Nel suo blog su Repubblica Alexander Stille parla di Una non-notizia importante: il mancato adeguamento della tassazione degli enormi profitti ottenuti dai «manager dei venticinque hedge funds di maggiore successo», i quali «hanno guadagnato un totale di 14 miliardi di dollari (circa 11 miliardi di euro), cioè più del PIL di un paese piccolo ma benestante come l’Islanda. Quindi quasi tutti i manager di questo gruppo hanno guadagnato oltre mille milioni di euro in un anno e hanno pagato meno della metà del normale livello di tassazione!»
Anche questo è la democrazia statunitense (oltre che fucili, stragi e fanatismo). E Barack Obama conferma di essere ciò che ho pensato di lui sin dall’inizio: un po’ di cosmetico su un volto disfatto, un uomo di paglia messo lì per ridare credito agli USA dopo i catastrofici otto anni di Bush figlio. L’assegnazione del Nobel per la pace a un politico che continua a finanziare due guerre illegittime e feroci è stata una decisione semplicemente grottesca.
È sempre la solita storia. Nulla il potere teme come la parola che «gli allòr ne sfronda ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue» (Foscolo, Dei sepolcri, vv. 157-158). Spinoza lo comprese perfettamente quando propose che «facta arguerentur, & dicta impune essent (fossero perseguibili soltanto le azioni, e le parole rimanessero impunite)» (Trattato teologico-politico, Prefazione). Non so chi sia Julian Assange, se dietro di lui ci sia qualcuno, quali siano gli scopi della sua azione. Ma sono certo che le accuse che gli Stati gli rivolgono -da quelle private a quelle politiche- sono finalizzate a colpire la libertà di sapere. Sapere chi davvero comanda nel mondo: le banche, la grande finanza di Wall Street, le industrie delle armi, i servizi segreti. Sapere che gli Stati democratici si reggono sulla medesima struttura criminale degli Stati non democratici. Sapere che mantenere i propri sudditi nell’ignoranza è ancora e sempre il vero scopo di chi comanda, poiché è la condizione che permette loro di continuare a comandare e di essere persino apprezzati.
Noam Chomsky, Barbara Spinelli, altri studiosi e giornalisti difendono l’azione di Wikileaks e di quanti cercano di informare sulle reali azioni degli Stati e non sulle parole vuote dei loro rappresentanti. Alcuni dei peggiori governi del mondo -tra essi Stati Uniti, Italia, Russia, Cina- cercano invece di mettere il silenziatore alla Rete, persino definendo “terrorista” Assange. I terroristi sono loro, loro è la guerra, loro il conformismo, loro la finanza che sta distruggendo l’economia e la società europee. Loro è il terrore quotidiano e silenzioso che ci domina.
[Invito a leggere la motivazione della proposta con la quale Il Fatto quotidiano chiede di firmare per la liberazione di Assange
Invito, inoltre, a leggere un interessante intervento apparso sul sito di Alfabeta2, paradossale solo in apparenza]
(Public Enemies)
di Michael Mann
USA, 2009
Con: Jonny Depp (John Dillinger), Christian Bale (Melvin Parvis), Marion Cotilard (Billie Frechette)
Trailer del film
Gli USA della Grande Depressione e la Chicago dei grandi criminali (Public Enemies, appunto, al plurale e non al singolare come recita invece il titolo italiano…). Tra questi John Dillinger, leggendario rapinatore senza macchia e senza paura di quelle stesse banche che rapinano i cittadini. Ricercato, inseguito, incarcerato, liberato, tradito e infine ucciso. Ma le ultime sue parole sono per una donna: «Bye Bye, blackbird».
Per Michael Mann il cinema è pura e spettacolare tecnica, dove non importa il che cosa ma il come. E qui il come è fatto di movimenti ora velocissimi ora rallentati, di soggettive, di primissimi piani, di improvviso irrompere di luci, di armi che riversano sullo spettatore il proprio fuoco. E al centro di ogni contenuto e forma c’è lui, il Dillinger/Depp sicuro di sé, innamorato di lei, consapevole del Fato sino a trasformare ogni istante in una malinconica eppur vincente attesa della morte.
di Michael Moore
USA, 2009
Trailer del film
Inizia con lo spezzone di un vecchio documentario dedicato alle ragioni della caduta dell’Impero Romano, dal quale risulta evidente l’analogia con la situazione dell’Impero americano. Il secondo inizio è costituito da una serie di brevi filmati di rapine in banca, riprese da telecamere di sorveglianza. Finisce con il regista che circonda l’edificio della Borsa a Wall Street con uno di quegli adesivi arancioni coi quali la polizia delimita la “scena del crimine”. E infatti ciò che Moore racconta è una rapina senza confronti, senza precedenti, senza misura, perpetrata dall’1% dei cittadini statunitensi contro tutti gli altri e verso l’intero pianeta. Mutui subprime, derivati e altre invenzioni della finanza criminale -ma del tutto legalizzata- vengono spiegati con chiarezza e senza un briciolo di noia; spiegati soprattutto nei loro effetti: famiglie intere private della loro casa e costrette a vivere in automobile; migliaia di operai lasciati senza lavoro da un giorno all’altro; “contadini morti” e cioè cifre assicurative milionarie intascate dalle aziende per la scomparsa dei loro impiegati, senza che le famiglie lo sappiano e mentre subiscono lutto e danno. In questo modo, un impiegato è molto più redditizio da defunto che da vivente. E poi gli intrecci strettissimi tra il Ministero del Tesoro USA e la Goldman Sachs e le altre banche, vere padrone e vero flagello dell’economia statunitense e mondiale.
Tutto narrato con la consueta vivacità e ironia intessute alla tragedia. Da riso aperto le scene tratte dal Gesù di Zeffirelli, doppiate in modo da garantire beatitudine non ai poveri ma al capitalismo, visto che questo sistema viene presentato come del tutto conforme alla fede cristiana, nonostante alcuni preti e vescovi qui intervistati neghino la compatibilità tra il principio capitalista del profitto e l’etica cristiana del dono. Pur con delle lodi a volte eccessive a F.D.Roosevelt e a Obama, il film è imperniato sul conflitto tra capitalismo e democrazia e si conclude con l’affermazione che «il capitalismo è il male, e il male non si riforma: si abbatte». Più di questo non si può chiedere a un regista statunitense. Dopo il muro dell’89 andrebbe infatti abbattuto l’altro muro, assai più radicato e potente, quello che sta nel nome stesso di Wall Street. Il miglior film di Moore.
di Gustave Kervern, Benoît Delépine
Francia, 2008
Con: Yolande Moreau (Louise), Bouli Lanners (Michel)
Trailer del film
Una piccola fabbrica della Piccardia chiude all’improvviso dopo che i responsabili hanno invece assicurato che “si va avanti”. Con i 2000 euro a testa di liquidazione alcune operaie decidono di pagare un sicario che uccida “il padrone”. Louise -che è stata per lunghi anni in galera- si occupa di trovare il killer giusto. La scelta cade su Michel, un improbabile “manager della sicurezza”. I due -dall’identità sessuale piuttosto ondivaga e le cui esistenze sono state assai tristi- girano per l’Europa alla ricerca di un padrone che si rivela sempre più inafferrabile, etereo, un puro nome senza soggettività.