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Theimer, la forma del mito

«Tàuta dè eghèneto mèn oudépote, esti dè aei», afferma Salustio, «queste cose –i miti- mai avvennero ma sono sempre» (Sugli Dèi e il mondo, IV, 8, 26-27; Adelphi 2000, p. 126). Il mito è la pienezza del tempo poiché è il tempo eterno, vale a dire l’inimmaginabile per noi. Ivan Theimer (Olomouc, Moravia 1944) è una di quelle menti che cercano di pensare il mito, in esso affondano, piegano la materia –suoni, bronzo, tele, carta, scritture, marmi- al racconto del sempre. E come per prodigio vediamo emergere davanti a noi le potenze infere e celesti che scandiscono le vite e le morti degli umani e di ogni cosa.
Theimer plasma le tartarughe sulle quali poggia –secondo antiche leggende- il cosmo; le steli riempite di una miriade di creature reali e possibili, con foreste o istrici sulla punta, con cadute fragorose e immobili di angeli ribelli; mappe del mondo; altari dalle linee dense e pure; busti di bambini; obelischi altissimi trasportati da Ercoli filosofi; bambine che danzano; Dionisi fatti di uva; colonne elicoidali simili a grattacieli; angeli; il serpente del ritorno, l’Ouroboros; porte sacre; lampade ieratiche; teste sconvolgenti di Gorgone.
Opere che a volte hanno la misura di un oggetto da tavolo, altre quelle di un monumento per delle grandi piazze. Se è vero, come afferma Jean Clair, che la contemporaneità costruisce edifici di tutti i generi ma non più monumenti –e cioè documenti perenni, ammonimenti, oggetti intrisi di mente perché fatti di memoria- l’eclisse dei monumenti è il tramonto stesso del senso individuale e collettivo.
L’arte di Theimer, invece, è pregna di simboli e di significati, edifica se stessa nel contrappunto di una bellezza strepitosa e di un orrore antico, coniuga l’antroposfera con l’Altro della teriosfera –la miriade di rettili e di altri animali che popolano steli e obelischi; della tecnosfera –l’artificio che l’opera umana è per sua natura; della teosfera, il Sacro che parla discreto e potente dentro le sue costruzioni. Di questa incessante creazione, i simboli più densi sono quelli della duplicità: Dioniso che è umano e divino, orgia e disincanto, bene e male; la Medusa che sta al centro dello scudo di Atena, la filosofa, a significare che soltanto sul fondamento ctonio l’apollineo può edificare se stesso in quanto forma.
Alla profondità della natura umana e dell’intero cosmo del quale è parte, Ivan Theimer invita a tornare. E lo fa con la sua arte raffinata sino al manierismo e insieme assolutamente arcaica. Concettuale e istintiva. Intrisa di storia e intessuta del sempre. Tra centomila anni qualche archeologo venuto chissà da dove e da quando dissotterrerà gli oggetti di Theimer e non riuscirà ad attribuirli ai Faraoni, agli Imperatori di Roma, a ciò che noi chiamiamo Neoclassicismo, al XXI secolo. Si rassegnerà, dunque, a definirli eterni.

La forma degli Dèi

Nel cristianesimo Dio si fa uomo, nella Grecità sono gli uomini a essere divinizzati, una forma di teomorfismo. I Greci sanno che gli Dèi in quanto figure umane sono delle nostre invenzioni, in quanto forma -invece- costituiscono la potenza cosmica senza volto e senza volontà. Il teomorfismo sarebbe, pertanto, solo un modo sufficientemente umile per accostare l’umano alla figura divina, senza per questo pretendere di coglierne e tanto meno esprimerne la forma, che rimane sempre enigmatica.

apollo

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