Giovanni Macchia
Tra Don Giovanni e Don Rodrigo
Scenari secenteschi
Adelphi, 1989
Pagine 220
«Il Seicento, il corrotto Seicento, terribile e crudele, miserevole e splendido, dominato dal senso del potere e dalla licenza, mistico e miscredente, è diventato il secolo che oggi più ci attrae» (pp. 125-126). In esso cerchiamo quella parte di buio che si stende anche su di noi, che ci accomuna a quell’epoca di ferocia, di piaceri e di segreti.
In pagine lievi, veloci eppur assai dense, Giovanni Macchia rende conto e ragione di questo intreccio tra il Seicento e noi. Mazzarino e Grácian, Malagrida e Retz, gli untori e Don Giovanni, sono e rimangono uomini e personaggi del loro tempo, indagati da Macchia con la consueta, straordinaria erudizione, ma diventano anche simboli e compagni della nostra ricerca, del nostro tentativo di trovare un filo che ci guidi nella complessità delle strutture sociali e psicologiche. Basta guardarci intorno per scoprire quanta «dissimulazione» ci circondi, quanto «segreto», che lo strepito e il rumore informativo (specialmente i social network) non fanno che accrescere e nascondere.
Le due figure del titolo si stagliano su uno sfondo di lotta, di ombre, di sensazioni estreme: «Il terzetto Don Giovanni, Zerlina, Masetto (un aristocratico e due contadini, promessi sposi) corrisponde perfettamente a quello di Don Rodrigo, Lucia, Renzo» (15-16). Ma la luminosità della festa in cui Don Giovanni tenta di conquistare Zerlina contrasta a fondo con il buio e con la notte protagoniste della vicenda di Lucia. Ai Promessi Sposi -e soprattutto al Fermo e Lucia come «romanzo nero del Manzoni» (32)- è dedicato il capitolo più ampio ed emblematico: «Un romanzo di morte […] una forma di epopea negativa» (24), nel quale Manzoni sentì ed espresse la misteriosa attrazione che lo legava al Seicento, secolo della paura, della malattia, della guerra, del male.
A questa visione insieme truce e provvidenziale del tempo umano si contrappone quella del saggio dedicato al cardinale Mazzarino, all’ambizione, alla politica, al segreto, alla socialità, al teatro, alla saggezza e al disincanto. Mazzarino diventa una figura speculare a quella del cardinale Federigo, così come la fine superba e ironica di Don Giovanni lo è rispetto alla morte ebete di Don Rodrigo.
Ancora una volta Macchia ha visto giusto: «La sete di dominio trova in Don Giovanni una via d’uscita nell’erotismo. […] Il dongiovannismo può essere definito, nell’indipendenza della politica dalla morale, una forma di machiavellismo portato sull’amore» (169).