Skip to content


Sapienza

Recensione a:
IL SAPERE GRECO
Dizionario critico
(Le savoir grec, Flammarion, Paris 1996)
a cura di Jacques Brunschwig e Geoffrey.R. Lloyd, edizione italiana a cura di Maria Luisa Chiesara, Einaudi 2007
2 volumi, pagine  XL-646 e XII-626
in Diorama Letterario – numero 367 – Maggio/Giugno 2022
pagine 35-37

La filosofia è un itinerario nella conoscenza e nell’essere, nella gnoseologia e nell’ontologia. Nulla a che vedere con new age di vario tipo o con semplici filologie che frugano tra i testi e i monumenti per trovarvi qualcosa di commestibile, vale a dire di non troppo indigesto agli stomaci contemporanei.
L’apprendimento iniziatico non consiste né in sentimentalismi di massa né in tecnologie erudite ma significa trasformare se stessi e la vita in un mezzo di conoscenza.
Anche per questo la filosofia è una forma di iniziazione, una delle più profonde, rigorose, universali. E una delle più oggettive perché fatta non di riti che l’andare della storia porta al culmine e alla deriva, non di contenuti accessibili a ristrette cerchie, ma di testi che ognuno e tutti possono tenere in mano e scorrere per attingervi spiegazioni, domande, risposte.
La filosofia non nega il cammino a nessuno. Sono i singoli camminanti che si fermano o neppure cominciano, pensando che si tratti di illusione o di semplice chiacchiera. E invece si tratta di saper vedere, dell’esercizio che ha una delle sue massime espressioni nei racconti platonici della Repubblica (514 a – 520 a) e del Fedone (109 b-d): un itinerario dalla prigionia dell’oscurità allo splendore del manifesto. Vedere è il compito del saggio e del sapiente, vedere e comunicare agli altri ciò che si è visto, attraverso la parola che si fa scrittura.

[L’immagine di apertura è di Elvia Giudice]

Platone e la morale

«Di morale si muore» afferma giustamente Alain de Benoist (Diorama Letterario, n. 365, gennaio-febbraio 2022, p. 4). La sfrenata moralizzazione di ogni situazione ed evento -rapporti sociali, passioni amorose, guerre, commerci, religioni, cultura- sta conducendo la vita individuale e collettiva a sprofondare nella censura, nella superficialità, nella violenza.
Sì, la violenza dei moralisti, che è sempre stata tra le peggiori sue forme. Un’aggressività che trova nel politicamente corretto il proprio luogo di elezione. Sino a instillare e instaurare l’obbligo di credere alle più fantasiose, astratte, superstiziose e grottesche «verità morali».
Tra queste, singolare e insieme emblematico è il rifiuto pressoché assoluto della corporeità, della sua forza, del suo fondamento per ogni ulteriore elaborazione dell’umano. Si nega, in poche parole, che il maschio abbia un pene e la femmina una vulva. ‘Costruzioni culturali’ vengono definiti questi truismi, queste evidenze che nessuna percezione sensata dell’umano può mai negare. I corpi vanno sostituiti con un fantasma; anche i corpi come tutto il resto, in modo da «prendere congedo dalla realtà, giocare col proprio corpo e vivere in un mondo di simulacri, di apparenze» (Giuseppe Giaccio, ivi, p. 16).
Per chi coltiva tali prospettive, il radicamento dell’Europa nell’ontologia greca deve essere dissolto. In modo che una cultura del tutto iconica come quella nordamericana possa sostituirsi allo spessore materiale e tangibile della cultura europea. Poiché ancora oggi è vero che «chi controlla l’Europa controlla il mondo intero», ancora oggi è questo uno dei principi di fondo della geopolitica (Marco Iacona, ivi, p. 39). Un continente le cui radici stanno nella grande sintesi platonica dell’esperire e del pensare. Sintesi talmente pervasiva e fondante da aver generato i saperi e le esperienze estetiche, politiche, religiose, scientifiche. Ha ragione Aleksandr Dugin (per altri versi filosofo un poco bizzarro) a ritenere che «chi non conosce o non capisce Platone non può sapere o capire nulla. Platone è il creatore del terreno fondamentale della filosofia. La filosofia, a sua volta, è lo sfondo della teologia, della scienza e della politica. Platone, quindi, è alla base della teologia, della scienza e della politica» (Platonismo politico, trad. di D. Mancuso, Edizioni AGA, 2020, p. 81) e ha ragione Carlo Galli a pensare che sia necessario «fare irrompere nuovamente Platone nel moderno, proprio perché critico della demagogia imperante nella città» (Eduardo Zarelli, DL 365, p. 36).
Perché con Platone la morale sta al posto che le spetta, senza allagare l’intero territorio della vita che è molto più vasto, profondo, ricco e labirintico rispetto a ogni norma, regola, imposizione, censura, valore.

Ernst Mach

Recensione a:
Luca Guidetti
Gli elementi dell’esperienza
Studio su Ernst Mach
Quodlibet, 2021
Pagine 239
in Discipline Filosofiche, 10 giugno 2022

La critica dell’esperienza – in particolare dei suoi presupposti e condizionamenti nascosti anche di natura metafisica – attuata da Ernst Mach è stata e continua a essere assai feconda. La sua influenza sul movimento fenomenologico consiste tra gli altri in due elementi: l’individuazione dell’«ambito preteoretico e vitale delle sensazioni» come luogo da cui sgorgano i concetti; un profondo legame tra sensazioni, concetti, saperi scientifici.
Siamo in un ambito assai fecondo di critica alle certezze anche più consolidate perché, come ha mostrato la più avvertita epistemologia del Novecento, non deve esistere nessun ambito di verità assolute, per la semplice ragione che tali verità non ci sono e la conoscenza procede per congetture, confutazioni, accoglimento e superamento di paradigmi, molteplicità e trasformazione dei progetti di ricerca, invenzioni molte delle quali spariscono dall’ambito scientifico ma altre si mostrano invece indispensabili per il progresso della conoscenza umana.

Pensiero molteplice

Pensiero molteplice
Aldous, 11 giugno 2022

«Lo studioso non deve occuparsi di nessuna forma di orizzonte veritativo o di salvaguardia dei beni spirituali della civiltà ma partecipare vittoriosamente ai ludi bibliografici, l’artista non può mettere la bellezza tra i suoi obiettivi ma occuparsi dell’oscillare delle sue quotazioni e l’insegnante non si occupa della Bildung dei giovani allievi ma di addestramento al lavoro» (Davide Miccione, Pensiero unico, forse neanche quello, Algra Editore 2018, p. 10).
Che cosa ha reso possibile la chiusura delle menti, delle scuole, delle università, all’intelligenza? Da chi essa è stata attuata? La risposta è complessa perché è intricata, rizomatica, inverosimile e tuttavia possibile.
In Italia l’esecutore sono le commissioni parlamentari e i ministeri. Complice è il sistema dei media, vecchi e nuovi, che ripetono come dischi rotti la loro abituale osservanza e obbedienza a chi pro tempore comanda e li paga. E i mandanti? Le risposte possono anche qui essere molteplici: dallo spirito del tempo al trionfo del liberismo nella lotta di classe, con il conseguente imporsi dell’aziendalismo in ogni angolo, luogo, momento e prassi della vita collettiva; dall’immensa forza d’inerzia della pigrizia intellettuale alla sterilizzante trasformazione della pratica e del metodo scientifici in pura amministrazione tecnologica dei fondi di ricerca. Ma forse il primo e l’ultimo mandante è la stanchezza, la grande stanchezza che Husserl descrive così bene nelle pagine finali della Crisi delle scienze europee.

Una luce inquieta

Recensione a:
Eugenio Mazzarella
Nietzsche e la storia
Storicità e ontologia della vita
Carocci Editore, 2022
Pagine 212
in Discipline Filosofiche, 20 maggio 2022

Cercare di comprendere l’inquieta luce che il pensiero di Nietzsche è per tutti noi implica la forza metodologica di applicare anche a lui l’energia decostruttiva con la quale questo filosofo legge il mondo e ogni sua manifestazione. E dunque «prendere posizione con Nietzsche contro Nietzsche» (p. 22), come fa Eugenio Mazzarella. Posta tale condizione sarà possibile intendere «la costellazione Nietzsche» come «compimento zarathustriano del pessimismo della forza prospettico» (p. 133), che ritorna all’originaria matrice del pessimismo romantico dal quale era partito dopo aver però attraversato con lucidità la finitudine umana e averne inteso l’inoltrepassabilità. Dal Dioniso greco al Dioniso zarathustriano attraverso una decostruzione dell’umano – e del vivente in genere – che ne mostra il limite costitutivo sia ontologico sia gnoseologico. La parola nietzscheana per questo limite è «prospettivismo».

[Sulla stessa rivista sono state pubblicate nel 2022 alcune interessanti recensioni di due miei allievi.
Enrico Palma: Andrea Pace Giannotta, Fenomenologia enattiva. Mente, coscienza e natura
Enrico Palma: Marco Maggi (a cura di), Walter Benjamin e la cultura italiana
Stefano Piazzese: Ágnes Heller, Tragedia e Filosofia. Una storia parallela ]

Sul suicidio

Interrogarsi sulla morte e sull’esperienza della finitudine
il manifesto
7 giugno 2022
pagina 11

La condanna penale del suicidio -con gravi punizioni per il cadavere e per i beni lasciati dal defunto- è stata la regola nei Paesi cristiani sino a tempi recenti; in molti Paesi islamici il suicidio è tuttora un reato penale. Le civiltà pagane hanno tenuto di solito un atteggiamento ben diverso ed efficacemente sintetizzato da Hume quando ricorda che «la facoltà di suicidarsi è considerata da Plinio un vantaggio che gli uomini possiedono addirittura rispetto agli dèi.  Deus non sibi potest mortem consciscere, si velit, quod homini dedit optimum in tantis vitae  poenis, Lib. II, Cap. 7».
È che le culture e filosofie politeiste sono molto più consapevoli della centralità della materia e della potenza della natura. Cosa che crea uno stretto «legame fra materialismo scientifico, libero pensiero antireligioso e diritto al suicidio» (Simon Critchley, Note sul suicidio,  p. 47), come si vede nelle filosofie libertine (ispirate da Spinoza) o in Hume, il cui saggio Del suicidio, ha un fondamento antropodecentrico. Il filosofo scrive infatti che «la vita di un uomo non ha maggiore importanza per l’universo che quella di un’ostrica» (§ 9) per delineare alla fine una prospettiva radicata in ciò che successivamente sarà chiamato termodinamica: «Quando sarò morto, i principi di cui sono composto continueranno a svolgere il loro ruolo nell’universo e saranno ugualmente utili nel suo grandioso tessuto come quando formavano questa singola creatura. La differenza, per il tutto, non sarà più grande di quella tra quando sono in una stanza e quando sono all’aria aperta. Un cambiamento per me è più importante dell’altro; ma non lo è per l’universo» (§ 20).

«Disvelamento» al Disum

Martedì 7 giugno 2022 alle 16,00 nell’Aula A6 del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania presenteremo  Disvelamento. Nella luce di un virus.
Ne parleranno alcuni studenti e dottorandi dell’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU).

«Il lavoro filosofico aiuta a conservare e a comunicare la consapevolezza della duplice dimora in cui abitiamo, dell’inseparabilità del vivere e del morire. Non come decesso, quest’ultimo, ma come sostanza stessa del tempo che siamo. Una civiltà che nel morire vede soltanto un fallimento è una civiltà morta, è la civiltà barbarica della Sars2-Covid19. Ogni filosofia radicata nell’immanenza e nella finitudine – dai Greci a Nietzsche, da Spinoza a Heidegger – raffigura invece una civiltà della vita piena e completa, anche perché non teme Ἀνάγκη, l’inevitabile, il tempo, la fine.
In ogni caso non prevarranno, la tirannide si spezzerà, come sempre è accaduto nella storia. E noi saremo orgogliosi di ciò che siamo stati in uno dei frangenti più stupidamente tragici della storia contemporanea».
(Disvelamento, p. 143)

 

Vai alla barra degli strumenti