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Artificio

Favola
di Sebastiano Mauri
Italia, 2017
Con: Filippo Timi (Mrs Fairytale), Lucia Mascino (Mrs Emerald), Luca Santagostino (i fratelli), Piera Degli Esposti (la madre), Sergio Albelli (il marito)
Trailer del film

Il grottesco così pulito della linda, patinata, virtuosa coppia statunitense degli anni Cinquanta del Novecento si capovolge nel grottesco di un pene che si eleva tra le cosce femminili e che da lì ricolloca amiche, madri, vicini di casa, cani, alieni. Un mondo iperrealistico — fatto di accesissimi colori, di elettrodomestici appena usciti dal negozio, di nostalgico design, di skyline urbanamente familiari e di bandiere a stelle e strisce sullo sfondo — mostra per intero la propria irrealtà fatta di centinaia di film che l’industria culturale ha ammannito negli anni alle colonie (tra le quali l’Italia); di pubblicità pervase da volti sorridenti, acquietati e soddisfatti; di ideali assoluti quali la Famiglia, la (Statua della) Libertà, il Consumo, che mostrano la loro natura artificiosa, mortale e artificiale nel barboncino impagliato per impedirgli di morire.
Una «favola» queer che involontariamente mostra come il queer sia appunto una favola. Alla perfetta casalinga, all’ubbidiente moglie, alla potenzialmente ninfomane vicina, alla figlia inquieta, alla pudica amica non è infatti necessario subire alcun intervento per diventare maschio. Pene e testicoli crescono da sé, spontaneamente. E anche questo conferma la contraddizione logica e ontologica che corre tra il gender e il trans. Se infatti ognuno è ciò che vuole essere, perché mai sarebbe necessario intervenire sugli organi genitali di un corpo/volontà che è già ciò che pensa di essere? «Les partisans des opérations de réassignation de genre apportent aux thèses de Butler et tutti quanti un démenti flagrant. On ne doit pas pouvoir être en même temps queer et trans»; dal punto di vista esistenziale, «c’est la haine de la nature et la haine de la chair qui animent ces gens. Rien d’autre. Et effectivement, ils son sürement très malheureux»1, come è appunto Mrs Fairytale, nonostante un happy end così smaccatamente hollywoodiano da risultare anch’esso artificioso.
La conferma di queste contraddizioni gender / queer sta probabilmente in qualcosa che sembra non entrarci nulla con la vicenda di Mrs Fairytale e Mrs Emerald e che però in questo film è continuamente presente: gli UFO più volte avvistati, immaginati, alla fine forse trasformati in corpi non più vivi, tutti impagliati e impigliati nella «fallacia artificialista» che consiste nel dedurre «da ciò che si può fare quel che si deve fare» e che «in nome delle possibilità dell’artificio, sembra sempre più vivere dell’opposizione di principio di natura e cultura»2.
Come sempre, le favole affondano in qualche forma dell’orrore.

Note
1. D. Collin, Krisis, numero 51, marzo 2021, pp. 78 e 80.
2. E. Mazzarella, L’uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo, Quodlibet Studio, 2017, pp. 11 e 25.

Gender

[Il testo è una riflessione a partire dal numero 51 (marzo 2021, pagine 204) della rivista Krisis, dedicato al tema dell’Amore. Discuto in particolare il contributo di Denis Collin, dal titolo La fin du désir et l’érotiquement correct. Collin è uno dei maggiori e più lucidi filosofi marxisti contemporanei, i cui testi mostrano quanto fecondo sia l’insegnamento di Marx quando viene elaborato per comprendere in modo critico le forme virulente e nascoste del liberalismo (e liberismo) del XXI secolo] 

L’amore ha uno statuto simile all’essere e al tempo, si dice in molti modi: «Le mot est polysémique, sa définition presque impossible, son histoire pleine de détours» (Damien Panerai, p. 3). I suoi tre principali significati sono:
φιλία, l’amicizia profonda, i legami familiari;
ἀγάπη, l’amore fraterno e universale, l’essere in comunione con qualcuno o qualcosa;
ἔρως, l’amore passione, l’amore desiderio, l’amore totale, l’unità corpomentale che noi animali siamo.
Non a caso quest’ultima parola, ἔρως, è «introuvable dans le Nouveau Testament grec» (Jean-François Gautier, 29). Ci sono poi altre forme, definizioni e significati dell’amore: l’amore trofeo nel quale l’amata, l’amato, l’amore stesso costituiscono un  titolo e un corpo da esibire; l’amore/innamoramento, intensissimo e dalla durata più o meno breve; l’amore/tenerezza frutto di una lunga consuetudine con l’oggetto amato; le tante, molteplici, radicali forme d’amore descritte da Stendhal e soprattutto la fenomenologia assoluta e completa del fatto amoroso che è l’intera Recherche proustiana.
L’ἔρως, il vero amore, è una potenza infinita, che «laisse dans les cœurs et les esprits des hommes des cicatrices d’impuissance» (Anthony Keller, 55). L’ἔρως è la più radicale forma di alterità, sia nel significato di un confronto/conflitto/relazione con l’altro da sé (con la Differenza), sia nel significato di una dimensione totalmente altra rispetto alle buone e moderate forme e norme del vivere sociale. E questo anche perché «l’amour est le royaume de la vulnérabilité, de l’abandon, de la faiblesse consentie, de la toute-puissance non de soi mais de l’autre sur nous» e perché «les cœurs parlant à l’unisson avec une intensité jumelle sont rares. L’expression d’un très grande amour, surtout quand il n’est pas partagé à hauteur égale, peut terroriser celui qui en est l’objet, le faire fuir»; l’esito è « une attitude à haut risque», è il dramma dell’abbandono e della fuga: «Se rappelle-t-on l’adage qui édicte: ‘Suis-mois, je te fuis, fuis-moi, je te suis’ ?»  (Anaïs Lefacheux, 109-110).

Anche per cercare di neutralizzare la potenza sovversiva e immedicabile dell’ἔρως sono nate nel corso della storia e in molte società (non in tutte) delle vere e proprie ‘Leghe di virtù’ che hanno cercato di ostracizzare il dio (Διόνυσος / Ἔρως). Numerose correnti e tendenze religiose ne costituiscono degli esempi chiari e influenti. Il cristianesimo è una di queste leghe moralistiche e virtuose. Si tratta di una tendenza radicata nella psiche dell’Occidente e camaleontica nelle sue espressioni. La più pericolosa tra quelle contemporanee è «le féminisme nouveau [il quale è] maintenant l’équivalent des anciennes ligues de vertu» arrivando persino, con «les fanatiques de #metoo» a chiedere l’inversione dell’onere giuridico della prova e che quindi sia l’accusato a dover dar prova della sua innocenza. Una barbarie giuridica che si origina dall’idea che «les hommes sont coupables par nature!» (Denis Collin, 72).
In generale il politically correct  si esprime anche come una pulsione di morte eroticamente corretta, la quale «s’inscrit pleinement dans le processus de ‘désublimation répressive’ analysé voilà plus de soixante ans par Herbert Marcuse. Loin d’une libération de l’Éros, il pourrait bien en signifier le déclin, vaincu par les forces de Thanatos, cette pulsion de mort qui taraude la société capitaliste d’aujourd’hui» (Id., 69); tale pulsione segna e determina una progressiva decadenza della libido e del piacere, tanto che «la conclusion ultime de la ‘ révolution sexuelle ’ est, paradoxalement, la fin du sexe, son éradication promise» (Id., 73).

Questa ondata di moralismo virtuoso e punitivo sembra avere a fondamento -come sempre– un vero e proprio odio verso la corporeità, il piacere, il sesso. Odio che si esprime anche come separazione/opposizione tra sesso, erotismo e amore, che sono in realtà la stessa dinamica espressa in forme diverse. Infatti «sans l’impulsion fondamentale de la pulsion libidinale, il n’y aurait pas d’érotisme, ni de sublimation amoureuse. […] Judith Butler est une idéaliste au plus mauvais sens du terme, et avec elle tous les champions du ‘ tout est construction sociale ’, puisq’elle prétend émanciper le rapport érotique de tout son fondement  naturel, ‘ matériel ’ pourrait-on dire» (Id., 74-75).
Le prospettive di Butler e di molti altri teorici della distinzione sesso/genere affondano nella tradizione dualistica della cultura occidentale per tendersi verso un culturalismo radicale, un volontarismo culturalista che disprezza o almeno ignora la potenza dei corpi ritenendo ad esempio che si possa «liquider les ‘ genre fixes ’ pour faire place à la liberté du ‘genre flottant ’. Je suis ce que je veux être à l’instant» (Id., 75). Chistine Delphy afferma con chiarezza che «ciò che è sociale non deve niente alla natura» e che «dietro la maschera della biologia è la società ad esprimersi come un ventriloquo» (Les Féminismes en question. Éléments pour une cartographie, 2005). Tesi, queste, talmente lontane dalla materia e dai corpi da  risultare del tutto sterili.
Il sentirsi maschi in un corpo di femmina e femmine in un corpo di maschio è certamente legittimo e anch’esso naturale ma questo non significa che la persona non abbia e non costituisca uno statuto ontologico che è maschile o femminile, senza incertezze. I maschi non hanno il ciclo mestruale, i maschi non vengono ingravidati, i maschi non partoriscono e non allattano. Le femmine non penetrano e non eiaculano con un pene. Dover ricordare simili ovvietà è segno di una inquietante negazione dell’animalità umana, sostituita dall’ennesima tendenza spiritualista che prende il nome di gender. È una delle tante tendenze del liberismo capitalistico, una delle molte espressioni del self-made-man, che costruisce da sé se stesso, la propria identità e il proprio mondo, una delle numerose tendenze dell’antropologia liberale che «postule l’interchangeabilité des individus, qui mène à leur atomisation» (David L’Épée, 103). 

Queste tendenze sono state analizzate a fondo da Eugenio Mazzarella in L’uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo (Quodlibet 2017). Il filosofo vi sostiene che «lo scenario ideologico che si apre è la pura e semplice smoralizzazione di massa del mondo, di cui la teoria del gender è oggi il ‘manifesto’ biopolitico più avanzato del work in Progress della reingegnerizzazione sociale in atto della sociogenesi ‘naturale’ fin qui attestata dalla ‘tradizione’. […] A scelta di un individuo che a priori, naturalmente e socialmente, non è ontologicamente nient’altro (o almeno tale si pretende) se non persona giuridica, fiction sociale titolare dei diritti che la società gli riconosce in una pattuizione ogni volta a determinarsi (pp. 43 e 45). La smoralizzazione della quale parla Mazzarella non è naturalmente un «banale immoralismo» ma costituisce la pretesa di rimoralizzare l’umano «su nuove basi tecnicamente e socialmente ‘escogitate’» (p. 48).
Simili confusioni ontologiche producono delle contraddizioni logiche come quella tra il gender e il trans. Se infatti ognuno è ciò che vuole essere, perché mai sarebbe necessario intervenire sugli organi genitali di un corpo/volontà che è già ciò che pensa di essere? «Les partisans des opérations de réassignation de genre apportent aux thèses de Butler et tutti quanti un démenti flagrant. On ne doit pas pouvoir être en même temps queer et trans» (Collin, 78). Dal punto di vista esistenziale, «c’est la haine de la nature et la haine de la chair qui animent ces gens. Rien d’autre. Et effectivement, ils son sürement très malheureux» (Id., 80).
E però, nonostante la grancassa mediatica del liberismo gender, nonostante le intimidazioni, l’arroganza e il fanatismo dei «commissaires politiques du sexuellement correct» (Id., 73), «en dépit des contrôles, des brimades et des interdictions, le désir finit toujours par se frayer un chemin» (Ludovic Maubreuil, 162). Nonostante i nuovi Pentèo che temono e disprezzano il piacere e vorrebbero ingessare le relazioni tra uomini e donne in una gabbia di norme fuori dalle quali gridano allo stupro, alla violenza, al maschilismo, alla molestia, nonostante questa barbarie puritana, Dioniso rimane il dio della ζωή, il trionfo del corpomente, la gloria del σῶμα.

Psicopatologie razziali

Il numero 355 (maggio/giugno 2020) della rivista Diorama Letterario ospita un articolo di Alain de Benoist dal titolo Il nuovo regime dell’apartheid.
È un’analisi acuta e critica, che mostra con chiarezza il vero e proprio coacervo di contraddizioni che la questione del genere e della razza suscita, sino a esiti francamente psicopatologici.
Quella descritta in queste pagine sembra infatti una commedia dell’assurdo e invece è ben vera e ben dentro la cultura contemporanea. Ed è anche una straordinaria eterogenesi dei fini, che tramite il politicamente corretto sta restituendo piena legittimità al concetto di razza proprio per opera di chi crede di combattere contro il razzismo.

Un brano:
«Lʼetnicizzazione dei rapporti sociali costituisce uno dei sintomi maggiori di una società in via di atomizzazione e di dissoluzione generalizzata, in cui gli uni e gli altri tentano di ricollegarsi ad identificazioni culturali che sono a loro volta in via di esaurimento.
Per una volta ben ispirato, il saggista Jean-Loup Amselle scrive: “Esistono al contempo una razzializzazione, intrapresa dai discriminanti, di coloro che discriminano, e una razzializzazione reciproca, speculare, che è essa stessa opera dei discriminati o di coloro che parlano a loro nome. La Francia sembra ormai entrata in un processo di separazione etnica e razziale che serve da sostituto della coscienza di classe di un tempo”.
In questo mondo in cui sia lʼassimilazione che la laicità sono già morte de facto, lʼautosegregazione geografica, e quindi la suddivisione etnica, è in realtà già allʼopera.
Nelle sue Note sulla questione degli immigrati, del 1985, Guy Debord scriveva: “Gli immigrati hanno il più bel diritto per vivere in Francia. Sono i rappresentanti dellʼespropriazione; e lʼespropriazione è a casa sua in Francia, a tal punto vi è maggioritaria e quasi universale. Gli immigrati hanno perso la loro cultura e il loro paese, molto notoriamente, senza poter trovarne altri. E i francesi sono nello stesso caso, soltanto un poʼ più segretamente. […] In questo orribile nuovo mondo dellʼalienazione, non c’è più nessun altro se non immigrati”».

 

New York / Linciaggio

Un giorno di pioggia a New York
(A Rainy Day in New York)
di Woody Allen
Con: Timothée Chalamet (Gatsby), Elle Fanning (Ashleigh), Selena Gomez (Chan), Liev Schreiber (Roland Pollard), Diego Luna (Francisco Vega), Penelope Wilton (Isobel Crawley)
USA, 2019
Trailer del film

In questo film sono tutti molto ricchi. Banchieri e figli di banchieri. Registi travagliati e osannati. Attori fascinosi e vuoti. Feste e banchetti in case che sono delle regge nel cuore di Manhattan. Studenti, registi, dirigenti, attori, tutti arrovellati dalle proprie carriere, amori e desideri sessuali. Una realtà in cui non esiste altro disagio che l’apparire agli altri, fare soldi, scolare la bottiglia giusta e avere successo. Con protagonista assoluta (sin dal titolo) una New York amatissima e parziale, limitata ai quartieri, ai ceti sociali, ai personaggi più danarosi. Allen da decenni gira sempre lo stesso film. Film anche inutili, come questo.
E tuttavia A Rainy Day in New York è uscito con molte difficoltà e Allen è in disgrazia -nonostante la sua grande fama– non ovviamente per la natura classista del suo cinema ma perché è anch’egli vittima delle accuse di quella setta sessuofobica che va sotto il nome di #MeToo, qualche anno fa in grande auge – un personaggio folcloristico come Asia Argento era persino diventata un’icona della ‘sinistra’ 😆 – e ora giustamente in declino, almeno in Europa mentre sembra inossidabile tra i puritani statunitensi.
È anche e soprattutto per questo che sono andato a vedere A Rainy Day in New York, perché «nel frattempo alcuni interpreti del film – in ossequiosa osservanza del movimento #MeToo – hanno preso le distanze da Allen» (Roberto Manassero, MyMovies, 11.6.2019). L’ho visto per solidarietà con uno dei tanti soggetti fatti a pezzi dalla sconfinata ipocrisia degli Stati Uniti d’America, una nazione da sempre specializzata nella caccia alle streghe e nel linciaggio. Utilizzando le paranoiche categorie del Politically Correct, si potrebbe aggiungere che essendo Allen un ebreo le femministe che lo accusano mettono in atto  comportamenti antisemiti.
E la storia narrata dal film? Non merita neppure il riassunto.

Postilla al Sessantotto

Guy Debord aveva previsto la dissoluzione delle istanze di classe in una società dello spettacolo del tutto interclassista e antipolitica, quella che il Sessantotto ha favorito. È anche questo che ho cercato di argomentare nel mio Contro il Sessantotto, in entrambe le sue edizioni (1998 e 2012). Molti degli esponenti di quella stagione, infatti, si sono perfettamente integrati nelle strutture del liberalismo trionfante, adeguandosi alla società mercantile, capitalistica e ultraliberista. I diritti dell’uomo come strumento delle guerre umanitarie, un individualismo senza limiti, il politicamente corretto, costituiscono alcuni capisaldi dell’idea e dell’azione liberale, non di quella comunista, della quale rappresentano di fatto l’opposto.
Essi sono il contrario anche dell’idea e della pratica libertaria, come ben si vede dall’ordine morale imposto dal politicamente corretto, dentro il quale ad esempio la sessualità diventa talmente complicata -e anche pericolosa- da condurre al suo controllo asfissiante e persino alla rinuncia da parte dei maschi all’approccio verso il sesso femminile, per gli equivoci, il sospetto, i rischi che tale contatto sempre più comporta. Come sempre, l’Eros e il dionisiaco rappresentano un pericolo per l’ordine morale costituito, che si tratti dell’ordine vittoriano o di quello ultrafemminista, al quale -da inevitabile sessantottino- rispondo dicendo «fate l’amore, non fate la guerra», neppure quella tra i sessi.

Ragazze – La vita trema

di Paola Sangiovanni
Italia, 2009
Trailer del film

ragazze la vita trema

Quattro donne, che negli anni Sessanta erano adolescenti e ragazze, raccontano le loro famiglie, l’educazione, l’affrancamento, la scelta femminista, la politica, le grandi manifestazioni, la svolta autoritaria e la fine. Il film alterna le interviste contemporanee alle immagini di repertorio pubbliche e private. Nonostante l’iperfemminismo e una tonalità a volte -e forse inevitabilmente- da amarcord, ne scaturisce un documento pieno di tenerezza, molto interessante per comprendere le ragioni e soprattutto la Stimmung dell’epoca.

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