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Università

Lo scorso anno ho scritto a proposito di una catastrofe didattica. Per fortuna l’Università non è soltanto esami ma è Communitas, è relazione tra persone, è crescere insieme nella conoscenza, nel disincanto e nella tenacia. Nata in Europa nel XII secolo, l’Università rappresenta uno dei più forti elementi di identità del nostro Continente. Luogo di conflitti e di scoperte, sede di trame a volte miserabili ma anche di fondamentali apprendimenti, spazio di scienza e di invenzione, l’Università è il respiro stesso di un sapere non impressionistico, non dogmatico, non utilitaristico. Proprio perché è anche questo, nel XXI secolo si sta operando a fondo -da parte dei decisori politici e dei loro complici- per ridimensionarne la funzione, la struttura, i contenuti. E tuttavia, pur con i tanti limiti che l’Università subisce e che ineriscono alle vicende umane, la fine dell’Università costituirebbe un gesto di autentica barbarie, di impoverimento collettivo, di prevalenza del fanatismo, della superficialità, dello spettacolo che emargina e rimuove il pensiero.
Il principio che mi guida nell’insegnamento è: «Per la scienza, per gli studenti». Proprio perché ha questi scopi, il mio è il mestiere più bello, più coinvolgente, più vivo. Ne ho avuto conferma in questo anno accademico, nel quale i gruppi-classe delle tre discipline sono stati partecipi, attenti, rispettosi e vivaci. La foto che vedete qui sopra è stata scattata lo scorso 1 giugno, a conclusione delle lezioni di Sociologia della cultura. Essa ritrae soltanto alcuni degli studenti che hanno frequentato il corso ma vorrei ringraziarli, insieme a tutti i loro colleghi, per avermi permesso di affrontare tematiche complesse e testi difficili in modo tanto serio quanto piacevole. Spero che gli studenti abbiano imparato qualcosa da me, io sicuramente ho appreso molto dallo scambio rigoroso e quotidiano con loro.
Chi fosse interessato, può anche ascoltare (e scaricare da Dropbox) la registrazione audio degli ultimi 30 minuti della lezione del 1 giugno, dedicati alla lettura e analisi di un saggio sulla società videocratica e ai saluti finali.

Senza vita

«Il potente è in primo luogo il sopravvissuto, l’unico superstite di fronte alla distruzione dei suoi simili; il suo trono poggia su mucchi sterminati di cadaveri». Questo ho scritto in Contro il Sessantotto. Saggio di antropologia (p. 78). L’ho scritto in relazione alla analisi più compiuta che io conosca del potere, quella di Elias Canetti. In Massa e potere si mostra in modo persuasivo come «l’istante del sopravvivere è l’istante della potenza. […] È importante però che il sopravvissuto da solo stia di fronte a un morto o a più morti» (p. 273).
Il Monastero dei Benedettini di Catania, sede del mio Dipartimento, è oggi una plastica raffigurazione di tale dinamica. Le consorti dei capi di stato e di governo riuniti in questi giorni a Taormina -mirabile e fragile luogo violentato da tale presenza, la quale ha imposto una vera e propria reclusione/esclusione ai suoi abitanti- hanno deciso di visitare Catania, e segnatamente il Monastero. Nessun altro vi ha potuto accedere, all’infuori di queste signore e dell’imponente apparato di sicurezza. Docenti e personale tecnico-amministrativo hanno potuto farlo soltanto chiedendo un’apposita autorizzazione. La cosiddetta Zona rossa, che a Taormina impedisce a chiunque di avvicinarsi ai potenti, si è trasferita anche nel magnifico luogo dove ho la fortuna di insegnare. Anche le strade intorno, compresa quella dove abito, sono state svuotate di ogni vitalità, ricondotte al puro vuoto presidiato da esercito, vigili urbani, polizia.
Il potere democratico sta quindi molto attento a tenere lontano da sé il δῆμος, il popolo. Anche per questo sono ben contento se qualcuno mi rivolge la ormai consueta e banale accusa di essere populista. Il termine russo народничество, populismo, fu infatti all’inizio assai vicino a quello di Анархизм, anarchismo. Per il potere -democratico o altro che sia- siamo infatti tutti potenzialmente degli assassini, dei delinquenti, della gente pericolosa. In Sicilia si dice che «u lupu ri mara cuscenza chillu chi fa penza». Le città, i borghi, le strade, gli spazi dove i potenti transitano subiscono una vera e propria violenza istituzionale. Oltre che delle guerre e della fame costoro sono dunque colpevoli anche di stupro. I potenti credono che siamo tutti come loro sono: assassini, delinquenti, pericolosi.
L’aspetto del Monastero dei Benedettini di Catania, un luogo tanto splendente quanto vivace, allegro, sonoro, giovane, vissuto, è oggi semplicemente angosciante. Diventato un cimitero compunto e paludato, riempito soltanto dalle divise degli esercitiforzedellordine, vi domina il silenzio greve dell’insensatezza, la palpabile inquietudine dell’artificio, tollerabile soltanto come pausa nella vita quotidiana, che è fatta invece della fremente naturalezza delle relazioni. Legàmi e storie, di tutti e di ciascuno, vengono cancellate e sostituite dalla sicurezza astratta dell’assenza. Soltanto per un giorno, per fortuna. Ma anche un solo giorno è insopportabile.
Il Monastero, da dove sto scrivendo, è in questo momento un luogo senza vita, nel quale l’arroganza di alcuni soggetti -che il caso ha posto accanto a chi oggi comanda- ha prodotto il silenzio, il nulla, una metafora della morte. Ma così costoro si sentono importanti, assai prima che sentirsi sicuri.
«La sensazione di forza che scaturisce dal sopravvivere è fondamentalmente più forte di ogni afflizione: è la sensazione d’essere eletti fra molti che hanno un comune destino. Proprio perché si è ancora vivi, ci si sente in qualche modo i migliori» (Massa e potere, pp. 274-275). E tuttavia «Ivi eran quei che fur detti felici, / pontefici, regnanti, imperadori; / or sono ignudi, miseri e mendici. / U’ sono or le ricchezze? u’ son gli onori / e le gemme e gli scettri e le corone / e le mitre e i purpurei colori? / Miser chi speme in cosa mortal pone / (ma chi non ve la pone?), e se si trova / a la fine ingannato è ben ragione. / O ciechi, el tanto affaticar che giova? / Tutti tornate a la gran madre antica, / e ‘l vostro nome a pena si ritrova» (Petrarca, Trionfo della Morte, vv. 79-90).
Morire è la suprema giustizia del vivere. Nessuno sfugge. Nessuno. Almeno in questo il mondo è perfetto.

Callas / Dioniso

La presentazione del volume Mille e una Callas nel Foyer del Teatro Bellini di Catania è stata un’occasione di confronto e di arricchimento al di là dei confini disciplinari.
Metto qui a disposizione la registrazione audio del mio intervento, che si può anche ascoltare e scaricare da Dropbox: Biuso_Callas_13.5.2017.
La durata è di 13 minuti circa.

[audio:https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2017/05/Biuso_Callas_Catania_13.5.2017.mp3]

Dionisismo

Mercoledì 17 maggio 2017 alle 17.30 nell’Aula Magna del mio Dipartimento terrò un seminario dal titolo Tarantismo e dionisismo nelle culture mediterranee.
L’incontro fa parte del Med Photo Fest 2017.

Abstract
La continuità di alcuni archetipi nel volgere dei millenni rappresenta uno degli elementi di identità del Mediterraneo e delle sue culture. Uno di questi elementi è il fondamento pagano di molte manifestazioni collettive, feste, forme d’arte.
Proverò a mostrare gli elementi comuni alle ricerche etnologiche di Ernesto De Martino, confluite ne La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, e all’espressione musicale della Taranta Power di Eugenio Bennato.
Lo scopo sarà comprendere come il dio più mediterraneo della religione greca, Dioniso, sia ancora ben presente nella vita collettiva della contemporaneità.

Ulteriori informazioni (link al sito d’Ateneo)

locandina_biuso_tarantismo

Machiavelli

Lunedì 15 maggio 2017 nel Coro di Notte del mio Dipartimento si svolgerà una Giornata di studi dal titolo Machiavelli. Il potere della libertà / La libertà del potere.
Vi terrò una relazione su Libertà e animalità, della quale pubblico qui l’Abstract.

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Una delle condizioni per comprendere l’umano è il riconoscimento del suo specifico βίος come parte della più vasta ζωή. Il fondamento biologico del potere e della ribellione contribuisce a fare della vita collettiva una dinamica costante nelle sue strutture e sempre mobile nelle sue espressioni.
La distinzione spinoziana tra potentia e potestas deriva sia dalla consapevolezza di tale animalità sia dalla lezione dell’acutissimus -per Spinoza- Machiavelli. Termini come volpe, lione, lupi, fortuna, virtù; l’antropologia de L’asino -per la quale «dal pianto il viver suo comincia quello, con tuon di voce dolorosa e roca; tal ch’egli è miserabile a vedello»- condensano l’antiumanismo di Machiavelli e ne rendono fecondo il pensare per chi sappia e voglia operare politicamente nel disincanto, nell’attenzione più alla «verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa» (Il Principe, cap. XV).
Le relazioni fra antropologia ed etologia diventano così un’ulteriore testimonianza della presenza di Machiavelli tra i cardini del lavoro culturale e politico.
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Machiavelli_locandina_15.5.2017_corretto

Geopolitica

Mercoledì 19 aprile 2017 alle 17,00 nel Coro di Notte del mio Dipartimento (e non nell’Aula A1, come da locandina) parteciperò, insieme al collega Gianni Piazza, a un seminario dedicato a Equilibri geopolitici e movimenti di contestazione, in occasione del G7 che si terrà a Taormina il 26 e 27 maggio prossimi.
L’incontro è organizzato dal Coordinamento Universitario e il mio intervento avrà come titolo Geopolitica ed emancipazione.

G7_Coordinamento_Unict

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