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Il sacrificio della Grecia

Grecia / Europa
Aldous, 10 febbraio 2024
Pagine 1-2

L’articolo analizza le dinamiche di dissoluzione della cultura e della politica europee come emergono dall’Unione Europea, dall’Euro e dalla Nato. L’esempio più chiaro e drammatico delle conseguenze delle decisioni prese nell’ambito di tali strutture politiche, economiche e militari è il sacrificio della nazione e del popolo greco. Un sacrificio sull’altare dei mercati e della finanza che è la più emblematica e tragica conferma della rinuncia dell’Europa alla propria identità e alle libertà dalle quali è nata.

Risplendono estranei

Le società umane sono per loro natura tiranniche. E questo a causa di vari fattori, tra i quali: la struttura gregaria della specie; la paura come condizione di sopravvivenza; la stanzialità che favorisce la perpetuazione dei privilegi; il piacere profondo che nasce dal controllo della volontà altrui; la capacità di elaborazione e giustificazione ideologica delle ragioni e delle modalità del dominio. La libertà è dunque qualcosa di innaturale, infrequente, costruito, voluto e sempre da difendere nei confronti della legge d’inerzia dell’autorità e della servitù volontaria.
Anche per questo sono discutibili i tentativi di recenti correnti storiografiche di ridimensionare la libertà degli antichi Greci. Nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente antichi e anche nelle società contemporanee queste libertà rimangono delle eccezioni da conoscere, apprezzare e difendere. Non vanno infatti dimenticati almeno due elementi di tutta evidenza e di notevole gravità: il totalitarismo è un fenomeno del XX secolo e non del mondo antico; la capacità che i Governi contemporanei possiedono di controllare ogni istante della vita dei cittadini e di influenzarne pensieri, parole e opere, è incomparabile con quella di qualunque altra fase conosciuta della storia umana. E questo anche per ragioni semplicemente tecniche.
La libertà degli Elleni è confermata anche dal tomo che chiude la splendida opera curata da Salvatore Settis, il settimo complessivo dei quattro volumi che compongono I Greci.
Libertà nei confronti degli dèi, prima di tutto. I Greci arrivarono a concepire l’ἱλαροτραγῳδία, l’ilarotragedia, una sistematica e pesante presa in giro dei miti; arrivarono ad accusare esplicitamente gli dèi di ingiustizia nella concezione e conduzione delle cose umane; arrivarono a dubitare della loro stessa esistenza o li immaginarono del tutto disinteressati alle vicende della nostra specie. Qualcosa di assai diverso e lontano dai dispositivi concettuali dei successivi monoteismi.
Libertà nei confronti degli umani, con l’esplicita teorizzazione e la frequente messa in atto del tirannicidio, come testimonia – tra l’altro – la legge di Eucrate del 337/336 a.e.v.: «Se qualcuno si pone contro il popolo con la prospettiva di una tirannide o partecipa all’affermazione di una tirannide o abbatte il popolo di Atene o la democrazia in Atene, chiunque uccida chi fa qualcuna di queste cose, sarà senza colpa»1.
Libertà finanziaria, difesa anche con uno degli elementi senza i quali una comunità politica gode di una libertà solo apparente, l’autonomia monetaria: «La moneta come emblema della polis, segno tangibile della sua autonomia politica (che si esprime nell’apertura della zecca, nel diritto di battere moneta) e del sentimento civico connesso allo sviluppo della polis stessa nel VI secolo a. C.» (Federica Missere Fontana, p. 1034). Libertà alla quale hanno irresponsabilmente rinunciato gli Stati europei, con il risultato di sottomettersi all’economia dello Stato più forte, che attualmente è la Germania. L’euro, infatti, non è altro che un marco mascherato, come è inevitabile che sia, dato che l’elemento ultimo di un processo di unificazione – la moneta collettiva – è stato invece realizzato quasi per primo.
Libertà sessuale, con la pratica di costumi successivamente ritenuti del tutto immorali, quali la pederastia che «rendeva i giovani emuli delle virtù dei loro amanti più maturi e questi, a loro volta, erano responsabili dell’educazione dei loro ἐρώμενοι fino a quando non diventavano adulti» e la cui manifestazione sessuale non era per lo più la sodomia ma «la copulazione intercrurale, ossia tra le cosce» (Enrica Fontani, p. 957).
Libertà dall’ossessione del lavoro, ritenuto un elemento di servitù; e basta osservare con quale stato d’animo milioni di persone si recano oggi al lavoro per ammettere che i Greci non si sbagliavano di molto.
Libertà dalla pervasività della sfera pubblica, con la difesa di una sfera personale di vita ben esemplificata dall’«αὐλή, spazio di mediazione fra la strada cittadina e le stanze della casa, fra l’esterno e l’interno» (Alessandra Tempesta, 1126 e 1149), come ancora si può vedere a Erice e in altre località del Mediterraneo.
Libertà dalle illusioni sulla vita e sulla morte, testimoniata dall’intera loro cultura: teologia, letteratura,  arte, filosofia, drammaturgia. Dioniso e Ade sono una sola divinità (lo scrive Eraclito) e anche per questo la festa e i riti funerari sono al centro della società ellenica. Se «tutto è pieno di segni, ed è sapiente chi da una cosa ne conosce un’altra» (Plotino, Enneadi, II, 3, 7), il monumento funerario è σῆμα, è segno per eccellenza, e questo «già in Omero e nelle prime iscrizioni funerarie» (Claudio Franzoni, p. 1263).

L’ultimo elemento indicato qui sopra, la drammaturgia, è insieme alla filosofia il più vivo oggi tra quelli inventati e trasmessi dai Greci. E tuttavia nelle nostre rappresentazioni delle tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide perdiamo molti elementi essenziali del teatro greco, «prima di tutto la dimensione religiosa: gli spettacoli ad Atene non si svolgevano in qualunque parte dell’anno, ma solo durante le feste in onore di Dioniso, e anzi sotto il suo sguardo, se è vero che una sua statua era portata, prima che iniziassero gli spettacoli, fin dentro il teatro» (Franzoni, p. 791) e  poi anche la dimensione civica e la dimensione agonistica.
Se «i Greci risplendono più che mai»2, è anche vero che i Greci ci sono estranei più che mai. E anche per tale ragione rappresentano un antidoto ai limiti del presente, costituiscono ancora una garanzia e una fonte della nostra libertà.


Note

1. I Greci. Storia Cultura Arte Società, a cura di S. Settis, Volume IV/2 Atlante 2, a cura di C. Franzoni, Einaudi 2002, p. 1023. Le citazioni successive saranno indicate con il nome dell’autore e il numero di pagina.
2. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884, in «Opere», Adelphi 1976, VII/2, 26[43], p. 144.

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Con questo testo si chiude l’analisi de I Greci. Storia Cultura Arte Società.
I precedenti contributi si trovano qui:

vol. I Noi e i Greci

Vol. II/1 Una storia greca. Formazione (fino al VI a.C.) [manca 🙁 ]

Vol. II/2 Una storia greca. Definizione (VI – IV secolo)

vol. II/3 Una storia greca. Trasformazioni (IV secolo a.C. – II secolo d.C)

vol. III I Greci oltre la Grecia

Vol. IV/1 Atlante 1

«Lettera aperta agli amici sonnambuli»

Così si intitola il testo che Marino Badiale e Fabrizio Tringali hanno pubblicato sul loro sito lo scorso 18 luglio. Ne condivido contenuti e intenzioni. E dunque lo riporto qui per intero. Spero che questa Lettera contribuisca a svegliare quanti si credono ancora ‘di sinistra’ dal sonno dell’Euro. Sonno che diventa sempre più un incubo per la società europea e per i suoi popoli. L’Europa progettata alla fine della Seconda guerra mondiale si è trasformata in una prigione della quale la troika finanziaria tiene le chiavi, con l’obiettivo di non permettere a nessuno -cittadini, politici, intellettuali- di pensare a un Continente unito dall’identità culturale e non da quella bancaria. Identità nella Differenza che l’Europa è sempre stata.
L’Euro è una moneta-garrota, la quale sta strangolando lentamente e ferocemente le economie. Dall’Euro bisogna uscire -anche a costo di sacrifici- per le ragioni delineate con sobria chiarezza da questo testo.

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È evidente a tutti che la fine drammatica dell’esperienza del governo Syriza è uno spartiacque. Essa infatti rappresenta la verifica concreta, l’experimentum crucis che decide se una strategia politica sia valida oppure no. Non è difficile, se si ha onestà intellettuale, trarne le necessarie conseguenze. Proviamo a farlo in questa lettera aperta. Gli “amici sonnambuli” ai quali è indirizzata sono le tante persone del mondo “antisistemico” che in questi anni hanno protestato contro le politiche autoritarie e di austerità dei ceti dominanti, rifiutando però di porre la questione politica dell’uscita dell’Italia dal sistema euro/UE. La proposta dell’uscita veniva tacciata in questi ambienti di “nazionalismo”, e contro di essa veniva evocata la necessità della lotta unitaria dei ceti popolari europei.
Speriamo che la triste vicenda greca serva almeno a favorire un’ampia presa di coscienza su quali siano i nodi politici reali da affrontare in questo momento storico, se non si vuole soccombere.
Cerchiamo di riassumere i punti fondamentali della questione.

1. Il sistema euro/UE è irriformabile.

La strategia di Tsipras era quella di lottare, all’interno del sistema euro/UE, per strappare un compromesso avanzato, che permettesse al suo governo di porre fine alle politiche di austerità. Questa strategia è stata completamente sconfitta, tanto da essere accantonata dal governo greco ben prima dell’indizione del referendum, il quale è stato convocato solo per ottenere dalle istituzioni europee una qualche disponibilità alla ristrutturazione del debito.

Non ha alcun senso, quindi, pensare di riproporre una simile strategia, perché non è possibile ottenere alcun allentamento dell’austerità all’interno del sistema dell’euro/UE.

Le ragioni sono molte e ne abbiamo scritto molte volte. Ci limitiamo qui a sottolineare il fatto che sarebbe estremamente ingenuo pensare che sia impossibile cambiare le politiche europee solo perché le forze di sinistra non hanno abbastanza potere. E che, quindi, una vittoria delle sinistre in paesi forti come la Germania consentirebbe di rendere possibile ciò che oggi non si riesce a fare. Per smentire questa tesi è sufficiente vedere quale è stato, in queste settimane, l’atteggiamento della SPD tedesca, così come quello di Martin Schultz.

Così come non esiste possibilità che le oligarchie europee cambino le loro politiche, allo stesso modo è impensabile che esse possano essere messe in discussione tramite lotte popolari europee, come continuano a ripetere i sonnambuli, che per continuare a sognare “l’Europa dei popoli” devono necessariamente tenere gli occhi chiusi davanti alla realtà.

Anche su questo, infatti, le recenti vicende greche hanno dato una risposto molto netta. Veniamo così al secondo punto.

2. Non c’è nessuna solidarietà fra i popoli europei.

Nella sua lotta disperata, Atene è rimasta sola. Non c’è stata negli altri paesi europei nessuna iniziativa di solidarietà con la Grecia che sia stata significativa, capace di incidere. Possiamo invece facilmente immaginare cosa sarebbe successo se i popoli dei paesi creditori avessero potuto esprimersi sulle condizioni da imporre alla Grecia.

Aspettarsi che i popoli europei, che nel corso di questa lunghissima crisi non hanno finora mai manifestato una capacità di azione comune, possano camminare insieme nel prossimo futuro, significa fare una irresponsabile scommessa sulla pelle dei popoli stessi.

Al contrario, grazie al sistema euro/UE, i ceti dominanti europei sono più uniti e coordinati di prima (pur nei loro ineliminabili conflitti reciproci). Cosicché essi riescono a concentrare una enorme “potenza di fuoco” (UE, BCE, FMI) contro il popolo del paese che di volta in volta è bersaglio (la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Italia etc..) mentre quest’ultimo è solo, impotente.

Scegliere, come dicono i sonnambuli, il piano europeo come il piano della lotta, è un vero suicidio, perché su quel piano i popoli sono divisi e resteranno tali, mentre le oligarchie possono facilmente unire le forze. È soprattutto per questo che il progetto di un’Europa federale è da respingere, prima che per la sua difficoltà di realizzazione: perché se anche venisse realizzato, sarebbe non un sogno ma un incubo, l’incubo del dominio pieno delle oligarchie unificate su popoli divisi, deboli, costretti a cedere ai ricatti, come hanno dovuto cedere i greci.

Il piano della lotta deve quindi essere necessariamente quello nazionale. Questo non esclude affatto alleanze con le forze antisistemiche di altri paesi. Ma noi dobbiamo iniziare la nostra lotta in Italia, parlando al popolo italiano. Se e quando negli altri paesi si svilupperanno lotte analoghe, si cercherà di costruire collegamenti con esse.

3. L’inevitabile uscita dall’euro e dalla UE.

Nelle interviste rilasciate dopo il suo abbandono del governo, Varoufakis ha rivelato che una volta compreso che la strategia del governo non avrebbe condotto a nulla, aveva cominciato a progettare l’uscita dall’euro. Questo ci rivela alcune cose fondamentali.

La più importante è che l’uscita dall’euro sta nella logica della cose, se davvero si vuole lottare contro le oligarchie e il sistema euro/UE. Varoufakis aveva sempre dichiarato la sua opposizione al Grexit, ma, alla fine, la forza delle cose lo ha portato a porla come opzione. La realtà vince. Dalla posizione di governo, il ministro delle finanze greco ha visto che se si esclude a priori l’uscita dall’euro, ci si consegna mani e piedi alle oligarchie contro cui si combatte. La posizione di Tsipras, che si può riassumere con la frase “negoziamo, ma sia chiaro che noi non usciremo dall’euro” ha reso facilissimo alle istituzioni imporre qualunque cosa, sotto la minaccia, appunto, della cacciata dall’eurozona.

E’ chiaro quindi che se si vuole seriamente lottare contro le oligarchie e si decide di farlo provando a negoziare con esse, bisogna almeno avere pronto il piano B dell’uscita dall’euro. Ma questa considerazione non è senza conseguenze. Infatti l’uscita dall’euro non può essere un segreto, una specie di inganno: se ci si presenta alle elezioni pensando ad essa come ad una possibilità, gli elettori devono essere informati. Questo non per una astratta “moralità democratica”, di cui peraltro non neghiamo il valore, ma perché l’uscita dall’euro (e dalla UE), come abbiamo detto molte volte, non è la soluzione di tutti i problemi, è “solo” la “condicio sine qua non” per la riapertura della possibilità di una vera alternativa alle politiche attuali.

L’abbandono del mostro europeo comporterà prezzi da pagare. Decidere chi li paga, e come, è politica. Occorrerà decidere cosa fare della riacquistata libertà, verso quali obiettivi indirizzare la politica economica. E su questo si scontreranno le diverse forze politiche.

L’uscita dall’euro e dalla UE significa cioè l’inizio di una nuova fase di lotta politica. Le forze antisistemiche non avranno altra base cui poggiarsi che le masse popolari. Ma tali masse devono essere preparate, devono sapere cosa le aspetta. Devono sapere, se votano per forze antisistemiche, che il loro governo prevede l’uscita dall’euro e dalla UE, almeno come opzione B. Se non c’è questa coscienza, l’eventuale uscita potrebbe rappresentare un disastro, perché potrebbe addirittura essere vissuta come sconfitta o tradimento.

Queste considerazioni, che emergono con chiarezza dalla vicenda greca, ci confermano quello che in questi anni abbiamo sempre ripetuto: l’uscita dall’euro e dalla UE è una componente necessaria nel programma politico di una forza realmente antisistemica.

Un lessico economico

Al Lessico già pubblicato aggiungo alcune voci di carattere economico-finanziario, dunque assai importanti.

Banche e media
Il sociologo Luciano Gallino ha scritto un libro dal significativo titolo Il colpo di stato di banche e governi, (Einaudi 2013). Recensendolo, Marco De Troia scrive che «si rimane sconcertati nel constatare come giornalmente i media -quasi tutti in mano a gruppi finanziari- glorifichino le sorti progressive del sistema liberista, che, oltre ad aver accresciuto la povertà, ha sviluppato al suo interno un ceto finanziario che opera in modo delinquenziale procurando danni letali alle attività produttive» Tutte le più importanti vicende politico amministrative italiane degli ultimi anni lo confermano, compreso quanto è accaduto nella capitale, gestita per anni da gruppi mafio-fascisti, con la complicità del Partito Democratico.

Dollaro
«In occasione dell’incontro al vertice di Fortaleza, il 15 e il 16 luglio scorsi, il gruppo dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, America Latina e Sudafrica, ovvero il 42,6% della popolazione mondiale) ha deciso la creazione di una Banca  di sviluppo di un Fondo di stabilizzazione delle risorse monetarie che svolgeranno le stesse funzioni della Banca mondiale e del Fmi, due istituzioni largamente dominate dagli Stati Uniti sin dalla loro creazione. […] Dopo un’egemonia del dollaro che è durata settant’anni (esattamente come l’Unione Sovietica), si tratta di un avvenimento storico di primaria importanza, che autorizza a paragonare la caduta del ‘muro del dollaro’ a quella del muro di Berlino. C’è da scommettere che, ciononostante, passerà inosservato agli occhi di coloro che si interessano esclusivamente degli aneddoti della politica politicante…»

Euro (di Éric Maulin)
«La zona euro non è una zona monetaria ottimale, ossia una zona geografica capace di condividere la stessa moneta. […] La zona euro è infatti una zona economicamente eterogenea, la cui eterogeneità è rafforzata dall’attuale funzionamento dell’euro e non è compensata da trasferimenti fiscali tra Stati che solo una federazione potente potrebbe applicare. Le soluzioni proposte alla crisi dell’euro sono numerose e varie manifestano impotenza e incertezza. Sono state proposte, alle rinfusa, l’uscita dall’euro, la creazione di due zone euro per il Nord e per il Sud, il ritorno alle monete nazionali, l’uscita dalla zona euro della Germania (lo Stato più forte), l’uscita della Grecia e del Portogallo (gli Stati più deboli), la creazione di una comunità politica dell’euro, il ricorso al federalismo. Quasi tutte le soluzioni implicano il ritorno al principio della sovranità monetaria, oggi neutralizzato nel quadro delle istituzioni esistenti. Ma questo ritorno alla sovranità monetaria può avvenire in due modi diametralmente opposti, il ritorno agli Stati o la creazione di una sovranità monetaria europea. In entrambi i casi, esse implicano una rottura con l’ordoliberalismo fondatore»

TTIP – Transatlantic Trade and Investment Partnership (Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti)
Il progetto di abbattimento di qualunque protezione dell’economia europea a favore di quella statunitense è stato condotto a lungo in forme riservate sino al silenzio. Soltanto da poco tempo i media ne parlano e lo fanno per lo più in termini tali da costituire un esempio preclaro di menzogna politica planetaria. Alain de Benoist osserva infatti:
«Seguendo un rituale ben rodato si assicura che l’accordo profitterà a tutti, che avrà un effetto favorevole sull’occupazione, eccetera. Rapportate all’orizzonte 2027, che è quello che si è preso in considerazione, promesse di questo tipo sono in realtà prive di senso. Nel 1988 la Commissione europea aveva già affermato che la messa in opera del grande mercato europeo, prevista per il 1992, avrebbe creato fra i 2 e i 5 milioni di posti di lavoro. Stiamo ancora spettandoli. Quanto agli effetti del mercato transatlantico, gli analisti più ottimisti parlano di alcuni decimi di punto del Pil (fra lo 0,27% e lo 0,48%), o ancora di un ‘surplus di ricchezza’ di 3 centesimi a testa al giorno a partire dal 2029! […] I cittadini non sono stati minimamente informati -non così, invece, i ‘decisori’ appartenenti ai grandi gruppi privati, alle multinazionali e ai vari gruppi di pressione, che sono invece regolarmente coinvolti nelle discussioni. Le multinazionali sono infatti fin dall’inizio nel cuore dei negoziati. […] Per liberalizzare l’accesso ai mercati, si prevede che l’Unione europea e gli Stati Uniti facciano ‘convergere’ le loro regolamentazioni in tutti i settori. Il problema è che gli Stati Uniti si collocano oggi al di fuori del quadro del diritto internazionale in materia ecologica, sociale e culturale, rifiutano di applicare le principali convenzioni sul lavoro, il protocollo filosofia Kyoto sul riscaldamento climatico, la convenzione sulla biodiversità, le convenzioni dell’Unesco sulla diversità culturale e così via. […] I gruppi farmaceutici potrebbero bloccare la distribuzione dei generici. I servizi d’urgenza potrebbero essere costretti a privatizzarsi. […] Gli ospedali, le scuole, le università e la previdenza sociale sono naturalmente anch’essi presi di mira. […] Ma che cosa può significare un accordo di libero scambio i cui termini possono essere costantemente falsati dalla sottovalutazione del dollaro rispetto all’euro? […] La frase [di Obama] è abbastanza azzeccata. È proprio una Nato economica, posta come il suo modello  militare sotto tutela americana, quella che la Ttip cerca di creare, con l’obiettivo di diluire la costruzione europea in un vasto insieme inter-oceanico senza alcun fondamento geopolitico, di fare dell’Europa il cortile posteriore degli Stati Uniti, consacrando così l’Europa-mercato a detrimento dell’Europa-potenza» (2-5).
Su quest’ultimo argomento -assolutamente decisivo e proprio per questo in gran parte ignorato dall’informazione mainstream– segnalo anche un testo dell’economista Paolo Brera, segnalatomi dall’amico Dario Generali e leggibile in pdf.

[Fonte: Diorama letterario 320 e 321, anno XXXV, numeri 3-5/ e 6/8 2014]

Ultrafinanza/Ultraviolenza

Per salvare le banche dalla crisi che le loro stesse operazioni finanziarie hanno prodotto nel 2008 e nel 2009, gli Stati si sono massicciamente indebitati. Il che vuol dire semplicemente che hanno impoverito le persone -i loro cittadini- a tutto vantaggio di un potere internazionale fuori controllo: «Ciò a cui stiamo assistendo è dunque proprio il grande ritorno sulla scena del sistema dell’usura. Quello che Keynes chiamava “un regime di creditori” corrisponde alla definizione moderna dell’usura. I modi di procedere usurai li ritroviamo nel modo in cui i mercati finanziari e le banche possono far man bassa degli attivi reali degli Stati indebitati, impadronendosi dei loro averi a titolo di interessi su un debito il cui nucleo principale è costituito da una montagna di denaro virtuale che non potrà mai essere rimborsato. Azionisti e creditori sono gli Shylock della nostra epoca» (Alain de Benoist,  Diorama letterario, n. 306, p. 6).
Le posizioni avverse all’ultracapitalismo che ci sta portando nel baratro sono soprattutto tre: l’altermondialismo di Hardt e Negri i quali, sul modello del Manifesto marxiano, giudicano in ogni caso positiva la nascita di un Impero mondializzato rispetto alla permanenza degli Stati nazionali; l’arcipelago politico che spera nell’avvento di un nuovo antagonista di massa capace di opporsi al capitalismo finanziario con azioni di piazza e movimenti di varia natura (Indignados, ad esempio); «un terzo gruppo di posizioni, all’interno del quale si possono situare quelle di Alain de Benoist, fa capo a quanti ritengono, invece, che solo costruendo un nuovo paradigma, un diverso nomos della Terra, una differente modalità di appropriazione, produzione e distribuzione che ponga al centro i concetti di limite e di bene comune, sarà possibile trovare il bandolo della matassa. Vi possiamo inserire, a  titolo puramente esemplificativo, la corrente della decrescita, l’ecologismo più coerente e consapevole, il pensiero meridiano di Franco Cassano, l’alternativa mediterranea propugnata da Danilo Zolo, il Régis Debray che tesse l’elogio delle frontiere, le analisi di François Flahault sul prometeismo occidentale» (Marco Tarchi,  ivi, p. 2).
Le ragioni di quanto sta accadendo sono molteplici e profonde. Sono radicate nelle decisioni assunte dai governi liberisti europei ancor prima della nascita dell’euro e soprattutto nella insensata norma per la quale la BCE può finanziare le banche ma non direttamente gli Stati. In questo modo accade che «le banche hanno prestato agli Stati, ad un tasso di interesse variabile, somme che a loro volta hanno preso in prestito per quasi niente» (A. de Benoist, ivi, p. 11).
Un dialogo apparso sul Manifesto del 1.3.2012 lo conferma: «cinziagubbini: Mmmm…ma il tasso dell’1%? Non è un po’ scandaloso? Leggo che le banche hanno comunque intenzione di tagliare i prestiti…Con i precedenti finanziamenti che ci hanno fatto? Hanno finanziato il sistema produttivo? Oppure ci hanno comprato titoli di Stato che rendono più dell’1% e quindi ci hanno guadagnato?
joseph halevi: La vergogna assoluta della situazione europea, ma anche americana, è che alle banche si dà tutto senza contropartita».
Ormai «la Borsa è sempre più simile a un casinò e la banche hanno abbandonato, di fatto, la loro funzione di raccogliere risparmio e fornire risorse in prestito a famiglie e imprese, per dedicarsi ad attività finanziarie» (Francesco Indovina, Alfalibri, n. 8, p. 14). Gli Stati europei regalano quindi il danaro dei cittadini alla speculazione finanziaria. Un autentico orrore, al quale hanno partecipato attivamente «gli Stati Uniti d’America, che da tempo temono di vedere l’egemonia del dollaro minacciata dalla nascita di una nuova moneta di riserva», una moneta nata di per sé a rischio avendo «artificiosamente legato una moneta unica ad economie divergenti da ogni punto di vista» (A. de Benoist, DL 306, p. 7). Il risultato di tutto questo è ben espresso da Nicolas Dupont-Aignan: «Volendo salvare l’euro i dirigenti ciechi stanno distruggendo l’Europa. Perché l’Europa ha senso solo se consente a ciascun popolo di prosperare più assieme agli altri che da solo isolatamente» (ibidem).
Affamare i popoli per arricchire le banche è una forma di terrorismo attuata dalle istituzioni finanziarie, con l’attiva complicità delle classi dirigenti statunitensi ed europee.  Sul numero 16 (Febbraio 2012, p. 11) di Alfabeta2, Franco Berardi Bifo così sintetizza quanto sta accadendo:

Cosa è uscito dal vertice di Bruxelles che doveva salvare l’Europa l’11 e 12 dicembre 2011? Due decisioni: la prima ha carattere formale, è una dichiarazione di sudditanza della società alla finanza. Ogni paese europeo è chiamato a inserire urgentemente l’obbligo di pareggio di bilancio nelle Costituzioni nazionali. Una misura sistematicamente restrittiva che corrisponde alla filosofia dell’austerità permanente. La seconda è la decisione di investire, attraverso un intervento della Banca Centrale Europea, un’ingente quantità di denaro pubblico nel ripianamento del debito accumulato dalle banche. Senza nessuna contropartita, senza nessun impegno, il sistema bancario europeo gode così di una regalia immensa. I governi nazionali, nel frattempo, stanno rastrellando denaro pubblico per versarlo nelle casse della classe finanziaria. Buon pro gli faccia.
La logica che guida le scelte del vertice di Bruxelles consiste nel dare continuità a un gigantesco spostamento di risorse della società verso il sistema finanziario. Quest’ultimo funziona ormai come un buco nero, un’idrovora che fa sparire il reale: il mondo civilizzato, la scuola, la sanità, il territorio, i saperi -tutto sta scomparendo, disgregandosi a vista d’occhio.
[…] La vecchia borghesia è stata sostituita da una classe deterritorializzata di predoni, il cui potere si fonda sul continuo spostamento del valore, sulla menzogna sistematica, e la simulazione. La sua fortuna economica spesso si basa sulla distruzione della ricchezza altrui.
[…] I segni che un tempo erano indicatori di valore ora sono diventati atti linguistici performativi. Quando un’agenzia di rating è in grado di degradare un paese, o un’azienda, non si limita a funzionare come indicatore, ma diviene un fattore di valorizzazione o di svalutazione.
[…] Dobbiamo ragionare invece in termini di insolvenza sociale perché è l’intera società che deve rifiutarsi di riconoscere il vincolo monetario.

Vale a dire che gli Stati e la società civile dovrebbero rifiutarsi di pagare il debito contratto con gli speculatori, con gli ormai idolatrati “mercati” -con questo Moloch al quale si sacrificano le vite umane- e riappropriarsi, invece, del controllo della moneta.
Karl Marx aveva descritto con chiarezza la logica ultraviolenta e accentratrice del capitale finanziario:

Man spreche noch von Zentralisation! Das Kreditsystem, das seinen Mittelpunkt hat in den angeblichen Nationalbanken und den großen Geldverleihern und Wucherern um sie herum, ist eine enorme Zentralisation und gibt dieser Parasitenklasse eine fabelhafte Macht, nicht nur die industriellen Kapitalisten periodisch zu dezimieren, sondern auf die gefährlichste Weise in die wirkliche Produktion einzugreifen – und diese Bande weiß nichts von der Produktion und hat nichts mit ihr zu tun. Die Akte von 1844 und 1845 sind Beweise der wachsenden Macht dieser Banditen, an die sich die Finanziers und stock-jobbers anschließen.

Che cosa vuol dire accentramento! Il sistema creditizio, che ha il suo centro nelle pretese banche nazionali e nei grandi prestatori di denaro e negli usurai che orbitano loro intorno, costituisce un enorme accentramento e regala a questa classe di parassiti una forza favolosa, capace non solo di decimare periodicamente i capitalisti industriali, ma anche di intervenire nel modo più pericoloso nella produzione reale -e questa banda niente sa della produzione e nulla ha a che fare con essa. Le leggi del 1844 e del 1845 sono una prova della forza crescente di questi banditi, ai quali si uniscono i finanzieri e gli stock-jobbers [speculatori di Borsa].
Il Capitale, libro III, sezione V, cap. 33: «Das Umlaufsmittel unter dem Kreditsystem» (Il mezzo di circolazione nel sistema creditizio).

 

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