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«A un tale grado»

Money Monster. L’altra faccia del denaro
di Jodie Foster
USA, 2016
Con: George Clooney (Lee Gates), Jack O’Connel (Kyle Budwell), Julia Roberts (Patty Fenn), Caitriona Balfe (Diane Lester), Dominic West (Walt Camby)
Trailer del film

Lee Gates è il conduttore di un programma finanziario/trash, nel quale dà informazioni sulla Borsa, spiega la finanza e soprattutto consiglia su come investire i propri soldi. Kyle Budwell ha seguito i suoi consigli e ha perso tutto ciò che aveva. Budwell riesce a entrare nello studio televisivo e a prendere in ostaggio Gates. Ciò che vuole non sono i soldi ma delle risposte sulle ragioni della rovina propria e di quella di molti altri investitori. A poco a poco Gates si rende conto che l’inganno del quale egli stesso fa parte è assai più esteso  e criminale di quanto immaginasse. Sequestratore e ostaggio cominciano a chiedere insieme delle spiegazioni. Il pubblico televisivo segue in diretta tutta la vicenda.
Perché il cinema, sia italiano, sia soprattutto hollywoodiano comincia a produrre film di denuncia nei confronti del crimine finanziario? Le risposte possono essere molteplici: si tratta di un argomento di grande attualità; anche registi e attori molto affermati possiedono una qualche forma di coscienza civile -Jodie Foster e George Clooney l’hanno mostrata più volte-; Hollywood ha da sempre affiancato ai prodotti di puro intrattenimento pellicole di spessore artistico e sociale.
Tutto vero. È possibile dare un’altra risposta. Essa consiste nel fatto che trasformare in spettacolo una tragedia, un comportamento, una questione, significa anche normalizzarla, farne qualcosa di familiare, renderla accettabile. Credo che questa sia la risposta che meglio spiega come mai un film ad alto costo come questo -attori assai famosi, centinaia di comparse, ambienti ricostruiti in ogni dettaglio- venga finanziato dalle grandi case di produzione -la Warner Bros in questo caso- che alla finanza attingono per i loro investimenti.
Il film è ben girato ed è ovviamente assai spettacolare. Di esso si potrebbe dire che «le spectacle est le capital à un tel degré d’accumulation qu’il devient image» (Debord, La Société du Spectacle, § 34). Lo spettacolo non è un fatto soltanto tecnico o estetico. Lo spettacolo è soprattutto un evento politico. Il Capitale può davvero arrivare a un tale grado di accumulazione di risorse e di idee da diventare esso stesso immagine. È quanto accade anche con Money Monster.

«Le vrai est un moment du faux»

Lui è tornato
(Er Ist Wieder Da)
di David Wnendt
Germania, 2015
Con: Oliver Masucci (Adolf Hitler), Fabion Busch (Fabion Sawatzki), Katja Riemann (Katja Bellini), Christoph Maria Herbst (Christoph Sensenbrink), Franziska Wulf (Vera Krömeier)
Trailer del film

er_ist_wieder_daNel punto di Berlino in cui si trovava il bunker nazionalsocialista ci sono oggi delle abitazioni private. In un loro cortile improvvisamente si sveglia Adolf Hitler. È un po’ malconcio, non sa di essere nel 2014, all’inizio fatica a rendersi conto della realtà in cui è ricomparso. Ma gli bastano poche ore per orientarsi e per capire che le condizioni della società tedesca e dell’Europa sono favorevoli a un suo ritorno. Le televisioni -che naturalmente lo scambiano per un ottimo caratterista- gli danno spazio, voce, megafono. Il Füher comprende che i suoi veri continuatori non sono i teppisti di estrema destra ma tutti coloro che  -da ogni parte politica- creano le condizioni affinché nascano sentimenti di difesa: che siano nazionalisti islamofobi o cosmopoliti dell’accoglienza universale. Ignorare che siamo anche animali territoriali è infatti un grave errore antropologico e politico. Dopo il successo televisivo, il revenant Hitler pubblica un libro che diventa un bestseller, interpreta un film e sfila di nuovo per le strade di Berlino, applaudito dai passanti.
Il carisma -nel senso weberiano- di Hitler fa di questo personaggio morto nel 1945 un ospite inquietante dell’immaginario collettivo. Lo scrittore Timur Vermes ne ha tratto un romanzo che David Wendt trasforma in un film a più strati, nel quale l’ironia si mescola alla sociologia, la fantasia alla tragedia, l’innegabile simpatia che il protagonista suscita si coniuga alla inquietante sincerità delle sue affermazioni. Allora come oggi Hitler non nasconde nulla del proprio progetto politico e per questo attira consensi. «”Lei è un mostro!” – ” Pensa questo? allora dovrebbe condannare tutti coloro che votarono questo mostro, erano tutti mostri? No, era gente comune che decise di votare un uomo fuori dal comune e di affidargli il destino del proprio paese. Lei si è mai chiesto perché il popolo mi segue? Perché in fondo siete tutti come me, abbiamo gli stessi valori’».
Er Ist Wieder Da penetra nel cuore di tenebra della storia contemporanea, nella sua tirannia mediatica, nella miseria che elegge personaggi ben modesti a membri delle attuali classi dirigenti, come coloro che oggi fanno politica intendendo con tale espressione i loro banali interessi finanziari. Il ritornato Hitler ha buon gioco rispetto a tale inadeguata feccia -formidabili gli epiteti con i quali gratifica alcuni attuali capi di governo- e riesce facilmente a incunearsi nella dismisura spettacolare della televisione e del web, che conquista con i suoi sguardi, i silenzi, le parole affilate e il condiviso delirio.
Questo è un film classico nella struttura ma situazionista nelle radici e debordiano nelle intenzioni: «Dans le monde réellement renversé, le vrai est un moment du faux» (La société du spectacle, § 9). Il falso Hitler magistralmente interpretato da Oliver Masucci mostra la verità di una società totalitaria che trasforma ogni istante reale nella falsità della comunicazione contemporanea.
Si ride molto, ci si diverte assai in questo film. E si pensa. Mi è sembrato geniale.

Programmi dell'a.a. 2015-2016

Dall’anno accademico 2015-2016 insegnerò anche Estetica.
Pubblico qui i pdf dei programmi che svolgeremo.

Filosofia della mente (Corso Magistrale in Scienze filosofiche): Il libero arbitrio tra neuroscienze e filosofia (pdf)

Storia dell’estetica (Corso Magistrale in Scienze filosofiche): L’estetica dello spazio in Proust (pdf)

Sociologia della cultura (Corso Magistrale in Comunicazione della cultura e dello spettacolo): Industria culturale e società dello spettacolo (pdf)

 

Volare

Birdman o
(l’imprevedibile virtù dell’ignoranza)
[Birdman or (The Unexpected Virtue of Ignorance)]
di Alejandro González Iñárritu
USA, 2014
Con: Michael Keaton (Riggan Thompson), Edward Norton (Mike Shiner), Emma Stone (Sam), Zach Galifianakis (Jake), Andrea Riseborough (Laura), Naomi Watts (Lesley), Amy Ryan (Sylvia)
Trailer del film

birdman-1Ha ottenuto fama e danaro interpretando l’uomo uccello. Ma Riggan Thompson vuole chiudere con il personaggio e con la saga di Birdman e dimostrare di essere un vero attore, un attore di cose serie, di teatro. Adatta, interpreta e dirige What We Talk About When We Talk About Love di Raymond Carver. Durante le prove e le anteprime succede veramente di tutto, compreso lo scontro fisico con l’attore coprotagonista, un convinto narciso. La critica è pronta a stroncare spettacolo e ambizione artistica di Thompson che però ha un colpo d’ala (è il caso di dire) inventando un nuovo genere teatrale, il super realismo.
Birdman è una descrizione onirica e grottesca non soltanto della psiche dell’attore -egocentrico, egoista, ego-, ma anche e soprattutto della società dello spettacolo. Non quella di Carver, non quella di Birdman o di Batman -che è stato davvero interpretato con grande successo (e incassi) da Michael Keaton- ma la società della Rete, di twitter, di facebook, di youtube. Una società dove si esiste soltanto se si abita in questi spazi virtuali. La figlia Sam rimprovera a Riggan di essere nessuno -alla lettera, di non esserci- perché, appunto, non possiede nessuna identità sui Social Network. La vocazione dell’attore, vale a dire la vocazione di noi tutti quando entriamo in contatto con gli altri, la vocazione ad apparire, è diventata lo spettacolo di massa, è diventata il fluire senza fine di messaggi, testi, frammenti, video, inseriti a miliardi e senza interruzione sulla Rete, compreso questo stesso testo che state leggendo.
«Smantellando le percezioni spazio-temporali e le esperienze sensibili e sostituendole con immagini prive di alcuna aderenza con il reale, i soggetti si trovano nella condizione di essere continuamente investiti e infarciti di nulla, sentendosi però paradossalmente appagati dalla fagocitazione continua di simulacri. […] Lo spettacolo promette felicità e notorietà solo a chi si lascia ubriacare e ripiega docilmente verso la passività, così il vuoto lasciato dalle azioni-non-agite e dai pensieri-non-pensati viene immediatamente riempito dallo svago e dal di-vertimento: ossia dal vuoto stesso». (Alessia Vacante, La vita offesa: Adorno, Debord e la società postmoderna, tesi di laurea magistrale in corso di redazione). Se questo vale per tutti, giunge all’acme nella persona e nella presenza dell’attore, che dell’apparire è un professionista. Il film è dunque anche una radicale fenomenologia dell’apparenza, come viene esplicitamente teorizzata da Mike, il quale dichiara di «fingere sempre, tranne quando sono sulla scena».
Ma Birdman è soprattutto un radicale esercizio formale. Si tratta infatti di due ore di film frutto di quattro soli piani sequenza. Certamente ci sono delle cesure secondarie che sono state ben nascoste ma il risultato visuale è una raffinatissima e vorticosa successione di azioni e movimenti che non sembrano aver subìto montaggio ma essere scaturite dal ritmo spaziotemporale della vita.
Un modello è il cinema di Altman, un altro è la straordinaria scena iniziale del Falò delle vanità di Brian de Palma, un lungo piano sequenza che qui viene ripetuto di continuo, con il risultato di far diventare il cinema ciò che è: una pura costruzione della mente individuale e collettiva.
Riggan Thompson siede sull’aria, sposta gli oggetti senza toccarli, vola sulla città. Tutto questo accade realmente o nella sua fantasia? Una domanda priva di senso. Ciò che conta è che dalle sue azioni, intenzioni, allucinazioni scaturisca uno spettacolo barocco e visionario, scaturisca il cinema. Un desiderio di volare verso la propria solitudine, quella nella quale si è felici non perché altri riconoscono il nostro valore, il nostro significato, la nostra esistenza, ma perché stiamo volando. E basta. Birdman.

Vrai / Faux

Io sto con la sposa
di Antonio Agugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry
Italia-Palestina, 2014
Trailer del film

Io_sto_con_la_sposaIo sto con la sposa è un documentario che narra la vicenda di cinque profughi siriani arrivati in Italia -rischiando ovviamente la vita in mare- e da qui aiutati a raggiungere la Svezia, Paese a quanto sembra più generoso nel concedere asilo politico. Ad aiutarli ci sono degli italiani, compreso un palestinese che da poco ha ottenuto la nostra cittadinanza. Per attraversare l’Europa da Milano a Malmö -passando per Marsiglia, Lussemburgo, Bochum, Copenaghen- la comitiva finge un matrimonio. Ospitati da vari amici, tutti arrivano a destinazione. Lungo il tragitto i migranti narrano le loro vite, la tragedia, i progetti.
Un film come questo -al di là del suo specifico argomento- dice molto sui meccanismi della comunicazione contemporanea. Anzitutto la questione della sposa; in realtà la vicenda avrebbe potuto farne a meno e non sarebbe cambiato nulla. Non vediamo infatti mai la carovana del ‘matrimonio’ giustificare il proprio viaggio davanti a qualche polizia con la motivazione della sposa. Si è dunque trattato di un’idea funzionale non allo scopo del viaggio ma alla realizzazione del film.
Poi: tutte le frontiere vengono attraversate senza controlli poiché il Trattato di Schengen non li prevede. E però nel passaggio dall’Italia alla Francia invece di utilizzare l’automobile -come accade sempre nelle successive tappe-, si vedono la sposa -con il suo abito bianco- lo sposo e tutti gli altri inerpicarsi lungo i sentieri dei vecchi contrabbandieri, molto scomodi naturalmente. Anche questa sembra una scelta funzionale al film e non all’obiettivo di raggiungere la Svezia.
Infine: il film si concentra -legittimamente- sulle vicende personali dei profughi e delle loro famiglie rimaste in Siria. Non si entra quasi mai nelle questioni politiche che hanno generato quella guerra. E tuttavia parlare degli effetti misconoscendone le cause lascia l’impressione che in Siria ci sia una guerra condotta da dei resistenti contro un dittatore. Gli amici della sposa che combattono in Siria vengono infatti da lei definiti con l’espressione Esercito libero. Si tace completamente sul fatto che la tragedia siriana è analoga a quella irachena, libica e ucraina. Paesi la cui società multietnica e multireligiosa è stata distrutta dall’intervento della Nato e degli USA per ragioni geostrategiche ed economiche. Il risultato è stato guerra civile, massacri, ferocia, distruzione. Ed è stato la nascita dell’ISIS, del ‘califfato’ islamista ultrafanatico e armato da quegli stessi Paesi -Stati Uniti e loro alleati- in funzione antisiriana. Assad è certamente un dittatore, come lo erano Saddam Hussein e Gheddafi. Ma dittature sono anche quelle dei Paesi arabi alleati degli USA, a cominciare  dall’Arabia Saudita, una monarchia feudale-petrolifera dove non esistono libertà politiche e civili; dove non vi è alcun diritto per le donne, per gli omosessuali, per i dissidenti, per i credenti di religioni diverse da quella musulmana; dove è prevista la pena di morte per apostasia dall’Islam. Ma sono buoni amici degli americani.
Lodevole nella testimonianza personale, un po’ ripetitivo nei risultati, Io sto con la sposa è dunque soprattutto un’operazione di mascheramento, che narrando la tragedia di alcune persone sostiene coloro che a quella tragedia hanno dato inizio. In questo film la realtà si fa finzione e la finzione diventa realtà: «Dans le monde réellement renversé, le vrai est un moment du faux» (Debord, La Société du Spectacle, Gallimard 1992, § 9).

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