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Gnosticismo antico e Gnosi contemporanea

Martedì 20 e mercoledì 21 settembre 2022 dalle 16,00 alle 19,00 terrò due lezioni alla Scuola Superiore di Catania, dal titolo La morte e il male nello gnosticismo antico e nella gnosi contemporanea. 

Nella prima parte (giorno 20) cercherò di delineare un quadro storico-teoretico dello Gnosticismo antico attraverso l’analisi dei principali testi dei filosofi gnostici. Con l’aiuto di un libro di Peter Sloterdijk ci prepareremo alla seconda parte (giorno 21) che sarà dedicata ad alcuni gnostici contemporanei, da Giacomo Leopardi a Martin Heidegger.

Lo Gnosticismo e la Gnosi sono il fenomeno culturale ed esistenziale forse più complesso della storia europea. Le profondità teologiche, la radicalità teoretica, i meandri interiori, le tormentate e ramificate vicende storiche che lo caratterizzano non nascondono la sostanziale chiarezza filosofica che lo intesse. Si tratta infatti di una delle manifestazioni più ricche e plurali del tentativo umano di spiegare a se stesso la propria natura e di rispondere all’interrogativo insieme teologico ed esistenziale: unde malum?
Se la Gnosi ha sempre permeato la vicenda storica e teoretica dell’Europa, le ragioni sono numerose ma si possono sintetizzare in due elementi.
Il primo è il peso enorme di dolore che grava sulla vita di tutti e di ciascuno. La spiegazione che le dottrine gnostiche offrono di tale sofferenza è la più radicale poiché cosmo, animalità, soggettività umana e collettività politiche vengono accomunate come espressioni interne al divino e a una frattura in esso intervenuta.
La seconda ragione di sopravvivenza della Gnosi sta nel fatto che una consapevolezza così profonda della ferita in cui l’essere consiste non diventa disperazione, rassegnazione, religione, ma genera la certezza che il divino può sanare la propria lesione e che nel processo di ricomposizione della pienezza (Πλήρωμα) è necessaria la conoscenza, è necessaria una filosofia che diventa pratica esistenziale, illuministica.
La Gnosi non ha a che fare con l’etica, essa si pone al di là del bene e del male. La Gnosi è una metafisica del tempo redento.

«Il corpo è una grande ragione»

Venerdì 16 settembre 2022 nel Parco Archeologico di Giardini-Naxos dalle 16.30 si terrà un pomeriggio di riflessione sul tema della corporeità nell’ambito delle iniziative di «Naxoslegge». L’evento ha come titolo Scritto sul corpo.
La prima conversazione si svolgerà con Danilo Breschi sul tema del Corpo elettrico.
La seconda consisterà in una passeggiata archeo-filosofica condotta da me. Il titolo è «Corpo io sono in tutto e per tutto», un’affermazione che si legge nella I parte di Also sprach Zarathustra: «Leib bin ich ganz und gar, und Nichts ausserdem». Nella traduzione di Mazzino Montinari: «Corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro». Nietzsche continua scrivendo che «il corpo è una grande ragione. […] Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto –che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo» («Opere», Adelphi, vol. VI/1, I parte, “Von den Verächtern des Leibes” – “Dei dispregiatori del corpo”, p. 34).

L’essere umano è assai più che un Körperhaben, l’avere un corpo, e diventa un Leibsein, l’essere una corporeità situata in un ambiente anche culturale e sociale. Il corpo è  una struttura isotropa, dalla quale inizia e si espande l’intero mondo della persona.
-Il corpo è corporeità vivente nel tempo e abitante un mondo.
-Il corpo è il nodo ontologico nel quale si raccolgono il mondo, il tempo e l’intenzionalità dei significati.
-Il corpo è un insieme di strutture materiali e nello stesso tempo è una regione semantica.
Il corpo è quindi l’elemento percettivo, fenomenologico, precategoriale e primario da cui tutto nasce, del quale è intessuta ogni esperienza e nella cui dissoluzione finiscono per l’individuo il tempo, il bios e, con essi, ogni possibile significato.
Anche per questo l’umano è una macchina naturale che si articola in tre espressioni principali.
Siamo corpi comprendenti e quindi semantici
Siamo corpi intramati di desideri
Siamo corpi pulsanti nel tempo e di tempo intessuti.

Le libertà

È il senso dei giorni, è la condizione delle scienze, è l’eredità degli eventi e delle idee che hanno reso luminosa l’Europa, è il desiderio, l’impegno, la lotta per le libertà del corpo sociale e di conseguenza degli individui che ne fanno parte. A questo patrimonio stiamo rinunciando con miopia, incoscienza, stanchezza, rassegnazione, irresponsabilità.
Anche per questo il numero 27 (settembre 2022) di Vita pensata dedica alle libertà una riflessione molteplice e unitaria, che ruota intorno ad alcuni grandi pensieri della filosofia europea: Kant, Foucault, Fichte, Nietzsche, Rousseau, Proust; che difende la scuola e l’università in quanto luoghi nei quali può e deve svilupparsi un atteggiamento critico verso l’informazione e il potere. Se non lo fanno scuola e università, chi potrà mai garantire la libertà dai dogmi dell’autorità politica, religiosa, mediatica, finanziaria?
Al dominio e alle sue tentazioni di morte opponiamo il nostro essere pervasi di un amore spericolato e insieme lucido verso il vivere liberi. Un amore che ci fa vedere quanto e come le tendenze dispotiche che attraversano il corpo politico collettivo sono in questi anni talmente vaste e profonde da far sì che la libertà che riusciremo a conquistarci non sarà mai troppa.

Dugin e Platone

Aleksandr Dugin
Platonismo politico
(Political Platonism: The Philosophy of Politics, Arktos Media Ltd., Londra 2019)
Traduzione di Donato Mancuso
Edizioni AGA, Milano 2020
Pagine 190

[Questa recensione è in gran parte descrittiva di uno degli elementi più significativi del pensiero di Aleksandr Dugin, la conclusione del testo è invece critica.
La pubblico come gesto di solidarietà nei confronti della tragedia che Dugin sta subendo, dell’attentato che ha ucciso sua figlia Darya – ricercatrice universitaria che si stava occupando della falsificazione sistematica che l’informazione finanziata dalla NATO produce nelle nostre menti ‘occidentali’ – e che certamente avrebbe dovuto uccidere anche lui.
Il terrorismo ucraino e statunitense è probabilmente il responsabile di questo gesto di intimidazione politica e filosofica, nei confronti del quale ribadisco – per quello che posso e che conto – la mia totale, completa e convinta difesa della libertà di pensiero, di parola, di interpretazione del mondo, contro ogni imposizione di un’identità unica e universale perseguita dal cosiddetto “globalismo“]

La radice filosofica di ogni opzione politica emerge con chiarezza da questa raccolta di interventi, analisi, interviste di Aleksandr Dugin, per il quale «considerare la politica come un fenomeno separato, scollegato dalla filosofia, è completamente estraneo alle origini della tradizione filosofica» (p. 35). La politica nella sua essenza e struttura non ha alcuna autonomia dalla filosofia e piuttosto ne costituisce una parte. Ogni prospettiva filosofica, infatti, «anche la più astratta, ha una dimensione politica, in alcuni casi espressa esplicitamente» (37).
Uno di questi casi, il più importante, il caso che ha fondato l’Europa, è Platone. Anche per Dugin, come per Whitehead ed Emerson, «Platone rappresenta tutta la filosofia – la filosofia nella sua interezza, la filosofia in toto» (42) anche se, naturalmente, la filosofia non rimane nei limiti di Platone e non finisce certo con lui, come con lui non comincia. Ma «chi non conosce o non capisce Platone non può sapere o capire nulla. Platone è il creatore del terreno fondamentale della filosofia. La filosofia, a sua volta, è lo sfondo della teologia, della scienza e della politica. Platone, quindi, è alla base della teologia, della scienza e della politica» (81).
Dugin attinge soprattutto al Parmenide per delineare una articolata struttura di opzioni politiche, esattamente otto, tutte basate sullo statuto dell’Uno e sulla sua relazione con la molteplicità. Nella sua forma più pura e più compiuta, nella sua forma ideale, «il potere nel platonismo è sacrale, razionale, trasparente e ideale. Rappresenta la cristallizzazione del mondo dei paradigmi (57).
Platone rappresenta per Dugin l’emblema della filosofia apollinea, sempre in feconda identità/differenza con quella dionisiaca. A entrambi si contrappone un elemento/modello che a Platone risulta lontano sino all’indifferenza e che tuttavia pesa, pesa molto, nei destini politici dell’Europa. Questo elemento è la Grande Madre, è Cibele, e con lei i Titani. È Cibele, sono i Titani, ad aver preso il potere nella modernità, che proprio per questo è modernità; ad aver preso il potere nell’Europa contemporanea, che proprio per questo è la nemica dell’Europa e della sua Tradizione, parola e concetto fondamentali nella filosofia di Dugin.
Con uno scarto e arricchimento notevoli, a questi paradigmi teoretico-politici qui si coniugano delle analisi che riguardano lo gnosticismo antico e moderno, analisi complesse che riguardano la natura femminile del Demiurgo, il Padre, il Pleroma, gli eoni, in particolare nelle elaborazioni di Valentino. Dugin richiama l’attenzione sulla complessità intrinseca allo gnosticismo, sulla natura dello gnostico come «un portatore della coscienza infelice, ma secondo Hegel solo la coscienza infelice è capace di filosofare» (110), sullo gnostico quale prigioniero della Grande Madre e della sua potenza materica, sullo gnostico il quale «porta in sé l’abisso» (111).
Anche sul fondamento di tutto questo, si accenna alla Quarta Teoria Politica, tema per il quale Dugin è particolarmente noto, come superamento delle tre teorie politiche del liberalismo, del comunismo del fascismo/nazionalsocialismo, forme tutte alienate perché fondate su diverse interpretazioni ed effetti del soggettivismo moderno: «Nelle tre teorie politiche moderne abbiamo a che fare con tre interpretazioni più ristrette del soggetto. Il liberalismo interpreta il soggetto come individuo: i comunisti come classe; i fascisti come Stato, nazione o razza (nel nazionalsocialismo). Heidegger mostra che il soggetto è un costrutto della Modernità, edificato sul Dasein, obliato e sepolto sotto di esso. Questo è il motivo per cui la distruzione filosofica inizia con uno smantellamento del soggetto e una breccia che porta a ricongiungersi al Dasein» (130).
Come si vede, elemento ispiratore della Quarta Teoria Politica è Heidegger, cosa esplicitamente riconosciuta da Dugin, il quale intreccia le questioni heideggeriane della metafisica e dello statuto del soggetto con quelle relative alla tecnica, sino a dare alla sua teoria e prassi politica un compito quasi anarchico e forse nella tradizione del populismo russo: «La distruzione dello Stato, come apparato, come Machenschaft» (133) per far emergere al suo posto la centralità del popolo, inteso non come somma di individui, classi, interessi ma come unità organica.
L’elemento più metafisicamente interessante, e per certi versi sorprendente, di tali prospettive – per quello che è possibile capirne da una antologia piuttosto eterogenea di scritti – è la vicinanza costitutiva della filosofia alla morte come tensione verso il nulla. Il legame tra filosofia e morire è certo classico, antico e decisamente socratico-platonico ma sorprendenti sono le conseguenze che Dugin ne trae in relazione al Niente e al Caos.
Il Niente appare infatti costitutivo del mondo, un oceano che circonda la piccola isola dell’Essere, la quale appare a noi così vasta soltanto perché «guardiamo il niente attraverso gli occhi del Logos» (141). E invece ciò che Heidegger chiama der andere Anfang, l’altro inizio della filosofia, è una prospettiva che abbia il coraggio del Caos, di rivolgersi al Caos contro il primato del Logos, il quale è solo «un pesce che nuota nelle acque del Caos» (149). Il Logos può dunque respirare e sopravvivere soltanto dentro le acque caotiche del Nulla e quindi -è l’invito conclusivo del testo – «il nostro compito è costruire la filosofia del Caos» (151).
Questi i contenuti principali che ho cercato di portare a chiarezza e unità di un libro che solo a tratti è unitario e chiaro, che presenta molte suggestioni ma che appare anche radicato in modo convinto e forte dentro non la Tradizione in generale ma la Tradizione del cristianesimo ortodosso quale elemento di identità slava. Un cristianesimo che Dugin intende innervare di platonismo per salvarlo dalla sterilità epistemologica e da una sostanziale perifericità. Intento che comporta un rifiuto quasi totale non soltanto della scienza moderna ma anche e soprattutto delle grandi metafisiche che pongono in qualche modo al centro la struttura e la dimensione materica del cosmo, pur essendo niente affatto riduzionistiche: da Aristotele a Spinoza, dall’atomismo alla termodinamica.
E questo sembra un esito piuttosto deludente anche perché molto confessionale.

Leopardi filosofo

Sulla filosofia di Giacomo Leopardi
in Dialoghi Mediterranei
Numero 56, luglio-agosto 2022
Pagine 151-159

Indice
Operette antropologiche e metafisiche
Operette Zibaldone
-Le passioni
-Natura / Biologia
-L’umano come lingua
-Leopardi e Camus
-I limiti di Leopardi e il loro superamento

4526 pagine di scrittura quotidiana, fitta, pensata. E poi progettata come una serie di trattati che avrebbero dovuto, e hanno, delineato la filosofia di Giacomo Leopardi. Perché Leopardi è filosofo tanto quanto è poeta. Questo è chiaro ai suoi studiosi e l’auspicio è che diventi sempre più chiaro anche ai suoi lettori. La filosofia di Leopardi è espressa ed esposta certamente nel capolavoro che si intitola Operette morali; lo è nei suoi Pensieri; lo è nelle composizioni poetiche. E lo è nello Zibaldone di pensieri, che è opera dalla struttura insieme sistematica e aperta, dove la mole imponente dei testi, degli aforismi, degli appunti, dei saggi si rimanda reciprocamente e dalla quale emerge un insieme ben definito di temi che si condensano in trattati, sei trattati esattamente. Quest’opera accompagna e fonda l’intera scrittura di Leopardi e perciò in questo saggio ho tentato di porre in dialogo lo Zibaldone con gli altri scritti del filosofo-poeta.

Filosofia antica

Pierre Hadot
Che cos’è la filosofia antica?
(Qu’est-ce que la philosophie antique?, Gallimard 1995)
Traduzione di Elena Giovannelli
Einaudi, 2010
Pagine 302 

La filosofia è un modo di vivere all’interno di una comunità, nel dialogo, nel confronto, nel sentirsi esistere in una relazione continua con altri umani animati dalla stessa forma, passione, interesse, intenzione, vita. Non è necessario condividere sempre gli spazi ma sapere che quello che stiamo in questo momento vivendo, pensando, scrivendo, è condiviso dai desideri e dalla lucidità di altri filosofi. Lucidi come noi, strani come noi, indifferenti come noi. Un’indifferenza che significa almeno tre cose: consapevolezza dei limiti umani, della nostra infima misura dentro lo splendore e l’immensità dell’intero; disincanto nei confronti della condizione di dolore e di morte non soltanto dell’umano ma di tutto ciò che è vivo; metamorfosi di questo consapevole disincanto in azione, in opera, in trasformazione della vita propria e delle relazioni, dei legami, della politica.

Conoscenza e azione che si fondano su numerosi e vari presupposti teoretici, che nel mondo greco sono in particolare:
– L’essere ogni ente una parte dell’intero, un’espressione della potenza della materia generatrice, che sempre sorge da se stessa, dalla propria potenza, dall’energia universale, la Φύσις.
– Il coincidere di tale energia e potenza con ciò che tutte le culture chiamano il sacro, il quale non abita quindi in qualche luogo specifico, in un tempo altro, in una realtà lontana ma accade qui e ora, in ogni ente, evento e processo. La realtà stessa è sacra, tutta, come l’aneddoto eracliteo del focolare in cucina testimonia con semplicità.
– Ciò che chiamiamo male è l’ignoranza di questa energia pervasiva e sacra, nella quale e con la quale il mondo in ogni istante esiste; è anche per questo che l’etica è un’espressione dell’ermeneutica, perché «il male non è nelle cose, ma nel giudizio di valore che gli uomini attribuiscono alle cose» (p. 101).
– Ciò che chiamiamo bene è invece l’immersione consapevole in questa dinamica, qui e ora; non quindi l’aspirazione ad altre vite o l’inquietudine senza pace dei progetti più fantasiosi e irraggiungibili ma l’esistere nel presente. Non naturalmente il semplice presente fisico e matematico, infinitamente divisibile e anche per questo di fatto insussistente, ma il presente come percezione della durata e suo significato. Un presente semantico prima di tutto.
– La necessaria fiducia che tutto questo si possa comunicare, trasmettere, insegnare e in tal modo contribuire a formare altri umani, a plasmare altre vite a partire da ciò che il tempo sacro ha donato alla nostra, tale è la pratica della παιδεία.
– La necessità che tale pratica educativa sia sempre intramata e sostenuta dall’approccio teoretico e da prospettive universali che si sforzino di andare oltre la limitatezza dell’orizzonte storico e prassico di ogni individuo e di ciascuna comunità: «Senza questa riflessione, la vita filosofica rischia di cadere nella banalità o nell’insipienza, nei buoni sentimenti o nell’aberrazione. […] Vivere da filosofi significhi precisamente anche riflettere, ragionare, concettualizzare, in modo rigoroso e tecnico, ‘pensare in modo autonomo’ come diceva Kant. La vita filosofica è una ricerca che non si arresta mai» (269).
– L’accettazione dunque della natura asintotica della vita in generale e dell’esistere filosofico in particolare, vita ed esistere per loro natura sempre aperti e mai definitivi. Vivere significa precisamente questo incompiuto che in ogni suo momento è sempre realizzato.
– Il convergere di queste pratiche asintotiche e teoretiche verso l’enigma del tempo, il vero e proprio oceano il cui infinito movimento è definito allo stesso modo in un testo fondante quale la Teogonia di Esiodo (verso 38) e in una sentenza epicurea (la n. 10) attribuita a Metrodoro: «Ricorda che nato mortale, con una vita limitata, tu sei assurto, grazie alla scienza della natura, fino all’infinito dello spazio e del tempo e hai visto ciò che è, ciò che sarà, ciò che fu» (22).

La filosofia è quindi conoscenza e pratica del tempo infinito dentro il tempo limitato che siamo, è la consapevolezza che una parte della materia universale ha di esistere per un arco, una parabola, un percorso sempre limitati ma non per questo meno densi. Filosofia è diventare l’infinito che si è. È ciò che Ernest Renan definisce il «punto di vista di Sirio», la stella più luminosa che i nostri occhi di terrestri possano vedere.
Come i corpi hanno bisogno d’aria per vivere, la filosofia richiede la libertà come respiro. Questa è la principale ragione per la quale la filosofia  nacque in Grecia e non altrove. Nell’Accademia di Platone vigeva una integrale libertà di pensiero, tanto che i suoi allievi e anche gli immediati successori alla guida della scuola espressero posizioni anche assai lontane dal Maestro, il più famoso tra questi è Aristotele. L’Accademia era infatti «un luogo di libera discussione e al suo interno non vigeva nessuna ortodossia specifica della scuola e nessun dogmatismo» (64).
Gli ultimi filosofi greci, cacciati via dal cristiano Giustiniano, trovarono nell’Oriente persiano, tra i nemici persiani, il luogo estremo nel quale esercitare ancora tutto questo. Nel 529 infatti «l’imperatore Giustiniano proibisce ai pagani di insegnare. I filosofi neoplatonici Damascio, Simplicio e Prisciano lasciano Atene per rifugiarsi in Persia. Dopo il trattato di pace concluso tra Cosroe e Giustiniano, essi si stabiliscono a Carrae, in territorio bizantino ma sotto influenza persiana, e continuano il loro insegnamento» (280), che ancora prosegue.
In questa sistole e diastole di esistenza e teoresi, di limite e di infinito, abitano il dolore e la gioia dell’essere filosofi.

«Il filosofo sperimenta in modo crudele la propria solitudine e la propria impotenza in un mondo lacerato tra due inconsapevolezze: quella che è provocata dall’idolatria del denaro e quella che risulta dalla miseria e dalla sofferenza di miliardi di esseri umani. In simili condizioni, il filosofo non potrà sicuramente mai raggiungere la serenità assoluta del saggio. Filosofare equivarrà, dunque, a soffrire di quell’isolamento e di quella impotenza. Ma la filosofia antica ci insegna anche a non rassegnarci, continuando invece ad agire ragionevolmente, e a sforzarci di vivere secondo la norma rappresentata dall’Idea della saggezza, qualsiasi cosa succeda, per quanto la nostra azione ci possa apparire molto limitata.
Come diceva Marco Aurelio:
‘Non sperare la Repubblica di Platone, ma accontentati se una cosa piccolissima progredisce, e pensa che questo risultato non è così piccolo’ » (270; Ricordi, 9.29.5).

Questo è la filosofia antica, questo è la filosofia.

Ethoanthropology

Towards an ethoanthropology  
in Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia
Anno 13 – Numero 1/2022
Pagine 72-78

Indice
1 Paradigms
2 Ethoanthropology
3 Natureculture
4 Animal Experimentation
5 Biotechnology

Abstract
In this paper, I propose we replace the anthropocentric paradigm with an ethoanthropological one that can account for the fact that the human being is just a part of the world and of “nature”. Theoretical reflection and recent findings in the natural sciences confirm that ancient anthropocentric dualisms – the ancient body/soul, and res extensa/res cogitans divide – are obsolete. Here I argue that the human being is a bodymind continuum (an embodied mind), comprising action, experience, nurture, and culture. To develop a broader and at the same time more specific science of man is possible only on the condition that we give up the anthropocentric view and replace it with an ethoanthropology. This would also provide compelling reasons to forego harmful experimentation and exploitation of other animal species, including animal biotechnology.

Per una etoantropologia – In questo articolo si avanza la proposta di rimpiazzare il paradigma antropocentrico con un paradigma etoantropologico volto a comprendere l’essere umano all’interno del mondo e all’interno della “natura”. La riflessione teorica e le scienze naturali confermano che l’antico dualismo antropocentrico – tra corpo e mente, tra res extensa e res cogitans – è semplicemente obsoleto. L’essere umano è un continuum di corpomente (una mente incarnata), azione, esperienza, educazione e cultura. Sviluppare una scienza dell’uomo che sia più ampia e al contempo più precisa è possibile a patto di superare il provincialismo antropocentrico e di sostituirlo con una etoantropologia. Questa potrebbe fornirci delle ragioni forti per rinunciare alle pratiche più distruttive operate sugli animali, comprese quelle biotecnologiche.

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Vorrei aggiungere qualcosa ai dai bibliografici di questo saggio. Vorrei dare qualche informazione ulteriore che possa essere utile soprattutto ai miei allievi e in generale a dei giovani studiosi. Un’informazione che li aiuti anche a non scoraggiarsi quando ricevono dei rifiuti alle loro proposte di pubblicazione da parte delle riviste scientifiche. Anche la ormai consueta peer review, ‘valutazione tra pari’, non sfugge infatti agli umani, troppo umani sentimenti e comportamenti.
Questo saggio, dedicato a un tema centrale della mia ricerca, mi era stato in realtà chiesto da una collega come contributo a un volume collettaneo. Dopo qualche tempo dall’invio ricevo non da lei ma da una sua collaboratrice il giudizio di un reviewer che bocciava decisamente il testo. Può capitare, naturalmente, ma in questo caso la procedura era stata scorretta.
In primo luogo perché si trattava di un solo revisore, quando la regola ne prevede due.
In secondo luogo, e soprattutto, si trattava di un revisore che probabilmente aveva capito chi fosse l’autore, verso il quale evidentemente non nutre molta simpatia; aveva quindi approfittato dell’occasione non per redigere un giudizio negativo ma per insultare il testo (e quindi il suo autore) con un linguaggio e delle modalità che la pratica di valutazione tra pari esclude.
Poco male se non per chi mette in atto simili comportamenti, non certo per me. Proposi infatti il testo a una delle più prestigiose riviste internazionali di filosofia, i cui due revisori diedero giudizi positivi: uno con un apprezzamento incondizionato, scrivendo tra l’altro: «The author expresses with mastery and competence the multiple and complex articulations of the topic of the paper. […] The essay is an excellent reflection on the issues highlighted above, written in clear and engaging language at the same time»; il secondo revisore con un giudizio nel quale mi dava dei consigli su come chiarire e migliorare due passaggi e argomentazioni del testo: «The manuscript can be considered as a position paper expressing a strong and heartfelt accusation against anthropocentrism. Even if it does not have the classic structure of a regular article, the proposed arguments are compelling and constitute at least a challenge for our life style and for a number of beliefs that we typically take for granted.
For this reason, I consider this work worth publishing.
Yet, I strongly suggest to clarify to passages concerning the notion of vivisection.
[…] In any case the relationship between animal and environment exploitation should be expressed more clearly».
Ho naturalmente modificato i brani e integrato le questioni segnalate da questo revisore, che quindi ringrazio per avermi aiutato a migliorare il testo. Come ringrazio il primo per il giudizio totalmente positivo da lui formulato.
Per quanto riguarda il poveretto che aveva concluso la sua valutazione con queste parole (comunque tra le più gentili rispetto al resto): «Il paper non presenta alcuna innovativa posizione nel dibattito sull’argomento; tenta di farlo, ma in maniera pressoché pamphlettistica, che poco ha del paper scientifico», gli auguro di crescere scientificamente e umanamente.

[In questo numero della RiFP è uscito anche un ampio studio del mio allievo e collaboratore Andrea Pace Giannotta, dal titolo Corpo funzionale e corpo senziente. La tesi forte del carattere incarnato della fenomenologia (pp. 41-56)].

 

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