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«Il proprio tempo appreso nel pensiero»

È vero: «die Philosophie ihre Zeit in Gedanken erfaßt» (Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, prefazione), la filosofia (è) il proprio tempo appreso e colto nel pensiero, o almeno è anche questo. E dunque il breve e denso disegno che Davide Miccione traccia del nostro tempo è del tutto filosofico. Intelligenza del presente e chiarezza analitica descrivono infatti esattamente ciò che accade e la direzione che si sta cercando di imprimere alla vita collettiva, ovunque.
Il testo è uscito su Aldous il 10.9.2022, con il titolo Il nominabile attuale.

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Qualora fosse umanamente possibile, la campagna elettorale aumenta la confusione. Questioni gravi e questioni irrilevanti, problemi reali e capziosità, paure vere e chiamate alle armi di sessant’anni fa ritirate fuori oggi alla bisogna, si accavallano senza sosta. “L’innominabile attuale”, il presente incomprensibile entro cui seguiamo o persino pretendiamo di guidare gli altri (come nella bruegeliana parabola dei ciechi) si fa ancora più confuso, aumentano gli slogan e i distinguo, le false bandiere e i distrattori. Diventa allora necessario, accettando preventivamente il giudizio di superficialità e di indebita semplificazione che sempre ci si attira, provare a definire gli elementi essenziali del nostro (lungo e perdurante) presente politico. Posto in bell’ordine il catalogo è questo:

  1. I ricchi diventano e devono diventare sempre più ricchi.
  2. I ricchi devono “potere” sempre più, dunque sempre meno devono essere gli aspetti della vita sulla terra non riducibili nella sua interezza al valore e al potere del denaro (per farsi un’idea degli aspetti descrittivi si vedano i lavori di Michael Sandel).
  3. Lo Stato si può impoverire o indebolire se ciò è utile al punto 1 o può acquisire importanza se ciò è utile al punto 1. Si veda a tal proposito la demolizione del welfare in questi decenni e viceversa il potentissimo Stato ambulatoriale di questi tre anni.
  4. Le procedure democratiche devono diventare irrilevanti in modo da non disturbare lo sviluppo dei punti 1, 2 e 3.
  5. Le procedure democratiche possono essere momentaneamente enfatizzate se servono allo sviluppo dei punti 1, 2 e 3.
  6. Quasi tutti i prodotti ideologici o culturali passati (dai sumeri al Novecento), fatto salvo qualche sparuto aspetto della ragione liberale, si pongono, anche senza volerlo o saperlo, come forme di resistenza allo sviluppo dei punti 1 e 2 perlopiù per un loro implicito non mettersi pienamente a disposizione. Dunque vanno sottoposti a character assasination (Islam, comunismo ad esempio), o a indebolimento, svuotamento eccetera, con moto uniformemente accelerato.
  7. Il processo dei punti 1 e 2 viene chiamato capitalismo, mercatismo, finanzcapitalismo, turboliberismo eccetera sebbene a volte si incarni in grandi organismi internazionali (ovviamente non eletti) o Stati.
  8. Quando alcuni attori che perseguono il punto 1 e il punto 2 hanno necessità di agire attraverso i governi o vi si identificano momentaneamente ciò viene chiamato geopolitica.
  9. Il processo dei punti 1 e 2 è necessario venga visto come irreversibile da tutti e come l’unico pensabile e non sostituibile da altro (vedi il compianto Mark Fisher).
  10. Per mantenere inimmaginabile qualsiasi altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la storicità come categoria di giudizio del reale e la conoscenza del passato. L’operazione (già a buon punto) viene portata avanti per omissione (indebolimento dell’insegnamento della storia e degli aspetti storici di ogni disciplina) e attivamente con la promozione di quell’aborto concettuale che è la cancel culture, concezione che dell’alterità fa un medesimo difettoso da emendare e da condannare in quanto non uguale a noi.
  11. Per mantenere inimmaginabile un altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la filosofia o va sostituita con una filosofia settoriale e procedurale (ben si attaglia dunque la filosofica analitica) che non pensi di poter descrivere e valutare l’interezza del reale.
  12. Per mantenere inimmaginabile un altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la Grande Letteratura e la sua capacità di violare la “moralina” che ogni presente pensa di incarnare pienamente.
  13. Il politicamente corretto, la cultura woke, creando una perenne preoccupazione per le offese arrecabili a individui, è un ottimo “spengipensiero” e devia l’attenzione di chi dovrebbe essere di sinistra (dunque contrario ai punti 1 e 2) verso questioni meramente linguistiche e di dettaglio. Essendo fondata sulla libera decisione dei soggetti di sentirsi offesa, la cultura woke può riprodursi ed espandersi all’infinito.
  14. Le forme attuali dell’arricchimento del punto 1 abbisognano di un uomo sempre più sbilanciato verso una pseudovita telematica e sempre meno in grado di vivere esperienze libere, corporee, amicali. Per questo la digitalizzazione è diventata sempre un bene, anche contro ogni evidenza sociologica.

Addendum: una grandissima parte delle parole e degli slogan che sentirete in questa campagna elettorale è solo una forma di subspeciazione artificialmente creata per simulare una differenza e una dialettica tra forze egualmente devote all’obbedienza dei primi due punti dell’elenco. A meno che il lettore non faccia parte dei ricchissimi o di coloro che ragionevolmente pensano di poterli parassitare per un tempo sufficientemente lungo (giornalisti, operatori finanziari, apparatčik di organismi internazionali, deputati) votare per partiti che non avversano lo sviluppo dei punti 1 e 2 (e degli altri 12 di supporto) potrebbe non essere la cosa più razionale da fare, né per sé né per il mondo.

[L’articolo è stato ripubblicato anche da Sinistrainrete]

Metafisica

Giovedì 5 aprile 2018 alle 16,00 nell’aula 252 del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania terrò un seminario dal titolo «Metaphysics is now respectable again». Si  tratta della prima lezione di un laboratorio organizzato da alcuni docenti e studenti del Disum, dedicato a Filosofia analitica e continentale.
La linea teoretica sulla quale mi muoverò parte dall’assunto che la filosofia consista  anche nel comprendere ciò che siamo dentro l’intero che noi non siamo. Per questo il  metodo e la natura del lavoro filosofico sono fenomenologici e consistono anche nell’autocorrezione della tendenza idealistica, la quale subordina gli enti alla loro conoscenza da parte di un corpomente,  e nell’autocorrezione della tendenza realistica di un corpomente che ritiene di poter conoscere il mondo prescindendo da sé.
In realtà, ogni pensiero che si esprime sul mondo, ogni parola che dice il reale, ogni sentire estetico, concetto logico, legge fisica, hanno come fondamento una metafisica, esplicita  o implicita che sia. E questo va detto anche al di là di Nietzsche, al di là di Heidegger. E certamente al di là di ogni riduzionismo.

Metaphysics

Recensione a:
David Malet Armstrong

Che cos’è la metafisica. Un profilo sistematico
(Sketch for a Systematic Metaphysics, Oxford University Press 2010)
Carocci, 2016
A cura di Franca D’Agostini
Pagine 139
in Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia
Anno 8 – Numero 3/2017
Pagine 325-327

«Metaphysics is now respectable again» scrive Armstrong nella versione originale del libro che qui recensisco in italiano. Questa affermazione sintetizza quanto va accadendo ormai da molti anni. Il pregiudizio che la metafisica possa essere ricondotta alle sole strutture linguistiche è tramontato, così come vanno perdendo di plausibilità le varie forme di riduzionismo e di eliminativismo.
La metafisica è infatti uno dei modi più ricchi e più fecondi di comprendere la complessità degli enti, degli eventi, dei processi. L’essere non si limita agli enti particolari, ai singoli grumi di materia spaziotemporalmente costituita ma si estende anche alle proprietà generali di tali enti, alle relazioni degli enti tra di loro e con gli eventi, all’insieme dei processi che si generano da tali interazioni.

Metafisica. Classici contemporanei

A cura di Achille C. Varzi
Laterza, Roma-Bari 2008
Pagine XI-536

Nel suo importante saggio del 1953 On What There Is, Quine sosteneva che «l’ontologia è fondamentale per la costituzione dello schema concettuale con cui si interpretano tutte le esperienze, anche le più comuni» (qui a p. 33). La svolta ontologica e metafisica che intride la filosofia analitica in questo inizio del XXI secolo ha quindi radici antiche, che la densa antologia curata da Varzi ben testimonia. Dalla sua lettura si comprende facilmente che in ambito analitico non si è mai voluto cancellare la metafisica o dichiarare irrilevante la sua tradizione ma si è inteso modificare alla radice il mondo di affrontarne i temi, che qui vengono riassunti e raccolti in sei grandi ambiti: Esistenza, Identità, Persistenza, Modalità, Proprietà, Causalità.

Molti autori sembrano non tener conto dell’avvertimento per il quale il mondo si dice in molti modi, rendendo invece esclusivo un approccio logico-formalistico che non di rado cade nella pedanteria o precipita in oscure inconcludenze. E tuttavia alcune analisi e tematiche risultano di grande interesse e fecondità. Un punto di partenza decisivo è la distinzione elaborata da Frege e ripresa da Quine tra Sinn e Bedeutung, senso e riferimento, connotazione semantica e semplice denotazione oggettiva. I significati non sono soltanto «idee contenute nella mente» (Quine, 32) ma costituiscono la materia con la quale le menti costruiscono il mondo e se stesse in esso. E sta anche qui la ragione della persistenza degli universali nel discorso filosofico. Perché, semplicemente, «senza di essi non sarebbe possibile parlare, ed il pensiero si ridurrebbe a ben poco» (Quine, Identity, Ostension, Hyposthasis, 1950, qui a p. 203). Russell si spinge sino ad abbracciare esplicitamente il platonismo riconoscendo l’esistenza ante rem degli universali:

«[Certe] entità quali le relazioni fra le cose sembrano avere un’esistenza in certo modo diversa da quella degli oggetti fisici, e diversa anche da quelle delle menti e dei dati sensibili (…) È un problema molto vecchio, introdotto in filosofia da Platone. La platonica “teoria delle idee” è appunto un tentativo di risolverlo, e a parer mio uno dei tentativi più riusciti fra quanti ne siano stati fatti sinora (…) Nessuna frase può essere costruita senza una parola almeno che indichi un universale (…) Così tutte le verità implicano un universale, e ogni conoscenza di verità implica la conoscenza degli universali» (The World of Universals, 1912, qui a pp. 333-335).

Una specialissima forma di platonismo è anche il concetto di designatore rigido proposto da Kripke. Su queste tematiche i filosofi analitici si incontrano e scontrano in modo anche assai duro, accusandosi di formulare enunciati che non hanno senso. Così Quine nei confronti di Carnap (quasi a contrappasso della stessa accusa rivolta da quest’ultimo a Heidegger), il quale risponde per le rime deplorando «il fatto che alcuni nominalisti contemporanei denominino “platonismo” l’ammissione di variabili di tipo astratto. Quanto meno, questa terminologia è priva di significato, conducendo all’assurda conseguenza che la posizione di chiunque accetti il linguaggio della fisica con le variabili numeriche reali (…) risulterebbe denominabile platonica» (Empiricism, Semantic, and Ontology, 1950, qui a pp. 56-57); rincarando poi la dose con queste affermazioni: «Decretare dogmatiche proibizioni di certe forme linguistiche, invece di sottoporle a controllo sulla base del loro successo o fallimento nell’uso pratico, è più che futile; infatti, ciò potrebbe ostacolare il progresso scientifico», equiparando i “pregiudizi” di Quine a quelli di matrice religiosa e irrazionale (Ivi, p. 64).

Anche in tali diatribe la filosofia analitica somiglia alla tradizione alla quale meglio la si può accostare: quella delle Disputationes medioevali: «I tre principali punti di vista a proposito degli universali, vengono designati dagli storici come il realismo, il concettualismo e il nominalismo. E, praticamente, queste stesse dottrine riappaiono nelle ricerche di filosofia della matematica del ventesimo secolo sotto i nuovi nomi di logicismo, intuizionismo e formalismo» (Quine, On What There Is, qui a p. 37).

Il tema metafisico fondamentale anche in ambito analitico è il tempo. Lewis ha proposto di distinguere il significato dei verbi Endure e Perdure, che in inglese indicano genericamente la durata temporale di qualcosa. Col primo verbo si sostiene dunque il permanere tridimensionale degli enti che persistono nella loro interezza spaziale, col secondo il loro perdurare quadridimensionale di parti temporali successive. Lewis sostiene la necessità di abbandonare la permanenza a favore della perduranza. Arriviamo così alle soglie di una comprensione del mondo come evento (l’Ereignis heideggeriano tanto rifiutato e non compreso da molti analitici) e quindi come insieme dinamico di enti, azioni, processi, proprietà, relazioni. Se «non vi è niente di più importante, credo, che il riconoscere che le proprietà e le relazioni sono tra i costituenti fondamentali della realtà» (Armstrong, Properties, 1992, qui a p. 389), allora la questione ontologica è ben riassunta dal rompicapo platonico (Fedone 58A) della Nave di Teseo (lentamente ma integralmente sostituita dagli ateniesi nelle sue componenti) .

A questo e a simili problemi (come “il carro di Socrate”) si risponde in due modi:
A) La nave o il carro non sono soltanto i materiali dei quali sono composti ma i materiali più il significato a essi attribuito, sono il senso con il riferimento, la connotazione insieme alla denotazione.
B) Navi, carri, mattoncini sono entità temporali, sono quark, atomi, molecole, macrostrutture in continuo dinamismo, sono entità/eventi ai quali è l’osservatore a conferire un’identità sempre provvisoria, cangiante e insieme perdurante; temporale, quindi.
Il mondo è fatto di enti permanenti, eventi perduranti e significati che nascono, si distendono, mutano nello spaziotempo. Non possiamo bagnarci nelle medesime acque ma possiamo ben immergerci nello stesso fiume, perché le acque sono elementi materiali che scorrono, un fiume è un significato mentale che perdura. La cronosemantica può coniugare il discorso ontologico con quello linguistico, mostrando in tal modo la fecondità della metafisica.

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