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«Non mi hai salvato»

Cosmopolis
di David Cronenberg
Canada, 2012
Con: Robert Pattinson (Eric Packer), Paul Giamatti (Benno Levin), Kevin Durand (Torval), Sarah Gadon (Elise Shifrin), Juliette Binoche (Didi Fancher), Samantha Morton (Vija Kinski)
Trailer del film

«L’istante del sopravvivere è l’istante della potenza», il potente è il superstite di fronte alla distruzione dei suoi simili. Questa definizione di Elias Canetti (Massa e potere, Adelphi, p. 273) si attaglia perfettamente a Eric Packer che nella sua Limousine diventata per lui tana, casa, ufficio, tempio, attraversa New York da un capo all’altro di un giorno imprecisato. Inimmaginabilmente ricco, questo giovane squalo vive della morte altrui. Morte dei loro beni, della loro autonomia, dei loro progetti, del loro eros. Tutti assorbiti, divorati e defecati nello spazio inattaccabile della lunga, lunghissima automobile bianca alla quale i colpi e le scritte dei cortei antisistema sembrano solo regalare il glamour di un’opera d’arte pop. Ma dove sta andando Packer in un giorno così sbagliato? Dal vecchio barbiere della sua infanzia, per farsi «sistemare il taglio». Un medico lo visita durante il tragitto facendogli un check-up completo. Scopre di avere «la prostata asimmetrica», così come il taglio sbagliato dei capelli. È questa asimmetria che il finanziere freddo e calcolatore non ha previsto. E che lo porterà a perdere centinaia di milioni di dollari in poche ore. Packer va verso colui che lo sta cercando per ucciderlo, un oscuro impiegato del suo impero finanziario che è stato da lui stritolato come tanti altri. Nella magnifica scena finale, costui gli punta la pistola dicendogli due volte «Tu non mi hai salvato, tu non mi hai salvato». Esattamente come il capitalismo non ha salvato dalla miseria miliardi di esseri umani, mentre era proprio questa salvezza che prometteva e che promette ancora.

Inquietante e gelido, fisico e virtuale, metafisico e antispettacolare, Cosmopolis è un film di enorme intelligenza anche perché basato sulla scrittura dell’omonimo romanzo di Don DeLillo. Come una volta venne detto dei film di Debord, qui non si esprime una teoria attraverso un racconto cinematografico ma si cerca di filmare direttamente la teoria. Una teoria che spiega come «il tempo sia diventato un bene aziendale». Poiché siamo tempo incarnato, questo significa che il Capitale sta succhiando il sangue dei nostri corpi sino a uccidere se stesso. L’interpretazione apparentemente scadente di Robert Pattinson nel ruolo del protagonista è forse funzionale all’asimmetria del film. Questo attore che sembra un “vampiro rincoglionito” -giusta l’efficace espressione dell’amica Silvana Mazza- sembra infatti dare al film tutto il suo non senso. Un non significato che, naturalmente, non è del film ma è della Finanza sprofondata nella sua propria luccicante barbarie.

Al-Ciaeda

Nel «mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso» (Guy Debord, Opere cinematografiche, Bompiani, p. 54). I media e la politica che li controlla sembra che vogliano confermare ogni giorno quest’affermazione di Debord. Quando il rovesciamento tocca i popoli, i bambini, le guerre, diventa un crimine. Ricordiamo: il Segretario di Stato Colin Powell dichiarò solennemente davanti all’Assemblea dell’ONU che l’Iraq di Hussein deteneva “armi di distruzione di massa” e per questo andava invaso. Armi che poi si ammise non esistevano; la Libia è stata smembrata e distrutta anche perché Gheddafi venne accusato di aver massacrato decine di migliaia di suoi concittadini, buttati poi nelle fosse comuni. Tali fosse si disse poi che erano una fantasia. Adesso è il turno della Siria.
Invito a leggere un dettagliato e assai chiaro articolo di Paolo Sensini dal titolo Di ritorno dalla Siria. Appunti sulla geopolitica del caos, che dimostra in modo documentato e diretto che cosa veramente sta accadendo in quel Paese. Le menzogne del media mainstream che tutti ci condiziona emergono con chiarezza. Colpisce, in particolare, il fatto che gli USA e la Nato sostengano in Siria -come hanno fatto in Iraq e in Libia- i movimenti islamisti radicali che combattono il regime di Assad, quei movimenti che vengono accusati dagli stessi USA e dalla Nato delle peggiori nefandezze, compreso l’attacco alle Torri di New York.
Il documento si può scaricare a questo link. Per i più pigri ho evidenziato i brani secondo me più significativi. Alcuni li riporto anche qui sotto. Perché una delle condizioni per essere liberi è essere informati.

«Bernard Lewis presentò alla Conferenza del 1979 del Gruppo Bilderberg una strategia britannico-americana “approvata dal movimento estremista Fratellanza Musulmana […], con lo scopo di promuovere la balcanizzazione dell’intero Vicino Oriente musulmano lungo linee di divisione tribali e religiose”. […]
Nessuna menzione invece ai “rapimenti, alle torture, alle esecuzioni sommarie, alle mutilazioni e alle pratiche criminali commesse dai gruppi armati che si oppongono al regime siriano”, come ha dovuto ammettere anche l’organizzazione non-governativa Human Rights Watch in un suo rapporto pubblicato il 20 marzo 2012, cioè dopo più di un anno di distanza da quando i terroristi imperversano in Siria. […]
L’obiettivo primario di queste sollevazioni eterodirette è stato fin dall’inizio di frantumare la società siriana, infliggere quante più perdite possibili all’esercito di Assad, dividere il paese su linee etnico-confessionali, paralizzare la produzione agricola, industriale, artigianale. […]
Madre Agnes-Mariam de la Croix espone una realtà molto diversa dal quadro che, volente o nolente, si è raffigurato in Occidente sui fatti siriani. Senza interrompere la sua attività di pittrice per “guadagnarsi il pane” e fare andare avanti i lavori di sistemazione dello splendido Monastero che condivide con un’altra ventina tra suore e frati provenienti da varie parti del mondo, mi parla di “persone spacciate per morte ad uso televisivo e che morte invece non erano”, di “individui uccisi e orribilmente mutilati affinché le loro morti potessero essere attribuite alle violenze dell’esercito siriano, ma che invece erano stati assassinati dai cosiddetti ‘ribelli’ a beneficio delle troupes dei grandi network”. Parla ancora di “violenze inaudite su bambini, di stupri, di mutilazioni di seni, di uccisioni seriali di cristiani presenti nelle città teatro delle rivolte dei fanatici islamisti, di omicidi compiuti anche ai danni di sunniti che non condividevano la loro violenza belluina”. Parla di tutto ciò che ha potuto appurare in prima persona, senza frapporre tra sé e i fatti alcun filtro televisivo o giornalistico, ma la sua testimonianza non viene raccolta da nessun mezzo di comunicazione, neppure da quelli cattolici. Non rientrando nei canoni del “politicamente corretto”, la sua voce fuori dal coro risulta sgradita ai corifei del Big Brother».

Giornali terroristi

Sembra sia stato dunque un cristiano neonazista -forse da solo, forse aiutato da altri pari suoi- ad attuare l’immane massacro. Dopo aver fatto affluire la polizia nel centro di Oslo, ha poi sterminato con inusitata ferocia centinaia di ragazzi a pochi chilometri dalla capitale norvegese. La  peggiore stampa italiana già gongolava per le colpe da attribuire agli islamici. Il Giornale, un’autentica fogna, aveva intitolato a caratteri cubitali «Sono sempre loro. CI ATTACCANO» e una giornalista/deputata del Pdl scriveva un editoriale coerente con il titolo. In poche ore  il titolo è cambiato e dell’editoriale non c’è più traccia. Si può star certi che se la responsabilità fosse stata degli islamici i titoli cubitali sarebbero andati avanti per giorni. Trattandosi invece di patologico fanatismo cristiano, sul Giornale e su fogliacci simili la notizia è già passata in secondo piano. Debord ci aveva avvertito che uno degli elementi fondamentali dello Spettacolare integrato è una pervasiva disinformazione, la quale «réside dans toute l’information existante; et comme son caractére principal» [risiede in tutta l’informazione esistente; e come sua principale caratteristica] (Commentaires sur la société du spectacle [1988], Gallimard 1992, tesi XVI, p. 69).

 

Ipnosi

«Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini divengono degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico» (Guy Debord, La società dello spettacolo, § 18). Una droga infinita sparge ormai la propria potenza tra le menti, dentro gli occhi. Diventa gridolino estasiato da parte di miserabili giornalisti gossippari che per ore -seguiti da miliardi di telespettatori- commentano il matrimonio di due ragazzotti inglesi. Diventa acritica e rivoltante adorazione verso il papa più televisivo della storia, distruttore della libertà teologica, protettore di sacerdoti pedofili, accanito sostenitore della morale sessuale repressiva, amico di dittatori di ogni risma. Diventa suprema propaganda dell’Impero, sventolio di bandiere a stelle e strisce che esultano per una vendetta da stadio, una vera e propria esecuzione. L’ipnosi televisiva è diventata in questi giorni un planetario trionfo della morte. Nella dolciastra favoletta degli eredi di una delle monarchie più ingessate del mondo, nella macabra festa del cadavere romano, nella scenografica finzione dell’assassinio di un antico amico della CIA, è l’intelligenza che muore.

La società dello Spettacolo

La Société du Spectacle (1967)
Commentaires sur la société du spectacle (1988)
di Guy Debord
Gallimard, Paris 1992
Pagine 209 e 149

Lo spettacolo è il dominio della rappresentazione sulla realtà, la confusione costante dei due livelli sino alla loro totale compenetrazione, che cancella i limiti del sé e del mondo, dell’effettuale e dell’immaginato: «la réalité surgit dans le spectacle, et le spectacle est réel. Cette aliénation réciproque est l’essence et le soutien de la société existante» (La Société du Spectacle, aforisma 8, pagina 19).
Lo spettacolare concentré e lo spettacolare diffus -che nel 1967 Debord ancora distingue- nei successivi Commentaires del 1988 saranno unificati nello spettacolare intégré. Tra tutte le forme dello spettacolo contemporaneo è soprattutto la televisione a costituire l’ininterrotto discorso che la folla solitaria e i suoi padroni intrattengono su se stessi, il dominante specchio autoelogiativo di un sociale divenuto autistico e totalitario. Un’immensa allucinazione collettiva sembra fare del mezzo televisivo il suo stesso scopo. Tale spettacolo

est le soleil qui ne se couche jamais sur l’empire de la passivité moderne. Il recouvre toute la surface du monde et baigne indéfinitement dans sa propre gloire (af. 13, p. 21).

Soltanto ciò che appare in televisione esiste veramente, il monopolio dell’apparire è diventato il monopolio dell’essere e del valore fino al punto che non apparire equivale a non esserci. Un mondo sempre più virtuale sembra mostrare evidenti le tracce del profondo nichilismo che lo attraversa: «le spectacle est le mauvaise rêve de la société moderne enchaîné, qui n’exprime finalement que son désir de dormir» (af. 21, pp. 24-25).
Quali le cause della vittoria televisiva? Debord tenta una sia pur sintetica storia del mondo (nel capitolo V: temps et histoire) ma certo non mira a cogliere tutte le radici del fenomeno. Si limita a individuarne due: da un lato la centralità del vedere unita al dominio della tecnica che caratterizza fin dai Greci il progetto filosofico europeo; dall’altro il dispiegarsi vittorioso del Capitale. Lo spettacolo nella sua essenza altro non sarebbe che «le capital à un tel degré d’accumulation qu’il devient image» (af. 34, p. 32).

È molto interessante seguire il percorso di Debord dall’opera del 1967 ai Commentari di vent’anni dopo passando per l’edizione italiana del ’79. In quest’ultima, infatti, le speranze rivoluzionarie e la fiducia nel proletariato “non stalinista” sono intatte, anche se mai Debord confonde la distruzione del presente con la sicura felicità del domani. I successivi Commentaires, invece, dichiarano fin dall’inizio di non voler giudicare né indicare ma soltanto descrivere e si chiudono con un’ambigua dichiarazione di resa affidata a una pagina di dizionario aperta alla voce vainement (“vanamente”): «le travailleur a perdu son temps et sa peine, sans préjuger aucunement la valeur de son travail, qui peut d’ailleurs être fort bon» (cap. XXXIII, p. 118).
Nel mezzo, si dispiega una compiuta descrizione di alcuni degli sviluppi più nascosti della società contemporanea. I temi, gli eventi, le connessioni toccate da Debord sono eccentrici e proprio per questo verosimili. Tucidide e Clausewitz servono a spiegare i servizi segreti, Gracián e La Boétie aiutano a cogliere i nuovi servilismi, mafie e terrorismi vengono inseriti –come è giusto- nel cuore dell’economia e della politica attuali. Aldo Moro e le Brigate Rosse ritornano con frequenza come prova della solidarietà e reversibilità che intercorre fra i servizi segreti e i rivoluzionari. Il «terrorisme illogique et aveugle» (Préface, p. 138) delle BR è l’emanazione della P2 chiamata da Debord Potere Due, in grado di assicurare impunità ai terroristi e la cui concordia è svelata da un lapsus: il S.I.M., il preteso “stato imperialista delle multinazionali” non sarebbe altro che il modo con cui le BR firmavano senza volerlo la loro vera natura di succedanee del Servizio Informazioni Militari del regime fascista (Ivi, p. 135). Non a caso, inoltre, le operazioni delle BR ottenevano il massimo di pubblicità da parte dei media, a suggello della «politique “spectaculaire” du terrorisme» (Ivi, p. 142). Terrorismo che nulla avrebbe quindi in comune con gli intenti sovvertitori della Internazionale Situazionista, della quale La Société du Spectacle volle essere il fondamento filosofico e critico. Ma, a proposito di lapsus, la Situationist International ha la stessa sigla dello SI, lo Spectaculaire Intégré, il quale s’impone ormai ovunque, perfettamente coeso con ogni forma di discorso pubblico, struttura istituzionale, modo di produzione. Esso si caratterizza per l’effetto combinato di

cinq traits principaux, qui sont: le renouvellement technologique incessant; la fusion économique-étatique; le secret généralisé; le faux sans réplique; un présent perpétuel (cap. V, p. 25).

Attraverso di essi l’arte di governo muta radicalmente, il dominio diventa assai più soft: «le destin du spectacle n’est certainement pas de finir en dispotisme éclairé» (cap. XXXII, p. 116). Non la violenza aperta è infatti lo strumento dello Spectaculaire Intégré ma una pervasiva disinformazione la quale «réside dans toute l’information existante; et comme son caractére principal» (cap. XVI, p. 69). La conseguenza è che tutti gli addetti all’informazione hanno sempre un padrone, sono tranquillamente sostituibili e meglio servono quanto meglio mentono. Ciò che conta è infatti rimuovere la storia, la memoria, la distanza poiché «l’histoire était la mesure d’une nouveauté véritable; et qui vend la nouveauté a tout intérêt à faire disparaître le moyen de la mesurer» (cap. VI, p. 30).
All’inizio dei Commentaires, Debord dichiara che non tutto potrà essere detto e bisogna scoprire il segreto fra le pieghe delle parole. Il caso forse più importante di applicazione di questa reticenza è il Sessantotto. Nonostante le sue esplicite intenzioni, esso non ha minimamente scalfito lo Spectaculaire Intégré che anzi ha continuato ovunque a rafforzarsi.

Già nel 1967, Debord aveva compreso e scritto che

À l’acceptation béate de ce qui existe peut aussi se joindre comme une même chose la révolte purement spectaculaire: ceci traduit ce simple fait que l’insatisfaction elle-même est devenue une marchandise dès que l’abondance économique s’est trouvée capable d’étendre sa production jusqu’au traitement d’une telle matière première (La Société du Spectacle, af. 59, p. 55).

E tuttavia secondo Debord dopo il Sessantotto nulla è davvero come prima poiché con esso la società ha perso la sua innocenza. L’ambiguità diventa enigma e persino mistero nel seguente giudizio:

Rien, depuis vingt ans, n’a été recouvert de tant de mensonges commandés que l’histoire de mai 1968. D’utiles leçons ont pourtant été tirées de quelques études démystifiées sur ces journées et leurs origines; mais c’est le secret de l’État (Commentaires, cap. VI, p. 28).

Tra i segreti dello Stato, il più palese è ormai la sua natura spettacolare, che in Italia si mostra in modo persino clamoroso. Le masse inebetite fanno della servitù la loro stessa vita, credendosi libere di scegliere quale spot politico-pubblicitario vedere. L’imbonitore che vende il nulla è diventato non più figura ma sostanza stessa del potere.

[I due testi sono stati tradotti e pubblicati in italiano con il titolo La società dello spettacolo, Baldini e Castoldi, Milano 2008]

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