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Estasi

Recensione a:
Estasi: istruzioni per l’uso ovvero l’arte di perdere il controllo
di Jules Evans
(Carbonio Editore, 2018; pagine 320)
in Diorama Letterario – numero 351 – settembre/ottobre 2019
pagine 33-34

C’è stata, per millenni, una forma capace di coniugare la più lucida razionalità con il più gorgogliante dei pericoli. Questa forma è stata la Grecia pagana, dentro la quale «il sesso era una delle vie principali attraverso le quali il mondo degli spiriti si intersecava con le vicende umane», la corporeità era «una forza demoniaca, potente, giocosa, distruttiva, associata alla dea Afrodite e a suo figlio Eros, che ci priva della ragione», i Misteri erano l’ordine dell’imprevisto ripetuto all’infinito ma ogni volta rinnovato.
Il cristianesimo è stato una forza desacralizzante –«Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv., 14, 9)– che ha impoverito il cosmo della sua complessità, della sua potenza, del suo enigma. Anche da qui nasce il bisogno di un recupero della dimensione estatica della vita. Un bisogno che questo libro documenta e mostra nella varietà, curiosità, banalità e complessità delle sue espressioni contemporanee.

Il cuore nero degli Stati Uniti

Easy Rider
di Dennis Hopper
Con: Peter Fonda (Wyatt, Capitan America), Dennis Hopper (Billy), Jack Nicholson (George Hanson)
USA, 1969
Trailer del film

In occasione dei suoi cinquant’anni Easy Rider esce in versione restaurata. La rinnovata visione conferma la tragicità di questo film, che non riguarda gli hippy, non si limita agli anni Sessanta, non è una celebrazione delle droghe e dei mondi da esplorare. Al suo centro c’è il vuoto. Il vuoto delle strade e delle praterie, dello spazio attraversato nel lungo itinerario che da Los Angeles conduce a New Orleans, il vuoto delle vite e dei saperi. L’America profonda è quella descritta in un altro film interpretato da Denis Hopper, Il cuore nero di Paris Trout di Stephen Gyllenhaal (1991): un mondo rachitico, piccolo, provinciale, razzista, feroce. Un mondo perduto.
La cui perdenza si riflette nello sguardo sempre malinconico di Wyatt, Capitan America, il quale sa fin dall’inizio che mentre i panorami si aprono l’orizzonte suo e di Billy si chiude.
Sì, certo, Easy Rider è anche un film western, è un’opera On the Road, è un’apologia dei fricchettoni ma è soprattutto un film mistico, pervaso per intero da simboli e azioni religiose, che trova il suo culmine nelle allucinazioni dentro un cimitero e nel sacrificio dei protagonisti.
Stare lontani da questo mondo buio, dall’umanità statunitense, è una semplice esigenza di sopravvivenza.

«Billy: Che c’è di male nella libertà? La libertà è tutto.
George: Ah sì, è vero: la libertà è tutto, d’accordo…Ma parlare di libertà ed essere liberi sono due cose diverse. Voglio dire che è difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato. E bada, non dire mai a nessuno che non è libero, perché allora quello si darà un gran da fare a uccidere, a massacrare, per dimostrarti che lo è. Ah, certo: ti parlano, e ti parlano, e ti riparlano di questa famosa libertà individuale; ma quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura».

Sottoproletariato

Non essere cattivo
di Claudio Caligari
Italia, 2015
Con: Luca Marinelli (Cesare), Alessandro Borghi (Vittorio), Roberta Mattei (Linda), Silvia D’Amico (Viviana)
Trailer del film

Vittorio e Cesare sono due dei tanti sottoproletari che fra Ostia e Roma tentano di fare soldi comprando e vendendo droghe. Il primo cerca ogni tanto di cambiare vita, di trovare un lavoro, di creare legami. Il secondo è spesso strafatto, sempre in bilico tra violenza e fragilità. Tutto intorno a loro si agita un’umanità senza luce.
La narrazione di Caligari è asciutta, gli eventi sembrano accadere al di là della volontà stessa dei personaggi ma nello stesso tempo con la loro piena partecipazione. Lo sporco, il degrado, la miseria esistenziali sono profondi, anche se di tanto in tanto illuminati da qualche barlume di consapevolezza.
Nell’osservare queste vite, il loro fondamento, le loro scelte e i loro esiti, si comprende meglio con quanta ragione Karl Marx definisce il sottoproletariato in termini politicamente sprezzanti, come strumento di ogni possibile potere reazionario. E si comprende anche come il fallimento delle scelte internazionali sul mercato delle droghe sia probabilmente voluto. La ragione sta nel fatto che se interi gruppi sociali disagiati vengono imbottiti di stupefacenti, la loro capacità di rivolta e di coscienza politica sarà annullata e i governi potranno stare tranquilli nel perseguire i propri interessi anche di classe.
Ogni cedimento alla commiserazione verso il Lumpenproletariat (proletariato straccione), sia esso autoctono o migrante, è un cedimento al Capitale. Una delle più profonde ragioni della fine della sinistra in Europa è l’aver dimenticato questa semplice tesi marxiana. So bene che quanto dico può apparire molto duro o persino ‘reazionario’ ma mi sembra evidente che i complici della reazione sono coloro che sostengono gli interessi della finanza e del capitalismo. Tra tali interessi rientrano le politiche proibizionistiche sulle droghe -e quindi l’enorme loro diffusione all’interno di ampi strati della popolazione giovanile e non solo- e le politiche di accoglienza indiscriminata dei migranti. Quest’ultima opzione è certamente cristiana ma non è comunista. Il vero leader della sinistra ‘umanitaria’ è il Pontefice Romano.
Sino a che quanti si credono sinceramente ‘di sinistra’ non comprenderanno che molte delle loro tesi e opzioni politiche non hanno nulla a che vedere con il marxismo, il Capitale finanziario potrà non soltanto stare tranquillo ma continuare la propria opera di distruzione del Corpo sociale e dell’ambiente naturale.
A leggerli bene, anche film come Non essere cattivo, con i suoi ottimi e credibili interpreti, mostrano ciò che dovrebbe essere chiaro a chiunque abbia delle conoscenze storico-sociali di base e non venga accecato dai sentimentalismi.

Bande

French Connection
(La French)
di Cedric Jimenez
Francia-Belgio, 2014
Con: Jean Dujardin (Pierre Michel), Gilles Lellouche (Gaëtan ‘Tany’ Zampa), Céline Sallette (Jacqueline Miche), Benoît Magimel (Il pazzo), Féodor Atkine (Gaston Deferre)
Trailer del film

Tany_ZampaMarsiglia, anni Settanta del Novecento. Dalla Turchia arriva la sostanza che dopo essere stata raffinata in laboratori clandestini viene venduta in Europa e negli USA. A dominare questo traffico è Tany Zampa, in collaborazione con chimici esperti, sicari determinati, padrini siculo-statunitensi, poliziotti e uomini politici. L’ingranaggio funziona assai bene e produce profitti enormi. Il giudice Pierre Michel prova a bloccarlo e ottiene notevoli risultati. Risultati che lambiscono le complicità istituzionali anche a livelli assai alti. Il giudice viene assassinato il 21 ottobre 1981. Zampa muore suicida in carcere il 16 agosto 1984. I poliziotti e gli amministratori di Marsiglia che resero possibile tutto questo fecero carriera, sino al ministero degli interni della presidenza Mitterrand.
le-juge-marseillais-pierre-michel-g-procede-le-12-octobre-1979-a-marseille-a-la-reconstitution-de-la-fusillade-du-bar-du-telephoneIl film di Jimenez racconta la vicenda e il suo contesto concentrandosi per intero sull’azione, sull’intreccio, sui movimenti, su una ricostruzione minuziosa e filologica degli oggetti, degli abiti, delle acconciature, delle cravatte, delle automobili negli anni Settanta. Tutto ruota sul confronto tra gli stili di vita personali del giudice e del delinquente. Un film dunque che non ha struttura politica ma di costume, un film con molto ritmo anche se con qualche lunghezza di troppo. E tuttavia anche da un’opera come questa -e soprattutto dagli eventi ai quali si ispira- si ha conferma che la cosiddetta lotta tra il crimine e lo stato è in realtà una guerra tra bande, dove ogni tanto qualche persona corretta e giusta viene stritolata. In Italia sappiamo bene come funziona.

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