Skip to content


Sul virtuale

Presenza e realtà
Sul virtuale

in Dialoghi Mediterranei
n. 62, luglio-agosto 2023
pagine 27-33


Indice

-Una premessa metafisica 
-La presenza
-Realtà e documanità
-Una «biopolitica progressista»
-Simulacri 

Dopo una breve premessa a sostegno del realismo metafisico – vale a dire che il mondo esista indipendentemente da qualunque entità che lo percepisca – ho cercato di descrivere le diverse prospettive sul virtuale proposte da due recenti libri di filosofi italiani: Contro Metaverso. Salvare la presenza (Mimesis, 2022) di Eugenio Mazzarella e Documanità. Filosofia del mondo nuovo (Laterza, 2021) di Maurizio Ferraris. Ho concluso con un accenno al concetto di «simulacro» proposto da Jean Baudrillard, il quale difende la presenza rispetto alla società dello spettacolo diventata l’«estasi della comunicazione», che si è trasformata a sua volta nella pervasiva potenza di un virtuale il cui esito ultimo è la rimozione della presenza, la dissipatio della realtà.

Le riviste

Il respiro delle riviste
in Dialoghi Mediterranei
n. 61, maggio-giugno 2023
pagine 156-161


Indice

-L’utilità e il danno del digitale per le riviste
-Riviste universitarie, il caso del CORIFI
-La valutazione (anche) delle riviste
-La valutazione come dispositivo politico
-Conclusione: il respiro del labirinto 

Il numero 61 di Dialoghi Mediterranei ha dedicato una sezione alle riviste scientifiche e di cultura, alla funzione che esse svolgono nel presente, ai rischi che scompaiano, alla possibilità che invece rafforzino il loro statuto di indispensabile luogo di dialogo, scienza e libertà.
Ho partecipato molto volentieri a questa discussione, con un testo nel quale ho cercato di indicare, appunto, «l’utilità e il danno del digitale per le riviste»; di accennare alla loro vicenda dal Settecento a oggi; di approfondire il caso delle riviste di area filosofica in Italia; di discutere della funzione che le riviste e la loro classificazione – scientifiche/non scientifiche; normali/di classe A – svolgono nell’attribuzione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), vale a dire del requisito da alcuni anni indispensabile per accedere ai concorsi per diventare professore universitario.
Ho concluso citando un grande bibliotecario, Jorge Luis Borges, e ribadendo la convinzione che qualunque cosa accada, qualunque sia l’evoluzione, il destino, la metamorfosi dei libri e delle riviste nelle quali da secoli trova spazio, si esprime e si condensa la conoscenza che tentiamo del mondo e di noi stessi, in ogni caso la parola scritta, la parola pensata, rimane il respiro dell’umano, la sua condizione di vita, la sua nobiltà. 

Un’ermeneutica della finitudine

Stefano Piazzese
Ermeneutica della finitudine
La filosofia di Alberto Giovanni Biuso
in Dialoghi Mediterranei
n. 60, marzo-aprile 2023
pagine 583-590

Indice
-Ermeneutica filosofica
-Essere è tempo
-La verità
-La differenza
-Corpo e storia
-Finitudine
-Teologia e semantica

«In Biuso l’ermeneutica è un tentativo umano di comprendere il mondo e la vita a partire dalla dimensione temporale, al di fuori della quale nessun ente può apparire – ad parere, esser manifesto, ergersi allo sguardo altrui, presentificarsi, farsi vedere –, e dove Gegenstand e Bedeutung, dato e significato, diventano i costrutti fenomenologici e teoretici che hanno luogo nella condizione trascendentale di tutto ciò che appare, ovvero il tempo».
Ringrazio Stefano Piazzese per questo percorso dentro i miei libri a partire dal dispositivo ermeneutico. I titoli con i quali l’autore ha scandito il testo credo che descrivano con efficacia alcuni degli elementi più costanti del mio tentativo di pensiero.

Proust, l’omerico

Proust, l’omerico
in Dialoghi Mediterranei
n. 60, marzo-aprile 2023
pagine 23-33

Indice
-Introduzione
-Proust sociologo
-Linguaggio
Du coté de chez Swann
À l’ombre des jeunes filles en fleurs
Le côté de Guermantes
-Sodome et Gomorrhe
La Prisonnière
Albertine disparue
Le Temps retrouvé
-La Recherche come filosofia

Proust è un sociologo, è un narratore, è un metafisico. Nella Recherche vivono, agiscono, amano, invecchiano, parlano, ricordano centinaia di personaggi che abitano una molteplicità di luoghi: Illiers/Combray, Parigi, Cabourg/Balbec, Amiens, Venezia. In questo saggio ho cercato di presentare alcuni di tali personaggi, luoghi, temi. La prima parte è dedicata alla spesso sottovalutata ma in realtà primaria dimensione storica e sociologica dell’opera proustiana; la seconda a un sintetico percorso dentro la Recherche; la terza a una riflessione sulla struttura metafisica dell’opera.

Il corpo, la guerra

Mito e guerra in James Hillman
in Dialoghi Mediterranei
n. 59, gennaio-febbraio 2023
pagine 46-52

Indice
-Il mito
-La salute
-L’angoscia
-La guerra
-Pan

Il significato, la funzione, le strutture del mito affondano nella vita quotidiana degli umani, nelle loro speranze più intime, nelle angosce più fonde, nei pensieri del corpo. E dato che il corpo esiste sino a che siamo vivi, il mito è consustanziale all’esserci, diventa un archetipo la cui fecondità è perenne. Il mito greco è il luogo in cui l’immaginale costruisce la propria tela di significati, dove la caverna è sempre aperta, dove dell’orrore si dà conto.
Opposta alla salute ma sua costante compagna è l’angoscia, la quale non costituisce una semplice tonalità emotiva o uno stato temporaneo di alterazione. L’angoscia è ciò che intesse la vita degli umani poiché essa è l’espressione psicologica della Necessità e del Tempo. Mito, angoscia, salute si coniugano in due figure ambivalenti e ambigue, opposte ma penetranti l’una nell’altra: il Senex e il Puer.
Queste dinamiche contribuiscono a meglio comprendere e a spiegare un fatto, una catastrofe, una potenza antica dentro la quale l’umano abita e si perde: la guerra. Il tentativo di Hillman è consistito anche nel coniugare guerra, mito e psiche; di penetrare dentro la guerra, la sua disumanità così umana, il suo fascino costante e sinistro, il suo dominio nella storia. Pensare la guerra per capirla e quindi in qualche modo fronteggiarla. Una vera scienza della guerra non può limitarsi alla storia, alla sociologia, alla psicologia, alla tattica e alla strategia, non può limitarsi all’apparente razionalità delle sue cause, delle forme e degli scopi ma deve cogliere la natura inumana del massacro, le forze profonde che spingono l’essere vivente e razionale a intraprendere la distruzione di ogni cosa e di se stesso.
Una via d’uscita dalla catastrofe è per Hillman il mito politeistico, con le sue figure. In particolare Pan, il quale tiene ancora unita l’identità molteplice del politeismo mentre l’imporsi dei tre grandi monoteismi ha impoverito il mondo della sua strepitosa e costitutiva varietà, ha fatto vincere la coscienza egoica di un soggetto monocorde e senza (apparenti) contraddizioni. Ma il riemergere inevitabile della differenza produce schizofrenie, isterismi, paranoie ben più gravi di quelle che pure il corpo panico di per sé possiede, delle quali è fatto.
La natura più fonda di Pan è costituita dall’al di là dell’Eros, poiché il panico – il terrore della fuga e del polemos – precede l’Eros in ogni sua forma: greca, cristiana, romantica. Con estrema chiarezza, Hillman mormora che «la lotta tra Eros e Pan, e la vittoria di Eros, continuano ad umiliare Pan ogni volta che diciamo che lo stupro è inferiore al rapporto, la masturbazione inferiore alla copula, l’amore migliore della paura, il capro più brutto della lepre» (Saggio su Pan).
E poiché il corpo è l’intrascendibile – nonostante ogni sforzo di negazione attuato dalle religioni ascetiche e dai progetti di un’Intelligenza Artificiale disincarnata –, alla fine esso vince. Sempre.

L’animale umano

Etologia umana e filosofia 
in Dialoghi Mediterranei
n. 58, novembre-dicembre 2022
pagine 34-38

Indice
-Etologia e antropologia
-Antropologia e pedagogia
-La guerra
-L’invito delfico

Se Giordano Bruno vide la terra come un granello di polvere nel cosmo infinito, se Darwin scoprì la dipendenza della specie umana dagli altri primati e dall’intero mondo biologico del quale è parte, Konrad Lorenz da parte sua permette di comprendere meglio la struttura culturale dell’animale umano confrontandola con le modalità di vita e le organizzazioni degli altri animali. Le analisi di Lorenz e di Iräneus Eibl-Eibesfeldt sono feconde per la comprensione di un comportamento quale l’aggressività intraspecifica, a partire dalla presenza nella nostra specie sia di elementi innati sia di atteggiamenti acquisiti.
Anche uno dei più importanti antropologi libertari, Pierre Clastres, conferma la presenza e la pervasività della guerra in tutte le società conosciute. Contro Lévi-Strauss, che fu suo maestro, Clastres sostiene che la guerra non sarebbe il risultato di uno scambio fallito; non l’esito dunque di una pratica commerciale che nel mondo primitivo non esiste, ma sarebbe la struttura e la condizione di base di quelle società.
I pericoli insiti in tutto ciò che riguarda la guerra, il territorio e il rango  nelle società contemporanee sono dati anche dal fatto che nel corso della filogenesi non vi è stata alcuna pressione selettiva contro la guerra, la quale solo a partire dal Novecento ha assunto la dimensione di un male definitivo e irreversibile; contro l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, data la scarsità della popolazione fino all’esplosione demografica contemporanea; contro il potere delle immagini televisive e di Internet, fenomeni evidentemente nuovi e il cui impatto è ancora difficile da valutare in termini evolutivi, anche se è possibile coglierne fin d’ora i rischi di omologazione politico-culturale e di istigazione imitativa.

D’Arrigo

Il mare e la morte nell’opera di Stefano D’Arrigo
in Dialoghi Mediterranei, n. 57, settembre-ottobre 2022
pagine 147-151

Indice
-Il mare, la morte
-Omero / Heidegger
-L’Orca, la materia
-La potenza della femmina
-Un lessico arcaico, splendente e magico
-Il mare della Nonsenseria

Dentro le spire dello spazio e i gorghi del tempo; dentro una lingua antica, espressionistica e lontana, «quell’isola macerata e persa, la Sicilia» ha generato lungo i secoli eventi, parole e umani sorridenti e solitari. Alla fine ha generato il mare, ha generato la morte. La morte e il mare che sono la stessa cosa, il secondo rende visibile la prima.
Alla fine la Sicilia ha generato l’Orca di Stefano D’Arrigo, emblema fisico e materico dell’essenza del vivente, che è appunto il morire, il quale comincia sin dal primo istante dello stare al mondo.
Horcynus Orca è un romanzo omerico e heideggeriano. Omerico per il mare e per i nomi, per la struttura epica che tutto lo pervade, perché romanzo marino e occidentale. Romanzo heideggeriano perché incentrato sull’«essere che passa per la Morte», sulla morte come necessità del vivente e destino cosmico.
Horcynus Orca è soprattutto una macchina linguistica che senza requie inventa la propria strada e la percorre con gli strumenti della parola, delle parole inventate, ricreate, rese una cosa sola con il reale. Un lessico arcaico, splendente e magico nel quale un siciliano ritrova suoni, verbi, avverbi, aggettivi della propria storia, quali: incantesimato, scandaliare, pìccio, per la madosca, tappinara, nisba; nel quale i costrutti e il vocabolario sono a ogni pagina inventati, creati, reinventati, metabolizzati, metamorfizzati. Parole dentro le quali si sprofonda: «La lancia saliva verso lo scill’e cariddi, fra i sospiri rotti e dolidoli degli sbarbatelli, come in un mare di lagrime fatto e disfatto a ogni colpo di remo, dentro più dentro dove il mare è mare».

[La foto di D’Arrigo è di Ferdinando Scianna (1988)]

Vai alla barra degli strumenti