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Impazzire di gioia

Impazzire di gioia. Su Nietzsche e i suoi Wahnbriefe
in Studia humanitatis. Saggi in onore di Roberto Osculati
A cura di Arianna Rotondo
Viella, Roma 2011
Pagine 465-474

 

Ho partecipato con convinzione a questo volume di saggi in onore di uno dei più importanti, preparati e amati studiosi della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Catania. Ringrazio Arianna Rotondo che mi ha permesso di pubblicare un testo nel quale ho tradotto in italiano alcuni «biglietti della follia» non ancora apparsi nell’edizione completa dell’epistolario nietzscheano Adelphi.

Fandango

Quintetto IV In Re Maggiore G. 448 – “Fandango”: IV. Fandango
di Luigi Boccherini
Complesso “Europa Galante”  diretto da Fabio Biondi

Boccherini (1743-1805) nacque a Lucca e morì a Madrid; spagnolo è Francisco Goya (1746-1828).
Nelle note del primo e nelle immagini del secondo vive il lato dionisiaco del Settecento, che nel magnifico quarto movimento del Quintetto G. 448 diventa un ritmo frenetico, inquietante e ironico. Anche la musica cosiddetta “classica” può essere a volte ballata.

[audio:Boccherini_Fandango.mp3]

Inni omerici

Il corpus di inni arcaici che va sotto il nome di Omero è costituito, per quello che ci è rimasto, da 33 componimenti dedicati alle maggiori divinità del mondo greco. Gli Inni trasportano in un mondo di luce, di potenza e di sorriso, en atanatoisi teoisi (A Selene [XXXII], v. 16; Ad Afrodite [V], vv. 239-246). Un mondo non antropocentrico e tantomeno antropogonico, consapevole d’istinto della finitudine dell’umano e pronto a cantare l’eterna giovinezza del divino. La vecchiaia è infatti una sciagura ancor più grande della morte e proprio questi sono i due mali ai quali gli umani non sanno porre rimedio (Ad Apollo [III], vv. 191-193). Ade è Poludegmon, signore di molti ma non degli dèi (A Demetra [II], v. 404). La vitalità e la gioia che dagli Inni promanano prendono corpo nel quotidiano contatto con gli dèi, vissuti non come il totalmente altro inaccessibile e inconcepibile ma come figure con le quali intrattenere un dialogo in ogni momento dell’esistenza e soprattutto nelle difficoltà e nelle decisioni importanti. Il fondamento di questa relazione è una comunanza profonda tra il divino e l’umano, intessuti degli stessi desideri, delle medesime passioni. Le divinità dei Greci sono davvero incarnate.

Gli Inni più lunghi e più belli sono dedicati a Ermes, ad Apollo, a Demetra, ad Afrodite. I tre rivolti a Dioniso (I, VII e XXVI) descrivono con grande efficacia la triplice nascita del dio concepito da Semele, partorito da Zeus, fatto a pezzi dai Titani e poi ricomposto e ancora una volta rinato. È notevole che gli Inni descrivano quasi allo stesso modo i due fratelli Dioniso e Apollo. Il primo «aveva bei capelli scuri /e fluenti, e un manto purpureo gli copriva le forti / spalle» (A Dioniso [VII], vv. 4-6; le traduzioni sono di Giuseppe Zanetto). Apollo è «simile a un uomo gagliardo e robusto, nel fiore / degli anni, coi capelli sciolti sulle ampie spalle» (Ad Apollo [V], vv. 449-450; p. 123). L’Inno VII racconta di Dioniso catturato dai pirati ma che dall’albero della nave fa germogliare una vite dalla quale penzolano succosi grappoli d’uva. La bella e celebre Coppa Exekias di Vulci racconta forse lo stesso episodio, con il dio che fa nascere una vite sulla nave circondata da delfini guizzanti. Dioniso è la misura potente del divino-natura. Di essa partecipano quegli umani nella cui carne prevale il suo elemento e non quello delle ceneri dei Titani. A costoro, che gli gnostici definiranno pneumatikòs, colmi di intelligenza, è affidata la salvaguardia degli enti.

Theimer, la forma del mito

«Tàuta dè eghèneto mèn oudépote, esti dè aei», afferma Salustio, «queste cose –i miti- mai avvennero ma sono sempre» (Sugli Dèi e il mondo, IV, 8, 26-27; Adelphi 2000, p. 126). Il mito è la pienezza del tempo poiché è il tempo eterno, vale a dire l’inimmaginabile per noi. Ivan Theimer (Olomouc, Moravia 1944) è una di quelle menti che cercano di pensare il mito, in esso affondano, piegano la materia –suoni, bronzo, tele, carta, scritture, marmi- al racconto del sempre. E come per prodigio vediamo emergere davanti a noi le potenze infere e celesti che scandiscono le vite e le morti degli umani e di ogni cosa.
Theimer plasma le tartarughe sulle quali poggia –secondo antiche leggende- il cosmo; le steli riempite di una miriade di creature reali e possibili, con foreste o istrici sulla punta, con cadute fragorose e immobili di angeli ribelli; mappe del mondo; altari dalle linee dense e pure; busti di bambini; obelischi altissimi trasportati da Ercoli filosofi; bambine che danzano; Dionisi fatti di uva; colonne elicoidali simili a grattacieli; angeli; il serpente del ritorno, l’Ouroboros; porte sacre; lampade ieratiche; teste sconvolgenti di Gorgone.
Opere che a volte hanno la misura di un oggetto da tavolo, altre quelle di un monumento per delle grandi piazze. Se è vero, come afferma Jean Clair, che la contemporaneità costruisce edifici di tutti i generi ma non più monumenti –e cioè documenti perenni, ammonimenti, oggetti intrisi di mente perché fatti di memoria- l’eclisse dei monumenti è il tramonto stesso del senso individuale e collettivo.
L’arte di Theimer, invece, è pregna di simboli e di significati, edifica se stessa nel contrappunto di una bellezza strepitosa e di un orrore antico, coniuga l’antroposfera con l’Altro della teriosfera –la miriade di rettili e di altri animali che popolano steli e obelischi; della tecnosfera –l’artificio che l’opera umana è per sua natura; della teosfera, il Sacro che parla discreto e potente dentro le sue costruzioni. Di questa incessante creazione, i simboli più densi sono quelli della duplicità: Dioniso che è umano e divino, orgia e disincanto, bene e male; la Medusa che sta al centro dello scudo di Atena, la filosofa, a significare che soltanto sul fondamento ctonio l’apollineo può edificare se stesso in quanto forma.
Alla profondità della natura umana e dell’intero cosmo del quale è parte, Ivan Theimer invita a tornare. E lo fa con la sua arte raffinata sino al manierismo e insieme assolutamente arcaica. Concettuale e istintiva. Intrisa di storia e intessuta del sempre. Tra centomila anni qualche archeologo venuto chissà da dove e da quando dissotterrerà gli oggetti di Theimer e non riuscirà ad attribuirli ai Faraoni, agli Imperatori di Roma, a ciò che noi chiamiamo Neoclassicismo, al XXI secolo. Si rassegnerà, dunque, a definirli eterni.

Les Grecs

NOUVELLE ÉCOLE
LES GRECS

Numéro 58 – Année 2009
Éditions du Labyrinthe
Paris, 2009
Pagine 168

Per i Greci morire non è la cessazione del respiro ma la cessazione della luce; i poemi omerici ripetono in modo ossessivo la formula “vivere e vedere la luce del Sole”. I Greci sono uomini che convivono con gli dèi invece che porli in una alterità che col pretesto di rendergli onore in realtà uccide il divino. Marcel Conche afferma con piena ragione che «le dieux sont dans le monde, associès aux hommes pour diriger les cités. Quant au dieu au singulier, il est immanent au devenir universel et en est le rythme même» (p. 11). Che a dispetto e al di là di ogni differenza, «le dieux et les hommes aient une même origine» (J. Haudry, 41) è dovuto anche al dominio che su di loro, su tutti loro, esercita il tempo.

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Un viaggio a Cipro

Terza isola del Mediterraneo, indipendente dal 1960, luminosissima, Cipro è terra del tutto greca, nella lingua, nella storia, nelle architetture antiche e contemporanee. Un crocevia culturale del mondo antico nel quale la potenza del paganesimo emerge a ogni passo, seppur temperata dalla invadenza delle chiese cristiano-ortodosse e dalla più sobria presenza di moschee.Tra queste ultime, la più suggestiva è forse quella di Hala Sultan Tekke, posta sulle rive del Lago salato di Larnaka. Un luogo appartato, silenzioso e sobrio, che trasmette la dimensione mistica dell’Islam. Le moschee più importanti della capitale Nicosia sono state ricavate invece da precedenti chiese cristiane, sia nella parte sud (greco-cipriota) che in quella Nord (turco-cipriota). Nicosia è l’ultima città divisa d’Europa. È comunque possibile visitare le due parti transitando attraverso un checkpoint che immette in un mondo davvero altro per lingua, moneta, struttura urbana. È qui che la Büyük Han accoglie il visitatore in un antico caravanserraglio circolare, intimo e colorato. La linea militarizzata che divide la città è tra le esperienze più inquietanti ma anche interessanti, cicatrice testimone dell’insensatezza degli umani che si fan la guerra e della forza del conflitto, radicato nel bisogno di questa specie di mammiferi di marcare il proprio territorio come fanno i gatti con l’urina. Noi preferiamo porte, mura, filo spinato. Tornati a Nicosia Sud, il piccolo Museo Archeologico raccoglie alcune opere assolutamente uniche: statue votive a grandezza naturale, meravigliose collane d’oro, letti e troni in avorio, l’Afrodite di Soloi.

Afrodite che nacque nella parte ovest dell’isola, fu generata dalle acque di Pafos, splendida città romana a pochi metri dal mare. Qui le case di Teseo, di Dioniso, di Aion conservano mosaici assai belli, nei quali il mito -e dunque la verità del mondo- si fa colore, forma, senso. Sempre a ovest, il sole al tramonto illumina il magnifico sito di Kourion, nel quale templi, case, teatri rivolgono al mare -dal quale le separa uno strapiombo di falesia- la loro forza. In questo spazio, e nel vicino tempio di Apollo Ylatis, l’incanto della natura diventa una sola cosa con l’armonia delle strutture umane.

Larnaka, la città dal cui rinnovato aeroporto si entra a Cipro, è interessante soprattutto per la sua fortezza veneziana posta sul mare, per la piccola cattedrale ortodossa di Agios Lazaros, per il raccolto museo Plerides, che sino al 10 gennaio di quest’anno ospita una mostra temporanea dedicata ai profumi di Afrodite. Vi si possono toccare gli alambicchi che trasformano le piante dell’isola in essenze dolci e sensuali, quasi come se la luce fosse trasformata in odore, il mito fosse diventato la materia stessa che lo ha generato. Una sinestesia della mente.

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