Holy Motors
di Leos Carax
Con: Denis Lavant (Il signor Oscar), Edith Scob (Céline), Eva Mendes (Kay M.), Elise Lhomeau (Léa/Elise), Kylie Minogue (Eva/Jean), Jeanne Disson (Angèle), Michel Piccoli (l’uomo dentro la macchina)
Francia-Germania, 2012
Trailer del film
Nella scena iniziale Leos Carax, qui anche personaggio, sogna di entrare in un cinema. Poi il film comincia con il signor Oscar che va al lavoro su una Limousine. È un banchiere. Uscito dall’auto, è una vecchia mendicante che chiede l’elemosina per le strade di Parigi. Si reca successivamente in uno studio cinematografico dove si muove e danza insieme a una collega per creare un videogioco. Adesso è lo storpio che rapisce una modella per portarla nelle fogne. Diventa un padre severo e affettuoso che va a prendere la figlia a una festa. Suona da fisarmonicista in una chiesa. Come sicario uccide un uomo e tenta di ammazzarne un altro. Tornato in albergo, si ritrova sul letto di morte accudito dalla nipote. In tutte queste metamorfosi, due pause. La prima è il dialogo in macchina con un uomo che osserva la sua stanchezza e gli chiede perché continui a vivere così. Risposta: «Per il bel gesto». La seconda è l’incontro casuale con una donna che ha amato e che sta aspettando qualcuno. Finalmente la Limousine lo riporta a casa, dove abbraccia la moglie e la figlia piuttosto -anzi molto- sorprendenti. La bella signora che per tutto il giorno gli ha fatto da autista lascia la Limousine in un garage di lusso –Holy Motors– e finito il lavoro indossa una maschera. Il film si conclude con le automobili che dialogano tra di loro nel garage.
Nel Paradoxe sur le comédien Diderot afferma che l’attore non deve affatto calarsi nel ruolo in modo emotivo e sentimentale ma deve farsi guidare da una distaccata razionalità, che gli consenta di diventare tutti senza essere nessuno, non imitando né sentendo nulla e così permettendo allo spettatore di sentire lui il personaggio, poiché -come si ricorda nel film- «la bellezza sta nell’occhio di chi guarda». Carax ha voluto comporre un Paradoxe sur le cinéma, nel quale la finzione è ogni volta evidente e tuttavia ogni volta credibile proprio nel suo esser finta. Tanto è vero che nei momenti in cui il signor Oscar sembra agire al di fuori degli “appuntamenti” prefissati, accade lo scarto che tiene in ansia lo spettatore, non più certo che anche questa volta l’attore rinascerà dalla morte dei propri personaggi. Ma naturalmente anche un suicidio che vediamo in scena, anche l’incontro con l’antica amante, anche il dialogo dentro l’automobile sono finti poiché tutto è cinema. E però la reazione dello spettatore è diversa.
Non soltanto cinema nel cinema a un livello di sorprendente genialità ma un itinerario dentro la finzione autentica in cui consiste il vivere e che all’imperatore Ottaviano Augusto dettò, a quanto racconta Svetonio, queste ultime parole: «Acta est fabula. Plaudite!». Da chi è stato assunto il signor Oscar? Per chi lavora? Di quali committenti è portavoce l’uomo che gli chiede se intende ancora proseguire? È stato assunto da noi, per noi lavora, siamo noi che lo paghiamo e che desideriamo che continui. Noi, gli spettatori. Nel paradosso del cinema si mostra per intero la finzione delle relazioni umane e della morte.