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Sul tempo della fisica

I MISTERI DEL TEMPO
L’universo dopo Einstein
(About Time, Orion Productions 1995)
di Paul Davies
Trad. di Elisabetta Del Castillo
Mondadori, 2011 (1996)
Pagine IX-345

Un enigma, certo, una questione tanto fondamentale quanto intricata. Ma il tempo è alla nostra portata. Ne possiamo comprendere in gran parte natura, strutture, fondamenti e conseguenze. Ci sono però alcune condizioni per riuscirvi. Una di esse è riconoscere che il tempo non è unitario ma molteplice. Nessuna scienza da sola, nessun sapere isolato, nessuna metodologia esclusiva ed escludente possono comprendere la ricchezza dell’ontologia plurale di cui il tempo è fatto.
Davies si muove tra il riconoscimento, seppur forzato, di tale molteplicità e la ricaduta costante in un fisicalismo che si preclude il suo stesso oggetto e che -peggio ancora- allude con disprezzo ad altre ermeneutiche del tempo. Da un lato, infatti, ammette che «l’evidente discrepanza tra tempo fisico e tempo soggettivo o psicologico» induce a «concludere che si perde qualcosa di essenziale, che un’ulteriore qualità del tempo rimane esclusa dalle equazioni, o che addirittura esiste più di un tipo di tempo» (pp. 316 e 8). E tuttavia a questa intuizione del tutto corretta si accompagnano giudizi davvero sbrigativi e sprezzanti nei confronti della filosofia, compresa la riflessione originaria che i Greci dedicarono al tempo. Ma è la forza stessa del problema che induce Davies ad ammettere i limiti della fisica: «Mi pare che vi sia un aspetto del tempo di grande rilevanza che abbiamo di gran lunga trascurato nella nostra descrizione del mondo fisico» (307). Tali limiti consistono in primo luogo in una concezione “bloccata” del tempo, la cui natura dinamica viene negata per la ragione che le equazioni di Newton e di Einstein sono indifferenti alla direzione del tempo. Anche la teoria dei quanti, soprattutto la teoria dei quanti, è del tutto atemporale; «infatti, in questa teoria, per uno stato quantistico tipico, il tempo è semplicemente privo di significato» (198). Anche se va detto che questo non è del tutto vero. Infatti, «se diamo credito alla meccanica quantistica, sembra che le leggi microscopiche della fisica non siano necessariamente reversibili. Il collasso della funzione d’onda è un processo che introduce un’intrinseca freccia del tempo nelle leggi della fisica: le funzioni d’onda collassano, ma non de-collassano»; in altri termini, «la misura quantistica è un processo che definisce una freccia del tempo: una volta fatta la misura, non si può tornare indietro. E questo è un mistero»1.

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Pluralità e interpretazione

Aa. Vv.
GIORNALE DI METAFISICA
Pluralità e interpretazione

Anno XXXIII (2011), nn. 1-2, Gennaio/Agosto
Tilgher, Genova 2011
Pagine 320

Plurale ed ermeneutico è per sua natura il linguaggio. L‘uniformità unificante vorrebbe invece ridurre la pluralità dei parlanti a una «globanglizzazione» (D .Di Cesare, p. 17) sostenuta anche di recente da ministri, funzionari e decisori politici italiani, i quali sono convinti che la lingua sia uno strumento qualsiasi, mentre invece essa è «l’organo che articola il mondo» (20), tanto che «anche il più sottile imporsi di una lingua, non è l’imposizione di uno strumento come un altro, ma è piuttosto, e più profondamente, l’imposizione di un modo di articolare il mondo» (23). È per questo che ogni monismo linguistico uccidendo le lingue consuma le differenze e invece che creare un «paradiso comunicativo» produce «l’inferno culturale e […] il trionfo della stupidità» (26).
Plurale ed ermeneutico è anche il prospettivismo nietzscheano, che non è una banale forma di relativismo proprio perché le opere di Nietzsche «forniscono dei criteri per discernere –ex negativo ed in positivo- il grado di validità delle varie prospettive» (S. Pastorino, 87). Si tratta di un prospettivismo vicino a quello che due fisici come Hawking e Mlodinow sostengono in un articolo pubblicato su Le scienze (dicembre 2010, p. 88), citato da P. Palumbo: «Non esiste un concetto di realtà indipendente da una teoria o dall’immagine che se ne ha. Adottiamo invece un punto di vista che chiamiamo realismo dipendente dal modello: l’idea che una teoria fisica o un’immagine del mondo sia un modello (in genere di natura matematica) con un insieme di regole che collegano gli elementi del modello alle osservazioni. Secondo il realismo dipendente dal modello non ha senso chiedersi se un modello sia reale, ma solo se concorda con le osservazioni. Se due modelli concordano con le osservazioni, nessuno dei due può essere considerato più reale dell’altro. Una persona può usare il modello più adeguato alla situazione che sta considerando» (138). Sono dei fisici, cioè dei veri scienziati, a mostrare l’ingenuità di non pochi filosofi tutti tesi a ‘naturalizzare’ sempre qualcosa: la mente, il linguaggio, la conoscenza. Ma che cosa è natura? Che cosa è realtà? La conoscenza umana passa sempre attraverso il corpomente che costruisce per se stesso percezioni, giudizi, significati. La materia è la materia della mente.

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