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Terra / Forma

Yann Arthus-Bertrand. Saint-BrieucLa Terra vista dal cielo
di Yann Arthus-Bertrand
Museo di Storia Naturale – Milano
Sino al 19 ottobre 2014

Yann Arthus-Bertrand. PjorsaLa summa di questo artista è Home, un film che aiuta a capire il presente del nostro pianeta. E tuttavia osservare le sue immagini statiche, ciascuna con attente didascalie, dà la possibilità di apprezzare ancor di più la sapienza formale dello sguardo di Yann Arthus-Bertrand.Yann Arthus-Bertrand. Las Vegas

Ovunque la mente umana vede forme, colori, relazioni. La struttura a spirale di un alveare umano nella periferia di Las Vegas. La foresta di antenne satellitari sui tetti di Aleppo, una delle più antiche città del mondo. La densità cromatica di un centro di demolizioni di automobili in Yann Arthus-Bertrand. AleppoFrancia. Le macchie rosse degli ibis in Venezuela. Il livido bianco/nero di Pripyat, città fantasma vicino a Chernobyl. La pura e astratta forma disegnata dal fiume Pjorsa in Islanda. Yann Arthus-Bertrand. Pripyat

Ovunque splende ed emerge l’opera d’arte che abitiamo. Per quanto tempo ancora? Yann Arthus-Bertrand. Pedernales

Pasolini / Milano

LA NEBBIOSA. Lo sguardo di Pasolini su una Milano ormai scomparsa
Milano – Palazzo Moriggia / Museo del Risorgimento – Laboratorio di Storia Moderna e Contemporanea
A cura di F.G. Confalonieri
Sino al 14 settembre 2014

«Che Pasolini non fosse interessato a Milano è un luogo comune duro a morire» affermano giustamente i curatori di questa mostra. Vorace di vita e curioso di sapere com’era, Pasolini capiva infatti che la città lombarda era il luogo dove la mutazione antropologica degli italiani stava avvenendo nel modo più chiaro. Anche per questo accettò nel 1959 la proposta di scrivere la sceneggiatura di un film ambientato nel mondo dei teddy boys, dei giovani teppisti imitatori dello stile di vita statunitense.
Nel novembre di quell’anno Pasolini esplora dunque la città «con un gruppo di ragazzi teppisti quanto basta, che gli fanno da guida linguistica e antropologica». Il titolo del progetto era La Nebbiosa, a indicare uno dei massimi luoghi comuni sulla città ma certamente anche evocativo delle sue atmosfere. Quel film poi non si fece -o fu realizzato in modi lontanissimi da quanto Pasolini aveva pensato- e la sceneggiatura integrale è stata pubblicata soltanto di recente (sul numero 3 della rivista Arabeschi Maria Rizzarelli ne fa un’analisi densa e rigorosa ).
La mostra consiste in immagini scattate negli anni Sessanta, alle quali si accompagnano brani della sceneggiatura pasoliniana. Il risultato è davvero coinvolgente sia per la qualità delle fotografie (di Cattaneo, Berengo Gardin, Scianna, Colombo, Dabbrescia, Garolla, Oliviero, Barbey, Benzi, Zanni, Milani, Strizzi, Gelmi) sia per la densità e bellezza del testo.
La vicenda accade tutta in un giorno, il giorno di Capodanno, uno di quei momenti nei quali l’obbligo di divertirsi può condurre ai peggiori esiti. L’itinerario dentro la città ha inizio a Metanopoli e si conclude a San Siro, nei pressi di quello stadio che una foto del 1964 mostra ancora immerso nel verde, mentre adesso è -ovviamente- circondato da case e quartieri. Tra questi due luoghi si dipana ciò che può accadere a un gruppo di teppistelli in cerca di emozioni, trasgressione, alcol, donne. Pasolini sa che la loro violenza -anche contro i padri- è del tutto sterile. Scrive: «Ma non li odiate abbastanza…perché, in fondo, siete come loro» e infatti veniamo a sapere che nel 1995 «si fanno vivi con i giornali i due principali informatori di Pasolini  -il Gimkana e El Lobo- […] diventati nel frattempo stimati professionisti». Questi futuri professionisti non praticano soltanto eccesso e violenza ma con i loro compagni ballano a lungo in un locale «tutti presi dal ritmo che ha qualcosa di religioso, di mistico» e sanno anche gioire: «Le loro risa di gioia risuonano nella strada deserta, in fondo alla quale si intravede la sagoma dello stadio, una costruzione che pare metafisica».
Altre costruzioni emergono nel freddo della notte e dell’alba: «Dietro quell’ammasso di macerie splendono le sagome di quattro, cinque, grattacieli: il Galfa, il Pirelli ecc.  Sono immagini stupende: sfolgorano di luci come giganteschi diamanti, come colossali fantasmi pietrificati». A risuonare è spesso soltanto il silenzio di giovani che -dirà qualche anno dopo Pasolini- «sanno solo ghignare o sghignazzare» (Lettere luterane, Einaudi 1976, p. 9). Una profonda malinconia attraversa dunque questo progetto: «Di nuovo nessuno gli risponde: e, fuori, quel paesaggio ossessivo di immagini tristi, di viali, senza speranza».
La Nebbiosa fu pensato da Pasolini anche come risposta alla Milano di Giovanni Testori, i cui testi lo avevano affascinato, in particolare Il Dio di Roserio. Entrambi guardano agli umani e ai loro spazi con disincanto ma anche con pietà e con poesia.

Fotografia contemporanea

2004-2014. Opere e progetti del Museo di Fotografia Contemporanea
Palazzo della Triennale – Milano
Sino al 10 settembre 2014

Karen-Knorr-dalla-serie-Fables-Musee-Carnavalet-2004Dieci anni di attività del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo (MI) vengono riassunti e documentati in una densa mostra che si dipana tra quanto è stato acquisito (milioni di immagini) e i numerosi progetti in corso, alcuni dei quali si svolgono nell’ambito del territorio dove il Museo ha sede e ne valorizzano gli aspetti antropologici.
Attraversando queste immagini si ha la conferma che la fotografia è un sapere davvero universale, che può affrontare ogni tema. Non ci sono ambiti, realtà, barriere specifiche ed escludenti che impediscano a un animale eminentemente visivo qual è Homo sapiens di guardare, vedere, osservare, fissare tutto ciò che lo circonda e dentro cui è immerso. Vediamo quindi scorrere paesaggi, città, ritratti, strade, animali non umani e umani, calciatori dilettanti (Hans van der Meer), lavoro, Hans-van-der-Meer-Calciatori-della-domenica-2006grattacieli, tazzine, dipinti, viaggiatori, interni reali e surreali (il Musée Carnavalet di Karen Knorr), onde del mare, cantieri urbani, laghi nordici, alveari asiatici (come la Hong Kong di Peter Bialobrzeski) e altro ancora. Spazi sconfinati e minuti particolari si alternano dentro l’occhio.
Fotografi assai noti -per rimanere soltanto in Italia: Basilico, Lucas, Jodice, Berengo Gardin, Ghirri- si alternano a giovani artisti che cercano nuove strade, altre prospettive, sguardi diversi.

Peter-Bialobrzeski-dalla-serie-Neontigers-Hong-Kong-2001

Cinema / Montaggio

Un’ora sola ti vorrei
di Alina Marazzi
Italia, 2002
Con: Luisella Hoepli
Trailer del film

Un-ora-sola-locandinaTra i seminari organizzati dal Med Photo Fest 2013 quello di Stefania Rimini è stato dedicato al cinema di Alina Marazzi. Occasione propizia per conoscere un film drammatico e magnifico come Un’ora sola ti vorrei. Un’opera che assembla, trasfigura e dà senso ai filmati che la famiglia Hoepli ha raccolto dagli anni Trenta del Novecento. La regista è infatti figlia di Luisella Hoepli, una donna molto bella e profonda, che si tolse la vita quando Alina era ancora bambina. Una donna dallo sguardo intensissimo, severo e insieme candido, sorridente e doloroso. Ma una donna che si sentiva inadeguata. Un senso di colpa oscuro e pervasivo la nutriva, alimentato dal sostanziale disprezzo del padre per lei. La diagnosi di depressione equivaleva negli anni Sessanta a quella di follia. Ricoverata in una clinica psichiatrica svizzera, Luisella scriveva lettere struggenti e lucidissime alla famiglia, implorava il marito di tirarla fuori da quel manicomio di lusso perché «se non voglio impazzire, devo uscire da qui».
Un’ora sola ti vorrei è puro cinema perché è puro montaggio. Ore e giorni di girato sono condensati da Marazzi in una scansione che evita ogni piatta cronologia e si fa espressione di una vita densa, breve e tragica. Ma colma di un pensiero sempre consapevole di se stesso e del proprio dramma.
Stefania Rimini ha premesso alla visione del film l’analisi del pensiero di Roland Barthes sull’assenza, la madre, il tempo, sulla fotografia come istante di incrocio di queste dimensioni della vita. La maternità ricevuta e data sta infatti al centro dell’esistenza di Luisella Hoepli. Essere riuscita a dare conto del plesso di morte e maternità evitando ogni caduta melodrammatica e intimistica è il grande merito della regista. Nonostante la dolorosa vicenda che narra, è un film lieve. Come lieve voleva essere al mondo la sua protagonista.

 

«Quello della pietra e della fionda»

Gervasio Sánchez. Antología
Centro Português de Fotografia– Porto
Sino al 2 marzo 2014

Gervasio Sánchez5 sezioni, 139 fotografie, 72 ritratti. Numeri dentro i quali abita l’orrore. Le immagini di questo fotografo spagnolo non solo documentano la guerra contemporanea ma la fanno sentire come se in essa si fosse immersi. Robert Capa diceva ai suoi emuli: «Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino». Gervasio Sánchez si trova sempre vicinissimo alla ferocia indicibile dei massacri africani, al fanatismo delle dittature nell’America Latina, alle città balcaniche distrutte con dentro i loro abitanti, ai corpi mutilati dalle mine antiuomo, allo strazio dei familiari dei desaparecidos. Sánchez sembra presente proprio nell’istante in cui la violenza si compie, nella pienezza della sua follia e del suo significato. L’inevitabile voyeurismo della macchina fotografica si stempera nel tentativo e nella volontà di cogliere la poesia -sì, proprio la poesia– dei luoghi e dei gesti che generano morte e della morte testimoniano il divenire. Una sola immagine per tutte: un uomo fuma seduto su ciò che resta della vetrina di un negozio a Sarajevo mentre accanto a lui è steso il cadavere di un giovane colpito da un cecchino. Non si tratta di nemici né di parenti né di poliziotti o di soldati. Si tratta soltanto di un uomo vivo e di uno morto poiché il caso ha così deciso. E in altre immagini emerge la forza, nonostante tutto, dei bambini che giocano mentre ovunque è distruzione. Questa mostra è una danza macabra aperta alla rinascita, dove i simboli coincidono con la materia e dove i ritratti dei mutilati con i loro sorrisi colmi di pazienza sembrano dire: «Sono ancora qui, respiro ancora».

 

Milano

Milano tra le due guerre
Alla scoperta della città dei Navigli attraverso le fotografie di Arnaldo Chierichetti

Palazzo Morando / Museo di Milano
Sino al 13 febbraio 2014


Chierichetti_Milano_tra_due_guerre
Non come Venezia ma simile alla città pervasa dalle acque. Così Milano è stata ed è apparsa per secoli, sino a quando una delle tante stolte decisioni d’epoca fascista interrò la cerchia dei Navigli. Poi arrivarono anche i bombardamenti anglo-americani a radere al suolo palazzi e quartieri. Ma durante questi attacchi alla città sembra che i milanesi dicessero: «Cossa gh’é de piang? Se ved propi che si mai staa a Pompei». Un’ironia che ha permesso ancora una volta a Milano di rinascere e a molti di ripetere le parole dedicatele da Stendhal: «Questa città divenne per me il più bel luogo della terra». Non pochi milanesi fanno fatica a capire come si possa amare così la loro città. Una risposta l’ha data Vittorio Sereni. Forse bisogna infatti venire dalla provincia lombarda -come questo poeta- o essere nati in un paesino, magari del Sud, per invitare a meditare su «cosa può essere –voi che fate / lamenti dal cuore delle città / sulle città senza cuore- / cosa può essere un uomo in un paese, / sotto il pennino dello scriba una pagina frusciante / e dopo / dentro una polvere di archivi / nulla nessuno in nessun luogo mai» (Gli strumenti umani, Einaudi 1980, p. 67). La città aiuta a redimersi da questo diventare nulla; lo fa anche attraversando «i corsi l’uno dopo l’altro desti / di Milano dentro tutto quel vento» (Ivi, p. 21).
Bellissima immagine che si fa figura nelle fotografie che Arnaldo Chierichetti dedicò alla città. Le acque di Milano, i suoi spazi, il vento, la luce riflessa dagli edifici e le nebbie attraversate dagli ultimi brumisti diventano vedute, tagli, documento. Diventano, quando l’oggetto delle fotografie sono i Navigli, «la quintessenza stessa del rimpianto».
Ma la potenza della struttura urbana inventata dagli umani circa dieci millenni fa -luogo finalmente di una conquistata identità rispetto alle instancabili differenze del nomadismo- permette anche a Milano, come alle altre città del mondo, di mutare incessantemente e tuttavia rimanere sempre quello spazio intimo e aperto, riservato e rutilante, grigio e fastoso, che anche queste immagini testimoniano.

 

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