda, al quale Krieger ha indirizzato un’attenzione costante e vincente, che gli ha consentito di diventare fotografo di riferimento di molte riviste del settore, di stilisti, del “bel mondo”, insomma. Un mondo al quale ha dedicato e dedica la sua capacità di ritrattista. Decine di queste immagini di donne e uomini noti costellano la mostra. Una loro caratteristica quasi costante è la presenza non soltanto del volto ma anche delle mani, collocate in una postura che amplia l’espressione del viso dandole una precisa direzione interpretativa. Il più intenso di questi ritratti è forse quello dedicato a un Indro Montanelli sconcertato, come se stesse guardando l’Italia contemporanea.

Al di là dei ritratti e delle fotografie di moda, Krieger ha realizzato immagini esplicitamente ispirate al mondo classico, con delle vere e proprie riprese della statuaria greca o della pittura neoclassica.  Negli anni più recenti sembra che la fotografia non gli basti più e Krieger inventa delle fotosculture nelle quali i corpi o delle loro parti -soprattutto gli occhi- sono posti dentro cornici molto elaborate. Così, ad esempio, in Start, dove un grande occhio rosso con delle pagliuzze dorate dentro la pupilla è inserito in una struttura ai cui angoli sono poste le immagini di alcuni tachimetri d‘automobile. Oppure Essere, nel quale l’immagine di un corpo che va sfumando e dal quale cola del rosso sangue è imprigionata dentro un filo spinato. Spesso, però, tali opere risultano di un gusto assai discutibile. I risultati migliori a me sono parsi invece alcuni nudi dai chiaroscuri potenti, tanto da farli somigliare a delle sculture. Tra questi, una fotografia dal titolo Penso.
L’impressione complessiva è quella di un talento notevole, posto al servizio di un mondo fatuo.

La finestra inversa

La finestra inversa: il senso di Smith
Mostra fotografica di Claudio Pagano
Catania – Corridoio dell’Orologio del Monastero dei Benedettini
Sino al 21 maggio 2011

Venti grandi fotografie ritraggono uomini e donne sotto la pioggia. In un bianco e nero sgranato e accecante i corpi perdono la loro individualità, non hanno né identità né volti. Emerge di ciascuno l’irreparabile solitudine. Ogni immagine è accompagnata dalle parole di filosofi, poeti, artisti. Le più significative a dire quanto le foto intendono esprimere mi son parse queste: «La vita è fatta di piccole solitudini» (Barthes); «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie» (Ungaretti); «L’uomo è l’unica creatura che rifiuti di essere quello che è» (Camus).
Immagini del pensiero, essenziali, vicine, remote.

Immagini/Realtà

Immagini inquietanti / Disquieting images
Milano – Palazzo della Triennale
A cura di Germano Celant e Melissa Harris
Sino al 9 gennaio 2011

Fotografie. Saranno qualche centinaio. Gli autori sono sparsi per l’intero pianeta. Si cammina tra queste immagini con un crescente senso di orrore. Esse documentano la quotidiana infelicità di tanti umani; le loro passioni estreme; le guerre e le trasformazioni che esse producono nei corpi di chi rimane vivo, oltre all’enorme numero di cadaveri che generano; la vita nei luoghi dominati dal crimine -dal Messico a Palermo-; la sofferenza inflitta dalle donne su altre donne nelle culture che recidono il clitoride alle bambine, come in Indonesia; la violenza dentro la famiglia; l’immensa solitudine di ciascuno.
Nan Goldin ritrae ironicamente uno skinhead vestito comme il faut con accanto la propria figlia tutta linda e ben educata. Elena Dorfman intitola Still Lovers il rapporto tra degli esseri umani e delle bambole erotiche, fotografati mentre si fanno semplicemente compagnia. Donna Ferrato mostra che cosa significhi Living with the Ennemy, con un marito che dà in escandescenze mentre la moglie cerca di nascondergli la cocaina. Robert Mapplethorpe mostra il lato più estremo della propria arte di raffigurare i corpi, giungendo a un risultato pornografico sino all’inguardabile.
Ma nulla è più inguardabile dei morti sfigurati che costellano le tre tappe -dal titolo The Silence– nelle quali Gilles Peress ha scandito i massacri avvenuti nel 1994: The Sin (Rwanda), Purgatory (Tanzania), The Judgment (Zaire); sono foto senza filtro, senza censura, atroci. Zaimaï disvela l’orrore dell’Afghanistan, luogo nel quale le apocalittiche “missioni di pace” hanno portato in ogni angolo le armi più all’avanguardia, hanno raso al suolo il tessuto antropologico e sociale di quelle comunità, hanno indotto persone di tutti i ceti e gruppi a usare dosi massicce di oppio per sopportare ferite e sofferenze. Nina Berman mostra senza infingimenti e retorica le conseguenze delle guerre statunitensi sui soldati americani, tranciati, deturpati, ridotti a fantasmi di se stessi, orribili e segnati per sempre. Letizia Battaglia descrive i cadaveri disseminati dalla mafia a Palermo e la disperazione dei loro familiari. Philip Jones Griffiths documenta i Collateral Damages della guerra in Vietnam, con immagini che non si possono descrivere a parole. Michael Nichols denuncia il Brutal Kingdom, le violenze inutili e terribili che gli umani infliggono ai primati e ad altri animali.
Inquietanti è naturalmente un eufemismo. Mi vergogno di appartenere a una specie che è capace di compiere le azioni e gli eventi che le immagini di questa mostra dicono accadere ogni giorno, qui ora.

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