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Storia e materia

Epilogo? – Tamas Dezsö
in Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini
anno XXVII – numero 76 – maggio 2021
pagine 20-29

Nella serie del fotografo Tamas Dezsö intitolata Notes for an Epilogue la materia è fatta di animali che si indossano, di animali con i quali si convive, di animali che si temono e che si amano, di greggi e di orsi, di stormi sempre in volo sopra le discariche. Ma soprattutto di animali che si è. La materia vegetale di boschi, di acque, di campi, di verdure, di prati resi bianchi dall’inverno o fulgenti di verde come fossero diamanti. Pur nella loro bruttura di rovine dei veleni, del veleno più letale che è la speranza tradita della storia, i resti della tracotanza umana quando vengono abbandonati tendono a somigliare sempre più all’armonia, ad avvicinarsi all’intatto silenzio dei laghi, delle chiese che dai laghi spuntano, delle conifere che attendono con la medesima pazienza il raggio della luce che le inonda, il gelo della neve che le ferma. Ciminiere, campanili, alberi, tendono sempre tutti verso il cielo, dal quale si aspetta una salvezza tanto più bramata quanto invece l’orizzonte della storia è stato feroce o indifferente. E in effetti è dall’alto che viene la salvezza, dalla materia cosmica che si condensa, diventa stelle, si raffredda in pianeti, si evolve esplodendo e lanciando la propria energia nello spaziotempo, ritornando così a essere polvere che si addensa a formare nuove stelle e le galassie che le raccolgono, si formano, si dissolvono e si riformano, per sempre. Una meraviglia, la cui unica nota stonata è la sofferenza che chiamiamo ζωή, vita, è la sofferenza che chiamiamo storia. Ma è talmente insignificante da non dovercene davvero preoccupare.

Sullo stesso numero della rivista sono usciti gli articoli di altri due studiosi di Unict. Uno di Enrico Moncado: Shooting in Sarajevo, l’altro di Enrico Palma: Suite N. 5.

Arte

È cresciuta a dismisura la bulimia da piattaforme, webinar, MSTeams, Zoom…e così via nella disincarnata processione del fantasma di conoscenza in cui il virtuale consiste.
Che cosa di più semplice dell’organizzare incontri nei quali ciascuno rimane sulla sedia della propria casa e guarda in televisione altri che parimenti stanno nel chiuso della fortezza domestica? Lo spaziotempo assume una dimensione vaga, i corpi diventano bidimensionali, la comprensione è costantemente distratta dalla miriade di oggetti che ci sono e di fatti che accadono nelle nostre case.
Rispetto a questa cancellazione della socialità, del confronto, dell’attrito che la realtà è sempre nel suo inemendabile spessore, uno dei grandi meriti dell’Associazione Studenti di Filosofia Unict consiste nel continuare a far incontrare le persone in spazi non addomesticati.
Una nuova occasione per esistere al di fuori del privato (in ogni senso) è un incontro previsto presso la Fondazione OELLE Mediterraneo Antico di Aci Castello (CT) lunedì 17.5.2021 alle 16,00.
Insieme a Carmelo Nicosia ed Enrico Moncado discuterò dell’estasi dell’arte come relazione tra evento, forma, mondo.
Tommaso d’Aquino enuncia in modo chiaro e sistematico le caratteristiche della bellezza come Integritas, Proportio/Simmetria, Claritas. Il lungo cammino postmedioevale, il cammino del Moderno, ha radicato questo splendore nella funzione collettiva e sociale, nella valenza radicale, nella struttura ontologica del fatto artistico. Ed è sempre più chiaro verso dove tutto questo va confluendo: la disseminazione dell’arte nell’intero, nell’evento-mondo.

Prima di questo incontro dedicato all’arte, Enrico Palma ci parlerà del Tractatus logico-philosophicus nel centenario della pubblicazione. L’evento si svolgerà giovedì 13.5.2021 presso il Centro Studi di Catania (via Plebiscito 9) alle 15.30. Per partecipare basta prenotarsi all’indirizzo dell’Associazione: assocstudfilunict@gmail.com.

Enrico Palma su Animalia

Enrico Palma
Animalia
in il Pequod, n. 2
novembre 2020
pagine 58-62

Con il suo consueto respiro critico Enrico Palma conduce un itinerario dentro Animalia, facendone emergere «tre fondamentali prospettive teoriche: destituire l’antropocentrismo di ogni validità epistemologica e ontologica come concezione di fondo per cui l’umano deterrebbe una supremazia di ogni genere e a tutti i livelli sul resto dell’ente e dei viventi; affermare la ricchezza e la pluralità del mondo animale nella differenza delle specie; istituire un nuovo paradigma, quello etoantropologico, in cui il confronto tra il comportamento umano e quello animale possa condurre a una riformulazione della cultura dominante in favore di una visione ecologica, egualitaria e rispettosa dell’intero sistema-mondo nel quale la pluralità delle specie prolifera».
La radice unitaria di tali prospettive sta nel fatto che «l’animalità è una delle strutture attraverso le quali la materia esplica tutta la sua potenza e creatività. Questo libro rappresenta infatti l’applicazione di una prospettiva teoretica profondamente materialistica, che rinviene nella differenza in divenire della materia e del tempo la scaturigine del reale. L’animalità è materia differenziata nel divenire di diverse strutture».

Vizzini

L’accoglienza che i siciliani riservano al mondo è colma di passione e disincanto. Essendo nati, cercano di attingere dai giorni ogni possibile pienezza, sapendo però che l’orizzonte del vivere è il morire; un Sein zum Tode declinato nei gangli stessi della civiltà contadina.
Morte che i siciliani celebrano in varie forme. Come quella nella quale un San Lorenzo dal colore ormai spento rimane in ogni caso l’unica luce che riverbera nel buio insieme al rosso delle braci. L’autore del dipinto è Filippo Paladini, un toscano che venne a lavorare e morire nell’Isola. Il quadro si trova in una chiesa fortezza, l’imponente Chiesa Madre di Vizzini, dedicata al patrono San Gregorio Magno.
È iniziato da questo edificio il percorso che l’accoglienza appassionata e disincantata di Enrico Palma e Pietro La Rocca ha reso un viaggio nel profondo della nostra storia. Abbiamo attraversato strade intitolate ad ‘Aristotile’ e ad Atene; abbiamo sostato davanti alle facciate di chiese barocche pronte a volare e di piccoli edifici religiosi immobili come scogli del mare; abbiamo sentito le parole e visto i gesti ambigui di Lola, Santuzza e compare Turiddu, che i racconti di Verga hanno reso perenni.
Giovanni VergaIl suo nome e la sua opera abitano ovunque, qui. In particolare nel Palazzo nobiliare dei Ventimiglia, diventati i Trao con i quali Mastro-Don Gesualdo Motta volle imparentarsi. Loro erano i discendenti della nobiltà più arrogante, lui era un uomo venuto dal nulla e diventato ricco con il lavoro incessante dei giorni. In questo Palazzo l’ambizione di un’impossibile mescolanza sociale sembra scandire stanza dopo stanza il delirio dei Trao decaduti, l’amarezza costante di Gesualdo.
Stanze ora diventate la sede di un centro culturale che raccoglie un Museo etnoantropologico, ricco della cultura materiale di queste terre; uno spazio dedicato ai libri e agli strumenti del medico e politico Gesualdo Costa, personaggio tanto competente nella sua arte chirurgica quanto magnetico nella sua persona; e soprattutto il Museo dell’immaginario verghiano, un percorso dentro la storia, le opere, le relazioni, i personaggi, le fotografie dello scrittore vizzinese e catanese.
E poi i paesaggi, la notte, la pioggia, l’antropologia, la cucina. Lo scrigno di Vizzini gustato sino a non accorgerci quasi del mancato spettacolo teatrale (a causa appunto della pioggia) che era stata l’occasione del nostro viaggio. Ogni strada di questa terra coniuga intimamente materia e storia, ogni luogo diventa naturacultura.

Palma e Moncado su Kremer & Johnson

Enrico Palma – Enrico Moncado
L’impero che illude

in Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini
anno XXVI – numero 75 – luglio 2020
pagine 54-61

L’impero che illude è il titolo dell’analisi che Enrico Palma ed Enrico Moncado hanno dedicato all’arte fotografica di Kremer & Johnson, in particolare alle raccolte This is not Magritte Conceptual.
Nella prima «l’intento dei fotografi è di riformulare, pur con la massima fedeltà agli originali, alcuni quadri particolarmente fecondi di Magritte, e in seguito di aggiungervi alcuni oggetti che riflettano la realtà del mondo attuale».
Nella seconda «lo scatto fotografico costruisce la finzione dell’esistere e allo stesso tempo rivela la spaesante verità di ciò che sta sotto, di ciò che fonda e sfonda l’illusione: il fatto di essere nearing the end».
Il testo dei due studiosi conferma che lo sguardo teoretico è anche lo sguardo estetico più profondo.

K&J_Magritte

Enrico Palma su Tempo e materia

Enrico Palma
Recensione a Tempo e materia. Una metafisica
in InCircolo. Rivista di filosofia e culture, n. 9/2020 Natura / Cultura
pagine 305-311

Una lettura profonda, che del libro analizza la struttura ermeneutica, il rapporto con la fisica, i legami con la concezione proustiana del tempo e del vivere, il dialogo con la Gnosi.
«Questo libro è come il suo argomento, i tanti argomenti. È uno ed è molteplice. Sebbene intriso di heideggerismo esso ne vuole essere al contempo continuazione e disobbedienza. […] Nel volume si avverte la continua presenza di Proust, che di tale scarto ha inteso la possibilità della letteratura come metafisica che unisca insieme arte e ontologia. […] Il tempo dunque come originario, come Heimat da cui l’umano proviene e di cui è una forma in atto emersa dal divenire, e che nella luce del tempo e della verità comprende se stesso e il mondo come un’unità inseparabile. […] È dunque in discussione il dolore che intride anche ogni pagina della Recherche, che il tempo e solo il tempo può lenire come consapevolezza della struttura della materia. Il dolore è ontologico poiché causato dall’essere stesso: esso è ciò che ogni esserci prova per l’attrito che il resto dell’ente esercita sulla sua finitudine».
Enrico Palma sintetizza il senso del libro con questa bella formula: una «metafisica teologica, materialistica e flussica».
Nello stesso numero della rivista Elvira Gravina, che è stata mia allieva a Catania prima di laurearsi alla magistrale a Milano, recensisce il libro di Alva Noë Strange Tools. Art and Human Nature (pp. 312-317).

Epifania della luce

GE/19 Boiling Projects. Da Guarene all’Etna 19
Fondazione OELLE Mediterraneo Antico
A cura di Filippo Maggia
Ex Chiesa del Carmine  / Palazzo Duchi di Santo Stefano – Taormina
Sino al  31 luglio 2020

Finalmente negli spazi, finalmente nel tempo reale e non in quello fantasmatico, narcisistico, delirante, del solo digitale. Le visite telematiche alle mostre e ai musei – pubblicizzate con grancassa negli scorsi mesi – sono state un fallimento. Ottimo segno dell’intelligenza delle persone, le quali comprendono che vedere un quadro o un’installazione in video può costituire soltanto il ripasso di una mostra e di un museo già visitati, non può certo sostituire la visita alla mostra o al museo.
Il 2 luglio 2020 ci siamo dunque ritrovati in uno dei luoghi più belli d’Europa, in compagnia del curatore Filippo Maggia, del fotografo Carmelo Nicosia (sua l’immagine qui sopra), del sindaco di Taormina Mario Bolognari e del suo assessore alla cultura Francesca Gullotta. Sin dall’inizio qualcosa di strano. Il sindaco Bolognari è infatti anche un antropologo che ha svolto una breve presentazione nella quale ha colto le relazioni profonde che intercorrono fra Taormina e la fotografia. L’assessore Gullotta ha continuato parlando della natura filosofica della fotografia e citando Martin Heidegger. Non credevo ai miei occhi, al fatto che un sindaco possa essere una persona colta e un assessore possa dirsi convinta della centralità della filosofia nella vita individuale e collettiva. Prima e dopo questi interventi il curatore Filippo Maggia ha parlato dei legami tra la mostra in corso e quelle che si sono succedute negli anni, a partire dal 1999.
Maggia ha sottolineato la varietà dell’agire fotografico in Italia, nel quale non esistono tendenze unitarie ma una molteplicità di percorsi, tematiche e sguardi. Questo vale in generale e anche per la fotografia definita ‘di paesaggio’ e ‘urbana’. Se il Viaggio in Italia  di Luigi Ghirri è stato in qualche modo fondativo, se l’opera di Gabriele Basilico è sempre al centro dell’orizzonte urbano, i fotografi presenti a Taormina «non dialogano tra di loro» ma forse dialogano con il mondo ed è questo che conta. E infatti Maggia scrive che «in questa nuova selezione di venticinque autori, la più numerosa dalla nascita di GE (sigla che negli anni ha sostituito il titolo originario Da Guarene all’Etna e venendo ogni volta accompagnata da un sottotitolo), si aggregano altri interpreti che, pur partendo da una riflessione esistenziale personale, proiettano la propria esperienza attraverso la fotografia come fosse una dichiarazione d’intenti, un manifesto, con una pregnanza e una forza che la rendono unica e inimitabile» (pp. 13-14 del catalogo edito da Skira)
E allora il diario di un bambino nelle scuole di Bolzano (De Giorgis) sta accanto alla lussureggiante vegetazione dell’isola di Kos (Fortugno); le rovine di oggetti d’uso quotidiano (Spranzi) si coniugano ai percorsi di guerra nel Trentino (De Pietri); mozzarelle che fluttuano nel loro liquido diventando astratte forme nello spazio (Biasiucci) sono contigue a frutti di mango che appaiono e sono antiche sculture apotropaiche (Mangano); montagne e rocce tra la Lucania (Rossano Mainieri) e la Lombardia (Andreoni) si confrontano con costruzioni contemporanee in cemento e in rovina, come quelle che costellano il Belice (Severini). Pur se con mezzi tecnici e con intenti ancor più metafisici, le immagini di Pino Musi sembrano le più vicine al vuoto urbano di Basilico. Luca Pozzi entra invece con il proprio corpo, e in un modo tutto particolare, in grandi dipinti come le Nozze di Cana di Paolo Veronese. L’artista, infatti, «salta dalla superficie calpestabile del museo – e solamente su di essa una visita può dirsi veramente tale – e attraverso l’artificio della macchina la sua sospensione viene catturata e il suo corpo impresso sulla tela di un grande maestro. L’artista salta in modo fotografico dentro l’opera» (Enrico Palma).
E poi video che documentano eventi e installazioni, nei quali il silenzio della forma diventa più espressivo di tante parole. Sull’Europa e sulla sua fragilità, ad esempio (Di Giovanni).
L’Etna di Carmelo Nicosia è un luogo arcaico, genetico, oscuro, pagano e incalmabile. Non a caso scelsi, anni fa, una fotografia di questo artista (che soltanto dopo avrei avuto il piacere di conoscere) per introdurre la Teogonia di Esiodo. E a Taormina Nicosia ha confermato che l’enigma del vulcano è ai suoi occhi anche apertura, passaggio, meta: «un’epifania della luce».
Ho avuto la soddisfazione di vivere e vedere tutto questo in compagnia di alcuni miei laureati e laureandi del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unict. Una compagnia reale e dunque feconda, come si sente anche da queste parole di Daria Baglieri: «Quel che mi ha colpita è che in queste foto saltava fuori l’essenza stessa della fotografia, cioè il fare arte con la luce. Ognuna delle foto che abbiamo visto sarebbe inevitabilmente stata diversa se scattata, per esempio, in un altro momento del giorno o della notte, o all’alba o al tramonto, soprattutto la foto della trincea, per quanto dirlo sia addirittura banale, ma mi è parso che negli scatti delle semplici mozzarelle questo emergesse prepotentemente: nient’altro le avrebbe rese una forma d’arte se non il modo in cui la luce attraversa il loro liquido e le fa apparire per come sono state poi fotografate. Così anche le lucciole e il mango che non sarebbero nemmeno esistiti senza la luce. Penso sia questa la meraviglia della fotografia, ed è il motivo per cui non ne ho fotografata nemmeno una: Platone ci ha insegnato che sarebbe stato praticamente inutile fotografare delle foto; magari avrei avuto un’intuizione dei loro soggetti, ma non avrei conservato la stessa foto perché la luce sarebbe stata inevitabilmente artefatta. Mi pare sia saltato fuori Benjamin a cena, e non ricordo più perché ma credo che qui calzerebbe a pennello: le mie sarebbero state inutili ‘riproduzioni tecniche’, mentre quelle degli artisti sono forme linguistiche, come diceva l’assessore, che comunicano un’esistenza, un vissuto e un’emozione semplicemente cogliendo la luce nel tempo opportuno».
Il tempo opportuno, il καιρός è ciò che la fotografia ai suoi massimi livelli sa cogliere. Anche per questo è luce.

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