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Il diritto come ermeneutica

La misura del dubbio
(Le fil)
di Daniel Auteuil
Francia 2024
Con: Daniel Auteuil (Avvocato Jean Monier), Gregory Gadebois (Nicolas Milik), Sidse Babett Knudsen (Avvocato Annie Debret), Gaëtan Roussel (Roger Marton)
Trailer del film

Mentre prepara la cena per i suoi cinque figli, tutti molto piccoli, Nicolas Milik viene arrestato con l’accusa di aver ucciso la sera prima sua moglie. Incaricato di difenderlo è un avvocato che da quindici anni circa non va in tribunale, dopo che la sua ultima causa aveva avuto un esito di particolare gravità. In realtà l’avvocato Jean Monier si reca alla gendarmeria allo scopo di sostituire soltanto per quella sera sua moglie (anche lei avvocato) ma dopo aver parlato con l’imputato prende il caso su di sé e lo conduce con grande professionalità, coinvolgimento e anche un poco di spericolatezza. Come sempre nel genere del film giudiziario, le scene nelle aule del tribunale si alternano a quelle della ricostruzione degli eventi. A un primo esito del processo seguirà, qualche anno dopo, un’ulteriore rivelazione.
Anche questo film (come A un passo dalla verità [La Traque] [ ] di Yves Rénier) è tratto da una vicenda realmente accaduta nella Francia del Nord e che Daniel Auteuil sposta tra le paludi e i tori della Camargue, nel Sud tra Arles e il mare. La forza e l’enigma del toro, uno dei simboli più antichi delle culture mediterranee, ritornano nei viaggi e anche nei sogni dell’avvocato Monier.
Una forza incomprensibile e tremenda diventa a volte l’umano, soprattutto quando sono in gioco l’innocenza e la colpa rispetto alle azioni compiute. La prospettiva del film è quella dell’avvocato, che si muove tra la certezza dell’innocenza del suo assistito e il dubbio che di tanto in tanto si insinua come un filo disordinato nel tessuto dei fatti E Il filo si intitola infatti il film nella sua versione originale, il filo di cotone blu di una giacca che sarà determinante nel divenire degli eventi.
In ogni caso, e al di là anche delle intenzioni narrative dell’opera e del suo autore, emerge con chiarezza l’ovvietà della natura interamente ermeneutica del Diritto e quindi della giustizia che esso dovrebbe amministrare. Tribunali, corti, avvocati, testimoni non fanno altro, non possono fare altro, che ricostruire  i presunti fatti come a loro appaiono essere accaduti. In questo modo tribunali, corti, avvocati, testimoni danno in parte torto a uno dei fondatori dell’ermeneutica giuridica, Emilio Betti, il quale ritiene che «sensus non est inferendus, sed efferendus», che il comprendere sarebbe la conseguenza di una corretta interpretazione perché il significato e senso di un testo non va introdotto in esso ma va da esso ricavato. Forse ha invece maggiormente ragione l’ermeneutica teologica di Rudolf Bultmann, il quale risponde che non è possibile alcuna esegesi che non parta da presupposti già dati. Nel concreto farsi della «convinzione del giudice», eliminare ogni presupposto, ogni semplice e inevitabile pre-giudizio, è di fatto impossibile. E anche questo lascia delle ombre, consistenti, sulla teoria e sulla pratica della giustizia.
Ha probabilmente ragione Gadamer quando, anche sulla scorta di Heidegger, afferma che «non esiste certamente alcuna comprensione che sia libera da ogni pregiudizio, per quanto la nostra volontà possa proporsi di sottrarsi, nella conoscenza, al dominio dei nostri pregiudizi. […] Ciò che non è dato dallo strumento del metodo, deve invece e può effettivamente essere realizzato attraverso una disciplina del domandare e del ricercare, che garantisce la verità» (Verità e metodo, Bompiani 1983, p. 559).
‘Garantisce’ mi sembra comunque troppo; più realisticamente: ‘che si avvicini’ alla verità. La quale in Le fil emergerà nel modo più inatteso.
Notazione personale: il vero crimine di Nicolas Milik è aver costretto la moglie a fare cinque figli in pochi anni. Questo meriterebbe una condanna.

Interpretans

Giovedì 7.6.2018 alle 15,15 terrò una relazione nell’ambito della «Giornata dei Dottorati Italiani di Scienze del Testo e dell’Interpretazione». L’evento ha per argomento Leggere, tradurre, pensare e si svolgerà il 7 e l’8 giugno nell’Auditorium del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unict.
Il titolo della mia relazione è Animal Interpretans.

Il cuore dell’ermeneutica è costituito dal gioco tra il dato e il significato. Pervasività, varietà e universalità del segno sono state da sempre oggetto del discorso filosofico. Il segno significa in un tessuto di relazioni e regole combinatorie inserite in un mondo più ampio di azioni ed eventi.
Heidegger e Gadamer hanno trasformato l’ermeneutica da metodica delle scienze dello spirito a ontologia. Un’ontologia che affonda nella temporalità; nell’insieme di rimandi fra il passato della tradizione e il presente della comprensione; nella Wirkungsgeschichte, la «storia degli effetti» che l’opera ha generato e nella quale consiste il suo significato più pieno; nella Horizontverschmelzung, la «fusione di orizzonti» che accade sia fra gli interlocutori del dialogo sia tra loro e il testo che proviene dal passato e parla nell’adesso.
L’essere degli umani è sempre storico, temporale, linguistico. Il che equivale a dire che l’essere degli umani è costitutivamente ermeneutico.

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