Skip to content


Guerra di religione

È uno spettacolo. Banchieri di Dio –Ettore Gotti Tedeschi, membro dell’Opus Dei- cacciati in malo modo. Improbabili “maggiordomi del Papa” dati in pasto alla pubblica opinione per circoscrivere la faida e insieme assestare un altro colpo al Pastore tedesco. Il salesiano cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, la massima autorità del Vaticano dopo il Sommo Pontefice, ormai accerchiato e proprio per questo sempre più feroce. Perché stupirsi? La Chiesa papista funziona da millenni in questo modo. Basta conoscere un poco la storia dell’Europa per rendersene conto. Le novità, semmai, sono due: la più significativa è che le massime autorità vaticane stanno perdendo la testa e non rispettano più le forme, il silenzio, quel meraviglioso «Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire» (I Promessi sposi, cap. XIX) che il cattolico Manzoni ha descritto meglio di ogni altro; la seconda è l’incapacità di far fronte a un sistema mediatico attentissimo ormai a ogni sospiro. Si tratta, come si vede, di due novità convergenti. Ma usciranno anche da questa burrasca. Sono troppo antichi e troppo esperti. Ne hanno viste di peggio.

La domanda inammissibile, invece, è quella di chi si chiede -preoccupato, triste o scandalizzato- “ma che cosa c’entra tutto questo con il Vangelo?”. C’entra. E molto. «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano» (Lc., 6, 27-28). Quando si propongono un’antropologia e un’etica impossibili e dunque sbagliate, come quelle riassunte da questo brano evangelico, la conseguenza non può che essere una: vista l’impraticabilità di una simile utopia antinaturalistica, ci si sente di fatto autorizzati ai peggiori comportamenti poiché rispetto a tali angeliche sublimità siamo in fondo tutti dei poveri peccatori e dunque giustificati a peccare, tanto più se lo facciamo a difesa e in nome della Chiesa di Dio.
Ma la responsabilità maggiore non è dei monsignori, dei cardinali, dei pontefici romani. È dei cattolici. È dei fedeli che continuano a sostenere la potenza politica e ideologica della Chiesa papista e in questo modo si fanno complici di tutte le sue nefandezze. La responsabilità è della pigrizia, del pregiudizio, della superficialità, della fede acritica, dell’obbedienza di milioni di laici. La responsabilità è dei cristiani e della loro ingenuità. Perché l’ingenuità è un’arma che le forze più ciniche e determinate sanno volgere sempre a proprio vantaggio. In questo caso a vantaggio delle bande vaticane impegnate in una guerra di religione.

Mente & cervello 89 – Maggio 2012

Partiamo da una questione che ho più volte affrontato: il rapporto tra determinismo neuronale e libero arbitrio. Se ne parla in una delle recensioni di questo numero di Mente & cervello. Sempre più, infatti, diventa chiara l’importanza dei fattori cerebrali che rendono inevitabili dei comportamenti che di solito riteniamo liberi. Quando tali comportamenti sono criminali si pone il problema della punizione dei colpevoli di fronte alla loro “incapacità di intendere e di volere”. È così pervicace la psicologia della colpa da nascondere il fatto che la punizione dovrebbe essere relativa al danno che si produce -che è un fatto più oggettivo- e non, appunto, alla colpa che rappresenta invece un dato più ideologico, frutto di una specifica e relativa visione del mondo. Edipo era naturalmente innocente dal punto di vista della colpa -ignorava che Giocasta fosse sua madre e Laio fosse suo padre- ma viene giustamente punito per il danno arrecato alla città. Se non si abbandona il paradigma ebraico-cristiano della colpa il problema della punibilità giuridica diventerà sempre più spinoso e, di fatto, irrisolvibile.
Anche sulle questioni cosiddette “morali” dovremmo imparare da altre specie. È quanto suggeriscono i risultati della ricerca del primatologo Frans de Waal, il quale sostiene giustamente che non è corretto dire di una persona che si comporta male che ‘è un animale’, «e che dovremmo usare questa espressione per descrivere qualcuno che si comporta bene» (Intervista di D. Ovadia, p. 58). In generale questo etologo ha dimostrato che altre specie -quali gli scimpanzé, ma non solo- sono capaci di comportamenti pianificati e intelligenti, che nutrono un assai spiccato senso della giustizia distributiva, che provano «le stesse emozioni che proviamo noi, almeno quelli più vicini a noi. Ma anche i ratti, quando si stimolano con elettrodi le aree cerebrali che negli esseri umani sono attive in condizioni di paura, mostrano espressioni facciali congruenti con questo sentimento. I neuroscienziati non hanno alcun problema ad ammettere questo dato, mentre per alcuni psicologi comportamentisti è ancora un tabù. Per loro le emozioni animali non esistono. Eppure sappiamo che le femmine di babbuino emettono gemiti strazianti per settimane dopo la perdita della prole, e che nelle feci delle scimmie che hanno perso un congiunto si trovano elevati livelli di cortisolo, l’ormone dello stress» (60).

leggi di più

Nietzsche

«Diventa necessario! Diventa limpido! Diventa bello! Diventa sano!» (Frammenti postumi 1882-1884. Parte I, 5[1/198]).
Diventa necessario come una ruota che scende sul piano inclinato del tempo ma che proprio per questo –nel suo movimento scandito e inesorabile- si fa essa stessa temporalità consapevole, vivente e vissuta.
Diventa limpido come una mente che ha fatto di sé il riflesso creativo del mondo abbandonando per sempre la pretesa di esserne padrona, di possedere senza tremore se stessa, i sentimenti, gli altri umani, la natura. L’alterità, infatti, è sempre in fuga, sempre pronta ad allontanarsi dalle nostre volontà di dominio e controllo sull’accadere, sulle altrui passioni, sui corpi e le cose che pure vorremmo continuamente con noi, che vorremmo diventassero noi.
Diventa bello come tutto ciò che ha vinto la dismisura, ha rinunciato allo squilibrio dell’inutile ferocia, della meschinità, dell’invidia, del ‘così fan tutti’; che sorride a se stesso perché è all’intero che sorride.
Diventa sano perché guarito dalla contrapposizione tra io e mondo, tra soggetto e oggetto, tra umanità e natura.
Un corpomente necessario, limpido, bello, sano si immerge nella vita senza più giudicarla, senza più negarla ma anche senza più volerla, come una goccia che scorre nel fiume del tempo che siamo.
Questo, forse, significa una frase che è un magnifico vortice concettuale: «Io sono troppo pieno e così dimentico me stesso, tutte le cose sono dentro di me e non vi è null’altro che tutte le cose. Dove sono finito io?» (Così parlò Zarathustra, variante al § 4 della Prefazione). L’io è finito in quel mondo trasfigurato e in quei cieli esultanti nei quali Nietzsche colse infine la sua pienezza.
Isabelle von Ungern-Sternberg disse di lui che era un «Creso del pensiero che aveva dei mondi da regalare». Da parte sua, quest’uomo sapeva di aver versato una «goccia di balsamo […] e questo non sarà dimenticato». No, non lo è stato.

Mazzarella. Vita politica valori

Recensione a:
Eugenio Mazzarella
Vita politica valori. Sensibilità individuali e sentire comunitario
in Giornale di Metafisica
n. 33, 1/2 2011 – Autunno 2011
Pagine 317-319

– Pdf della recensione

Il volume analizza in modo rigoroso il nesso tra etica, storia e natura umana mediante la discussione di alcune questioni tanto essenziali nel tessuto della nostra quotidianità quanto fragili nel loro statuto teorico: la fecondazione assistita, le condizioni terminali di vita, le Dichiarazioni anticipate di trattamento, la regolamentazione delle coppie di fatto e in particolare delle coppie omosessuali stabili, il problema dell’identità e dell’integrazione nei rapporti tra religioni e democrazia. Il libro si presenta come un punto di riferimento indispensabile per il legislatore, per il filosofo e per il cittadino. I temi che il testo affronta ne escono infatti più forti nelle loro strutture profonde e più limpide nelle possibili risposte.

Consilience

L’armonia meravigliosa
Dalla biologia alla religione, la nuova unità della conoscenza
di Edward O. Wilson
(Consilience, 1998)
Trad. di Roberto Cagliero

Il titolo italiano di quest’opera cerca, senza riuscirci, di restituire la densità di contenuto di un termine dell’inglese arcaico come Consilience. Coincidenza, convergenza, unificazione; questo è il plesso semantico che il titolo originale intende evocare. Convergenza tra che cosa? Tra il sapere scientifico e quello umanistico, non due campi separati e distinti -come induce a pensare lo specialismo che va diventando una palude di discipline minori dentro le quali affonda la comprensione del mondo- ma due ramificazioni dell’unico sapere umano e naturale, da apprendere nella sua unitarietà originaria e profonda. La complessità del mondo è incomprensibile senza una visione capace di sintetizzare science e humanities. Infatti,

l’idea centrale della visione coincidente del mondo è che tutti i fenomeni tangibili, dalla nascita delle stelle al funzionamento delle istituzioni sociali, sono fondati su processi materiali in ultima analisi riconducibili alle leggi della fisica, indipendentemente dalla tortuosità e dalla durata delle sequenze (pag. 305).

Comprendere la condizione umana significa anzitutto capire i geni e la cultura. E non come ambiti e funzioni autonome ma nella loro essenziale coevoluzione. L’evoluzione del cervello e quella dei comportamenti hanno proceduto insieme per milioni di anni. La radice di molti dei pericoli che sovrastano la Terra e l’umanità risiede proprio nel fatto che da alcuni millenni -dalla Rivoluzione neolitica- l’evoluzione culturale è diventata incomparabilmente più veloce di quella genetica. Tuttavia, ancora oggi

la cultura è creata dalla mente comune e ogni mente individuale a sua volta è il prodotto del cervello umano, che è strutturato geneticamente. I geni e la cultura sono dunque collegati in modo inscindibile. Ma il collegamento è flessibile, in termini finora quasi del tutto incommensurabili. Ed è nel contempo tortuoso: i geni codificano regole epigenetiche, che sono i percorsi neurologici e gli aspetti regolari dello sviluppo cognitivo grazie ai quali la mente individuale si assembla. La mente cresce dalla nascita fino alla morte assorbendo parti della cultura esistente che trova disponibili, avvalendosi di selezioni guidate dalle regole epigenetiche ereditate dal cervello individuale (144, corsivo dell’Autore).

I concetti chiave sui quali si fonda questo tentativo di unificazione della conoscenza sono i seguenti: epigenesi, natura umana, naturalismo etico, panteismo biologico.

L’epigenesi «definisce lo sviluppo di un organismo sotto l’influsso congiunto dell’eredità e dell’ambiente» (221-222). Educazione e geni, storia e biologia, appreso e innato non sono per nulla in conflitto tra di loro proprio perché «nell’ampia zona che sta a metà tra le visioni estreme del Modello Standard delle Scienze Sociali e il determinismo genetico, le scienze sociali sono essenzialmente compatibili con quelle naturali» (216).

Homo sapiens è una specie appartenente all’ordine dei Primati, la cui identità è data dalle regole epigenetiche, dalle «regolarità ereditarie dello sviluppo mentale che spingono l’evoluzione culturale in una direzione e non in un’altra, collegando così i geni con la cultura» (188). Non c’è nulla di fatalistico in una simile visione dell’umanità. Nessun sociobiologo ha mai sostenuto che le forme specifiche di cultura, i valori di una popolazione, le sue credenze, siano dettati dai geni. Sono gli scienziati sociali, invece, ad assolutizzare una delle due dimensioni, ignorando -a volte ostentatamente- i contributi della genetica e dello studio del cervello umano, l’organo dal quale, dopotutto, nasce ogni pensiero, valore, principio di comportamento. Anche a causa di tale ignoranza, gli scienziati sociali vengono regolarmente colti di sorpresa dallo sviluppo dei fenomeni che pure studiano con assiduità, data la tipica tendenza a sopravvalutare i sistemi ideologici (credenze religiose, dottrine politiche, strutture economiche) a detrimento di concause di tipo biologico (territorialismo, disponibilità delle risorse, aggressività intraspecifica). La cultura è certo lo scarto della nostra specie rispetto a ogni altra ma anch’essa è -e altro non potrebbe essere- il prodotto più recente della storia genetica dell’umanità. All’ingenuo antropocentrismo dominante nelle scienze sociali e umane bisogna opporre il dato di fatto che «la nostra specie e il suo modo di pensare sono un prodotto, e non il fine, dell’evoluzione» (35). L’universo non è stato certo pensato a misura di una specie abitante su un piccolo pianeta alla periferia della Via Lattea. Piuttosto che crederci padroni della Terra, converrebbe -prima di tutto a noi stessi- mostrarci rispettosi della miriade di forme di vita con le quali conviviamo e da cui dipende la nostra sopravvivenza.

Sta qui la necessità di un’etica naturalistica, i cui capisaldi possono essere così sintetizzati: centralità del corpo; coesistenza di passione e razionalità; rifiuto della credenza nel libero arbitrio; altruismo e fitness. L’etica nasce dal basso del corpo e delle sue esperienze e non dall’alto di una rivelazione. Certo, aggiunge Wilson, «la fiducia nel libero arbitrio è biologicamente proficua. In sua mancanza la mente, imprigionata nel fatalismo, rallenterebbe e finirebbe per deteriorarsi» (137).

L’ultima -ma decisiva- espressione della consilience è ciò che potremmo definire panteismo biologico. Wilson riconosce la profondità del bisogno del sacro nell’uomo e individua nelle realtà fisiche scoperte dalla scienza un fascino superiore a quello delle cosmologie religiose.

Qual è lo scopo finale di questa proposta scientifica? Contribuire, ancora una volta, a capire chi e cosa siamo e -da qui- comprendere una serie di gravi questioni per tentare di affrontarle meglio. Il problema principale è la progressiva scomparsa della biodiversità, causata soprattutto dalle enormi esigenze materiali della specie umana: «la crescita della popolazione può essere giustamente definita il mostro della Terra» (331) e contro di essa bisogna operare con consapevolezza, convinzione e decisione, pena la scomparsa della maggior parte degli ecosistemi, delle specie viventi e, infine, della stessa umanità.
Cervello e cultura sono dunque unificati da questo libro in una prospettiva biologica che è materialistica senza però essere riduzionistica.

Vai alla barra degli strumenti