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Acqua

Edward Burtynsky. Acqua shock
Palazzo della Ragione – Milano
A cura di Enrica Viganò
Sino al 1 novembre 2015

Per Talete τὸ ὑγρότης, l’elemento umido, è il fondamento di ogni cosa. Non c’è dubbio che sia il fondamento di tutto ciò che è vivo. L’opera del fotografo canadese Edward Burtynsky ha documentato -lungo un viaggio durato dal 2009 al 2014- la condizione delle acque nel nostro pianeta. Lo ha fatto servendosi di droni e di elicotteri; una complessa e costosa tecnologia -descritta in un interessante video- il cui esito è di grande effetto e suggestione.
Le sette sezioni nelle quali la mostra è divisa cominciano con Disastri, una impressionante documentazione dello sversamento in mare di una quantità enorme di petrolio nel Golfo del Messico (2010). Si prosegue con altre Devastazioni, come quella che ha distrutto il grande fiume Colorado, il cui immenso delta è ormai quasi del tutto a secco. Controllo documenta il millenario tentativo umano di domare le acque, e di farlo con tecnologie e strumenti assai diversi, dai più rispettosi dell’ambiente a quelli più distruttivi. Agricoltura e Acquacoltura testimoniano l’utilizzo pervasivo, sistematico, totale dell’acqua nell’alimentazione umana. Rive fotografa costruzioni, strutture, eventi edificati vicino alle acque: dai palazzoni alberghieri di Benidorm (Spagna) al rito che ogni tre anni conduce centinaia di milioni di fedeli Indù sul Gange. Sorgenti, infine, è il ritorno alle pure acque, là dove appaiono ancora incontaminate.
Arte e natura sono nell’opera di Burtynsky profondamente coniugate. Emblematica una foto della diga cinese di  Xiaolangdi (immagine qui sopra), che sembra un dipinto di Turner.
L’intera mostra fa delle acque e della Terra una forma astratta, una struttura geometrica tanto potente quanto fragile, la cui conservazione è vitale ma la cui distruzione da parte degli umani sembra invece inarrestabile e insensata.

Differenze

Lo sguardo di…
Pavillon Unicredit – Milano
Sino al 30 agosto 2015


Erotic_ArabesqueScelti da dipendenti della banca proprietaria del Pavillon costruito nel quartiere Isola di Milano, si incontrano in felice mescolanza artisti di varia natura, stile, fama, intenzioni. Dal Cinquecento al presente sfilano arte sacra, astrattismo, fotografia, installazioni. Alcuni nomi più o meno a caso, tra i tanti presenti: Salvatore Rosa, Tintoretto, Mario Sironi, Gaetano Previati, Emil Nolde, Giorgio de Chirico, Massimo Campigli, Carlo Carrà, Felice Casorati, Alexander Wolff, Andy Warhol, Sam Francis -policromo e fremente il suo Erotic arabesque (1987) che qui pubblico-, Antonio Donghi, Gabriele Basilico, Francesca Rivetti, Mimmo Jodice, Luigi Ghirri, Michelangelo Pistoletto. Di quest’ultimo è esposta Embrace Differences, un’opera del 2005 nella quale un’Europa grigia viene attraversata da linee di colore che disegnano confini mobili, confini culturali, confini della mente e non delle armi o del denaro.
Pistoletto_embrace_differencesDifferenza è quello che l’Europa dovrebbe essere, quello che l’Europa è, come testimoniano anche le opere qui esposte, nella molteplicità eppure nella forte identità che l’arte del nostro Continente possiede. Abbracciare le differenze e la Differenza, al di là di ogni pretesa di egemonia e di uniformità, da qualunque parte venga. Questo è l’Europa, questo è il suo pensiero.

Al di là della forma

Mr. Turner
di Mike Leigh
Gran Bretagna, 2014
Con: Timoty Spall (Turner), Dorothy Atkinson (Hannah Danby), Paul Jesson (William Turner), Marion Bailey (Sophia Booth), Lesley Manville (Mary Somerville)
Trailer del film

turner«Il signor Turner ha definitivamente preso congedo dalla forma», osserva scandalizzata una signora. Esattamente. E lo ha fatto tramutando la pittura in una «cosa mentale», come già sapeva Leonardo Da Vinci, facendo del colore la materia stessa del mondo e trasformando il vortice cromatico nello spaziotempo in cui la mente è immersa.
 Il film inizia con due contadine che avanzano dentro un tramonto, per poi lasciare spazio a Turner che lo dipinge. Continua narrando le passioni e i conflitti femminili, i rapporti con gli altri artisti inglesi, l’affetto per il padre, la dedizione totale alla pittura, sino a farsi legare all’albero di una nave in tempesta per poter vedere gli elementi scatenarsi e così restituirne la forza. Il cattivo carattere di quest’uomo era una corazza, dietro la quale emergono una sensibilità e una pietà profonde, capaci di rifiutare un’enorme somma per lasciare invece le proprie opere alla fruizione gratuita di chiunque volesse goderne.
Turner era inquietato dalla nuova invenzione che si andava affermando: la macchina fotografica. Ma sbagliava. Quell’invenzione era già nella sua opera, poiché Turner crea un’arte che si pone subito ben al di là di ogni raffigurazione, di qualsiasi realismo. E in questo modo svela uno dei segreti della pittura: raffigurare ciò che non esiste.

Bellezza / Teschi

Stardust. David Bailey
PAC, Padiglione d’Arte Contemporanea – Milano
Sino al 2 giugno 2015

Bailey_DyerMan Ray ha un profilo d’elefante. Il profilo di Cartier-Bresson è una macchina fotografica. Dalì appare sempre spiritato ed eccessivo. E poi i Rolling Stones, raffigurati nei momenti e nei modi più diversi. Potenti i ritratti di un Francis Bacon dallo sguardo stupito per il dolore del mondo e per il proprio, di un Peter Sellers dall’ambiguo sorriso e di Jack Nicholson dal sorriso fragoroso. Democracy è una serie di nudi integrali di gente anonima, di volontari fotografati tutti con la stessa tecnica, illuminazione e distanza, in modo democratico appunto. Devolution è costituito da fotografie scattate sul set di un film dedicato alla Guerra d’Indipendenza; la pellicola vi è trattata come se la fotografia fosse stata inventata nel 1776, con un effetto straniante. Le immagini più intense sono quelle che ritraggono Catherine Dyer -moglie, modella, musa-  e i suoi tre figli, compreso uno appena uscito dal ventre materno.
Bailey_Nicholson_1984David Bailey è fotografo dello star system più banale, spettacolare, servile. Ma il suo sguardo ha la capacità -forse involontaria- di trasformarlo in pura anima, in forma, eidos. Tanto è vero che quando fotografa abitanti e luoghi di Papua New Guinea e del Nagaland (India) in queste immagini non c’è più alcun coglimento, soltanto soggetti in posa. Un mondo troppo distante da Bailey.
Una sezione particolare della mostra si intitola Skulls. È introdotta da queste parole del fotografo: «Per me il massimo della scultura è un teschio. Tutti finiremo per essere un’opera d’arte»

La fame

Cacciatori di cibo – Ivo Saglietti
Haiti, a noi così vicina, così lontana dal Cielo

Galleria San Fedele – Milano
A cura di Andrea Dall’Asta SJ e Stefano Femminis
Sino al 23 maggio 2015

Saglietti_HaitiCi volevano i gesuiti, sempre i più intelligenti tra i papisti, per denunciare alcune delle palesi contraddizioni dell’Expo 2015. È bastato allestire e ospitare nel loro spazio culturale di Milano una mostra del fotografo Ivo Saglietti, il quale nel 1993 fotografò ad Haiti la fame. Sì, la fame che spinge -allora come oggi- gli haitiani ad aspettare lo scarico di tonnellate di immondizia proveniente dagli Stati Uniti d’America e lanciarsi su di essa alla ricerca di qualcosa. Una busta sporchissima di latte in polvere mostrata come un trofeo. Poche gocce d’acqua stillate da bottiglie di plastica schiacciate e luride. In una delle fotografie che ritraggono delle schiene curvate, piegate alla ricerca, in basso a destra si vede una testa un poco alzata, occhi che guardano l’orrore. Ma occhi pacati, rassegnati.
Andrea Dall’Asta, gesuita appunto, presentando la mostra scrive: «In questi ultimi mesi, non si fa che parlare di Expo, di nutrire il pianeta, di cibo, di sapori e di profumi. Tra maggio e ottobre, parteciperemo a un’esilarante festa del gusto e del palato, a un’immensa kermesse, dove tutti saremo invitati ad applaudire prodotti raffinati e sostenibili, sentendoci coinvolti nell’avere contribuito in qualche modo alla salvaguardia del nostro così tormentato pianeta…Riusciremo a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, rispettando così la terra e i suoi equilibri?» E risponde: «E le ferite continuano, così come i falsi aiuti che troppo spesso non fanno che arricchire i ‘ricchi’, con stipendi favolosi, ‘fingendo’ di aiutare i poveri…Già, tutto continua, come sempre, anche oggi, con la violenza, le malattie, gli orfani e…gli immondezzai».
Un’immagine di Saglietti mostra tra la spazzatura innumerevoli bicchieri di carta della Coca Cola, sponsor primario dell’Expo milanese, insieme a MacDonalds e Nestlè. «Nutrire il pianeta» con cibo scaduto, avvelenato, sporco. «Energia per la vita», l’energia umana che trasforma l’immondizia in nutrimento. L’Expo è un insulto ai popoli che patiscono la fame.

Materia / Luce

Medardo Rosso. La luce e la materia
Galleria d’Arte Moderna – Milano
A cura di Paola Zatti
Sino al 31 maggio 2015

All’inizio Medardo Rosso descriveva soggetti proletari e quotidiani. Lo faceva con ironia e scapigliata rivolta. Poi Parigi, l’incontro con Rodin, l’amicizia e i conflitti con questo artista e con l’intero ambiente francese. E la  materia comincia a gorgogliarli tra le mani, producendo impasti e forme dentro le quali la mente trova e installa i suoi significati. Nel bronzo e nello spazio si ampliano diagonali –L’uomo che legge-, rampollano ovali –Madame X-, declina la materia –Enfant malade. La stessa forma si moltiplica in sostanze diverse: cera, bronzo, gesso. Materia che sembra già quella di Modigliani, di Brancusi. Ma è venuta prima. Nessun artista crea dal niente, sono tutti degli artigiani che reinventano e costruiscono su ciò che già esiste e che probabilmente si fonda sugli archetipi intuiti da Jung, sull’universale struttura della mente e del sogno umani. Curioso e instancabile, Rosso si dedicò anche alla fotografia, non come semplice documentazione del mondo e dell’opera ma come ambito d’arte autonomo e insieme legato a tutti gli altri, al modo in cui oggi la fotografia è intesa ad esempio da Fazekas.
Medardo_Rosso_Madame-XIndividualista e rigoroso, questo artista aveva una visione vincolante della plastica. Riteneva infatti che ci fosse un unico punto di vista esatto nel guardare una scultura, che le sculture non siano delle opere intorno alle quali si gira ma che soltanto da una prospettiva ben precisa esse possano comunicare il loro senso. Quale senso? Medardo Rosso nutriva un’ambizione forse impossibile. Voleva scolpire la luce dentro la materia. Disse infatti che «la luce è l’essenza della vita umana. Noi siamo degli schizzi di luce». Colpita da tali schizzi, di tanto in tanto la materia si fa scrittura, musica, pastello, bronzo, opera. Si fa metamorfosi, arte.

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