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Vendette

In un mondo migliore
(Hævnen)
di Susanne Bier
Danimarca-Svezia, 2010
Con William Jøhnk Nielsen (Christian), Markus Rygaard (Elias), Mikael Persbrandt (Anton),
Trine Dyrholm (Marianne), Ulrich Thomsen (Claus)
Trailer del film

Dopo la morte della madre, Christian si trasferisce in una nuova città e nella sua scuola media. Qui incontra Elias, un ragazzino vittima del bullismo dei compagni più grandi e grossi. Elias non sopporta la madre ed è molto legato al padre, un medico che lavora in Africa e quindi è spesso assente. Il padre suo, invece, Christian lo detesta perché è convinto non abbia fatto abbastanza per salvare la madre dal tumore che l’ha uccisa. Il chiasmo genitoriale lega ancor più i due adolescenti, che cominciano a vendicarsi non soltanto dei propri compagni ma anche di un brutale figuro che schiaffeggia Anton, il padre di Elias. Anton è molto razionale, autocontrollato, pacifico e dedito ai propri malati in Sudan ma anche lui commette a suo modo un gesto di vendetta, prima del finale che ricompone forse troppo velocemente ogni conflitto.

Il titolo originale –Hævnen– in danese significa vendetta, quel risultato di offese gratuitamente ricevute e di un sordo rancore che trasforma gli uomini in Erinni e quindi in Dike, la giustizia che non perdona. Il volto da angelo di William Jøhnk Nielsen è perfetto nel rendere la gelida determinazione di un ragazzo a punire chi gli ha fatto del male. Fredda e analitica è anche la fotografia e la capacità della regista di fare dei primi piani la forma stessa del racconto. La complessità dei sentimenti umani va in questo film al di là dell’inevitabile esotismo africano e della banalità di quotidiane violenze. Riesce a toccare, invece, il nucleo profondo da cui si genera il bisogno di giustizia di fronte alla cieca stupidità dei comportamenti altrui. Vendicarsi è, naturalmente, un dato biologico analogo al nutrirsi. Ciò che può mutare è la qualità delle pietanze e il modo di portarle in tavola.

Sottoumani

Arrivano notizie di viaggi di gruppo organizzati per andare a visitare i luoghi dove è recentemente avvenuto un efferato delitto. Un omicidio di famiglia che conferma come questa istituzione non sia soltanto una delle più ipocrite tra quelle esistenti ma anche tra le più feroci. Gli esseri umani, infatti, non possono stare a lungo troppo vicini senza cominciare a odiarsi. E, se possibile, a scannarsi. Platone proponeva l’abolizione della famiglia per quanti vogliono raggiungere il meglio nella vita. Aveva ragione.

Questo truce voyeurismo dell’orrore è naturalmente figlio dell’idiota voyeurismo televisivo. Mi dicono, infatti, che ore e ore dei programmi trasmessi dalla scatoletta vengono dedicate all’assassinio di Avetrana. Ma non si tratta soltanto di televisione. Si tratta del fatto che la gente è semplicemente immonda, anime morte, zombie irresistibilmente attirati da altri cadaveri, sciacalli spinti alle carogne, mosche sulla merda.

Il corpo di Sakineh, l'infamia del potere

Non so quale sarà il destino di Sakineh Mohammadi Shtiani, la donna iraniana frustata e condannata alla lapidazione per aver commesso adulterio. Ma so che l’essenza del potere è da sempre il controllo dei corpi e il dominio sui loro desideri. È quindi ingiustificata ogni nostra pretesa, nostra di cristiani europei o statunitensi, di essere diversi rispetto alla teocrazia che infesta l’Iran. La condanna a morte, l’isolamento sociale, l’angoscia psicologica costituiscono certo forme tra loro assai diverse di punizione e però hanno tutte a fondamento l’istituzione che più di ogni altra fa da tramite fra il potere e la persona: la famiglia. Quando essa è fondata su un contratto -civile o religioso che sia- e non sulla libera adesione di chi giorno per giorno sceglie di amare il proprio compagno o compagna, la famiglia diventa il luogo terrorizzante dell’oppressione che i maschi esercitano sulle donne. Tra tutte le religioni, i tre monoteismi del Libro sono le più maschiliste e sessuofobiche, sono delle autentiche macchine di infelicità, sono delle sadiche espressioni contro natura poiché naturale è il desiderio di cui i corpi sono fatti.

Ed è ingenuo credere che in questo il cristianesimo sia migliore del rigorismo ebraico e del fanatismo islamico. Anzi, nel Vangelo di Matteo si legge una frase che trasferisce il terrore (il cosiddetto “peccato”) dalle azioni esteriori alla psiche: «Avete inteso che fu detto: “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt, 5, 27-28). Che cosa c’è di più naturale del desiderio di un bel corpo? I Greci lo sapevano e lo accettavano; ebrei, cristiani e musulmani trasformano il desiderio in peccato. Lo conferma anche un altro brano evangelico, di solito addotto a testimonianza di clemenza. È vero, l’adultera non venne lapidata ma, rimasto solo con lei, Jeshu-ha-Notzri così le si rivolge: «“Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”» (Gv, 8, 10-11). Come se il desiderio e il piacere fossero peccato!

Contro la legge islamica ma anche contro quella mosaica, evangelica e civile, va detto con chiarezza che libertà è il poter disporre in modo incondizionato, sovrano e ininterrotto del proprio corpo, del corpo che si è, senza che il potere dei preti e dello stato intervenga a imporre la sua infamia.

Una soluzione razionale

(Det enda rationella)
di Jorgen Bergmark
Con: Pernilla August, Stina Ekblad, Magnus Roosman, Rolf Lassgard
Svezia, 2009

Erland e May tengono dei corsi di educazione matrimoniale nella chiesa protestante della città. Il loro legame appare forte e sereno. Sino a quando Erland non si innamora, ricambiato, di Karin, moglie di un suo collega e amico. I due preferiscono parlarne esplicitamente ai rispettivi coniugi in modo da cercare tutti insieme “una soluzione razionale” che consiste nel vivere nella stessa casa, in attesa che questa passione effimera svanisca. Ma la razionalità delle intenzioni stride con la profondità anche temporale dei sentimenti.

Ben scritto e splendidamente recitato dai quattro protagonisti, questo film riprende il percorso dell’indagine del maestro Bergman sulla famiglia, sull’eros, sulla geometria delle relazioni tra i sessi. Tutti ben maturi, i personaggi vivono le loro passioni con lo stesso trasporto dei ventenni, mostrando dall’intimo e dall’interno la potenza di un sentimento che secondo Proust «quelle qu’en soit la cause, est toujours erroné» (Sodome et Gomorrhe, «A la Recherche du temps perdu», Gallimard, pag. 1358). Molto bello anche il finale, con gli sguardi rasserenati dall’abbandono.

La famiglia Wolberg

(La Famille Wolberg)
di Axelle Ropert
Francia 2009
Con François Damiens (Simon) Valérie Benguigui (Marianne), Serge Bozon (Alexandre)

famille_wolberg

Simon Wolberg è sindaco di una anonima cittadina francese. Dedica il Liceo al nome di una cantante soul, si intromette nella vita privata dei suoi concittadini, brinda col padre sulla tomba della madre, ama moltissimo la moglie e i due figli, detesta -invece- il cognato bohémien, è convinto che in famiglia nulla debba essere nascosto. Ma l’angoscia e l’insicurezza insidiano il suo corpo e le sue due famiglie, quella privata e l’altra collettiva.

L’ambiguità, la ricchezza, l’egocentrismo del protagonista emergono solo a tratti e in modo discontinuo. Anche i caratteri degli altri personaggi sembrano un po’ troppo rigidi. Peccato, il film è scritto molto bene ma è poi realizzato in modo piuttosto piatto.

Riunione di famiglia

di Thomas Vinterberg
(En mand kommer hjem)
Danimarca-Svezia, 2007
Con: Thomas Bo Larsen
 (Il cantante), Oliver Møller-Knauer
 (Sebastian), Karen-Lise Mynster
 (la mamma), Helene Reingaard Neumann
 (Claudia), Ronja Mannov Olesen
(Maria)
Trailer del film

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Un borgo danese festeggia i suoi 750 anni di esistenza e organizza una cena di gala in onore del famoso cantante lirico suo concittadino. In questa occasione Sebastian, uno degli addetti alla cucina, scopre di essere l’ignoto figlio del celebre personaggio, ritrova un suo vecchio amore, litiga con la fidanzata, guarisce dalla balbuzie, tradisce e viene tradito, da cameriere si trasforma in invitato…

Il film arriva in Italia due anni dopo la presentazione al Festival di Roma e conferma il grande talento mostrato da Vinterberg con Festen (1999). Il sottotitolo afferma che Riunione di famiglia rappresenta “il lato comico” di quell’opera. In effetti, ancora una volta tutto ruota intorno alla figura del padre, alla sua assenza, alla sua violenza. Non a caso l’unica aria d’opera a essere eseguita è il «Di Provenza il mare e il suol…» con cui “il genitore” di Alfredo Germont canta tutto il proprio egoismo.
Lieve ma sempre graffiante verso le menzogne della famiglia -verso la menzogna che la famiglia è- il film tocca il suo culmine nella scena dell’aggressione di Sebastian contro il padre a tavola, ha una splendida fotografia che circonda le vicende di un’aura favolistica, trova nelle musiche la vera voce narrante, sa alternare nel montaggio i diversi e complessi sentimenti che lo intessono.


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