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Dracula a Milano

Dracula e il mito dei vampiri
Palazzo della Triennale – Milano
A cura di: Gianni Canova, Giulia Mafai, Margot Rauch, Italo Rota
Sino al 24 marzo 2013

Uno degli oggetti più curiosi di questa mostra è una piccola ampolla intitolata Diavolo sotto vetro. Sotto il vetro della loro comprensione gli umani vorrebbero porre il morire. Sotto il vetro della loro speranza vorrebbero mantenere la vita oltre la fine. È anche così che nascono le leggende dei non vivi e non morti, degli zombi, dei fantasmi, dei vampiri. Le origini storiche e psicologiche di tali narrazioni ne mostrano per intero la natura totalmente superstiziosa.
Il conte Vlad esistette davvero nella Transilvania del XV secolo. Fu feroce nello sterminio e -come altre famiglie del luogo- aveva nel simbolo araldico un drago, in rumeno Dracul. Ma morì anche lui e non fece più ritorno. Intorno ai cimiteri e alla loro putrefazione (quanto preferibile è la cremazione delle culture non cristiane) fiorì nelle culture contadine un catalogo di terrori. Ma la presunta crescita delle unghie e dei capelli è data dalla disidratazione della pelle e sono i rumori biologici dei cadaveri a essere interpretati come voci.
La nascita della leggenda moderna di Dracula è tutta dovuta alla letteratura e al cinema. Prima del Settecento, ad esempio, i vampiri non avevano alcun legame con i pipistrelli. Fu il naturalista Buffon a chiamare “vampiro” una nuova specie di questi mammiferi da lui scoperta. Lo scrittore irlandese Bram Stoker pubblicò nel 1897 il romanzo Dracula e da allora un esercito di vampiri abitò l’immaginario. Due delle opere cinematografiche più interessanti furono il Nosferatu gentile e timido di Herzog (1979) -chiara ripresa del capolavoro di Murnau (1922)- e il Dracula di Bram Stoker di Coppola (1992).

Al di là della storia, dell’arte e delle leggende popolari, perché? Qual è il significato di questa persistenza della vita dentro la morte in un’età così razionale come la nostra? Le risposte possono essere molte.
Karl Marx paragona il Capitale a un lavoro morto che vive del sangue del lavoro vivo e quanto più ne beve tanto più è vivo. Affermazione davvero attuale se si pensa al Capitale finanziario e alla sua natura implacabile, gelida e assassina.
La donna vamp è la sintesi della capacità femminile e in generale umana di succhiare agli altri sangue, amore, amicizia, denaro, per poi buttarli via quando più non ci servono.
La luce della ragione -opportuna metafora illuministica- dovrebbe coniugare la scienza alla pietà per i morti e per noi stessi che lo saremo. Questa luce dovrebbe accettare che la materia segua il suo corso di trasformazioni e di irreversibile entropia, dovrebbe regalarci la serenità epicurea che deriva dal sapere che dopo la fine rimane davvero e soltanto il niente. E liberarci quindi dalle paure che stanno al fondo dei racconti che la mostra milanese documenta con antichi libri e quadri, con brani dalle opere cinematografiche, con  ricostruzioni d’ambienti, con costumi e fumetti. Una mostra didascalica alla quale manca però, è il caso di dire, l’anima.

Hic et nunc

«Come certi personaggi letterari sono costitutivamente esseri di fuga –basti pensare all’Albertine della Recherche-, così l’indagine filosofica sul tempo sembra mutuare dal suo oggetto il dileguarsi nel momento stesso in cui il tempo viene nominato.
La difficoltà non è soltanto teoretica o logica o empirica. L’ostacolo è anche esistenziale. Il tempo, infatti, è per gli umani l’altro nome della morte. E qui il nodo diventa talmente complesso da consentire a Platone di definire la filosofia come una preparazione al morire e a Spinoza di affermare che a nulla il saggio pensa meno che alla morte. E anche l’esatta prospettiva epicurea –per la quale il morire ci è precluso poiché si tratta di un incontro che il vivente non può che mancare, sin quando è vivente- nasconde e rivela una difficoltà quasi costitutiva da parte del pensiero di pensare la morte, poiché si pensa sempre qualcosa e mai il niente. Perfino il noumeno è soltanto un concetto-limite e quindi pensabile al confine tra il conoscibile e l’ignoto, ma la morte? E il tempo, che la sostanzia? Si tratta di due processi diversi o non è forse il medesimo divenire che mostra se stesso nell’esserci temporale delle cose e nel loro ultimo dissolversi e scomparire? Non è certo un caso se il filosofo che nel Novecento ha fatto del tempo e dell’essere il proprio oggetto privilegiato è anche colui che meglio di ogni altro ha tematizzato la morte. Finitudine e temporalità sono due categorie o due esistenziali o due processi che formano un vincolo concettuale ed esperienziale unico. Sono la vita nel suo esserci e nell’andare. Non possiamo comprendere il morire perché e finché siamo pensiero vivo in atto e vita pensata nel tempo. Ma dal non poter comprendere la morte scaturiscono numerose difficoltà, aporie, genericità nella riflessione sul tempo. Donando agli umani l’ignoranza sul quando della loro morte, Prometeo ha reso possibile le attività e il fervore della vita di ogni giorno ma ha anche posto un ostacolo alla comprensione della natura temporale dell’umano, della sua finitezza costitutiva e quindi precedente ogni morale, ogni religione, ogni pensiero della cosa. E dunque l’affermazione aristotelica secondo la quale l’uomo è l’essere vivente che possiede in sé la percezione del tempo (De anima, III, 433 b) significa in primo luogo che l’uomo è l’essere che conosce la propria finitudine e in essa abita, esattamente come il divino abita l’altrove. L’altrove che è il sempre».
(La mente temporale, pp. 205-206)

Mente & Cervello 51 – Marzo 2009

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La memoria corporea -la più radicale e costante- si struttura e consolida nel sonno, il quale «è un processo poderosamente attivo (…) determinante per la buona qualità della nostra vita, in particolare per le attività cognitive più raffinate, come la memoria» (P.Garzia, p. 104). Dormire bene -e cioè profondamente e tra le sei e otto ore per notte- è nello stesso tempo causa ed effetto di un’esistenza equilibrata.

Misura che manca del tutto alle molteplici espressioni della follia che questo numero di M&C documenta, a volte in modo anche crudo.

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