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Dentro l’acqua

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Overload
di Daniele Villa
in scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini
produzione e regia Sotterraneo

È difficile rinnovare il teatro ed è anche facile. Il teatro è infatti cosa viva, è una sonda sensibilissima del tempo in cui accade, è molteplicità di umani che recitano, di testi già scritti, di tecnologie sempre nuove, di cangianti modalità di fruizione. Ed è difficile perché si tratta sempre della messa in scena del mondo, di un esplicito artificio che pretende però di essere verosimile, di essere creduto.
Sotterraneo riesce nell’impresa mettendo in scena l’acqua. Sì, l’acqua della quale parla una celebre storiella di David Foster Wallace (1962-2008) su un pesce anziano che incontra due pesci giovani e li saluta chiedendo loro: «Ciao ragazzi, com’è oggi l’acqua?». I due pesci proseguono il loro cammino e dopo un po’ uno dei due chiede all’altro «Ma che diavolo è l’acqua?». Parabola dal chiaro significato ontologico, che aiuta a comprendere la difficoltà che in filosofia sempre si incontra nel parlare e nel capire l’essere, che è appunto come l’acqua per i pesci. Ci stiamo dentro senza sapere che è l’essere.
La mente di Wallace, esperto di matematica, filosofia e droghe, dovette essere un caleidoscopio di concetti, storie, ipotesi, angosce, slanci, timori, ironia, fobie, un overload, un sovraccarico che lo spettacolo riesce a comunicare attraverso un insieme di trovate con le quali sembra che il pubblico stesso stabilisca che direzione dare alle scene, quando ascoltare e quando silenziare Wallace, il cui discorso si dipana nel racconto di una giornata di settembre, la giornata che lo porterà al suicidio.
Mentre lo scrittore racconta si aprono squarci nei quali appaiono tennisti, antichi guerrieri, persone che lanciano molotov e Banksy che getta mazzi di fiori, attori che nuotano in mezzo al pubblico, giocatori di football americano, ibridi uomo-pesce e altro ancora.
Un’operazione che funziona perché gli attori sono molto bravi a sincronizzare al secondo i loro movimenti, i silenzi, l’apparire, l’urlare. L’ultima scena racconta il viaggio notturno in automobile dei cinque interpreti alla fine dello spettacolo, i loro pensieri non detti, i pensieri invece espressi, i gesti, gli insulti, l’affetto, i corpi nell’abitacolo. Sino all’incidente finale che li fa precipitare dentro l’acqua, dove muoiono.

Shakespeare

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Shakespearology
in scena Woody Neri
scrittura Daniele Villa
regia Sotterraneo

La Compagnia teatrale Sotterraneo è riuscita a invitare sulla scena William Shakespeare, a parlare con lui, a sentirlo suonare, danzare, recitare. E raccontare episodi notissimi e altri sconosciuti della sua biografia. L’impresario teatrale, l’autore, l’attore, il regista inglese ha intrattenuto il pubblico con una varietà di registri, di toni, di argomenti, di poesia e di rudezza capaci di avvolgere. E ha soprattutto ben chiarito che nella sua esistenza e nella sua opera non c’è nulla, proprio nulla, della distorsione romantica del «genio», del «sognatore», dell’inventore di mondi. O meglio, Shakespeare ha inventato mondi ma tenendoli ben dentro l’immanenza delle passioni e della miseria umana, sempre volto a conciliare i suoi personali slanci con il necessario successo di pubblico, pena il fallimento della sua Compagnia e dei suoi progetti. Come Kubrick nel Novecento, questo artista è riuscito a essere raffinato e profondo nella concezione e realizzazione delle sue opere, universale e molteplice nella loro fruizione da parte di persone, gruppi, epoche assai diverse. Un dono raro, certamente.
La presenza stessa di Shakespeare sulla scena conferma che ci sono degli umani che non moriranno sino a quando la loro parola risuonerà nello spaziotempo; umani molto molto più vivi di innumerevoli contemporanei. Infatti «nicht Alle geboren werden, welche doch sterben; ‘non tutti coloro che muoiono nascono anche’» (Nietzsche, Umano, troppo umano II, parte seconda “Il viandante e la sua ombra”, af. 58) e la vita è qualcosa di assai più complesso di un corpo che respira nel presente.
La vita è il radicarsi nella filogenesi biologica e culturale, la vita è memoria di ciò che è stato e che merita di essere ricordato, la vita è la comprensione più lucida, disincantata e commossa del limite che sgorga in ogni istante. «Life’s but a walking shadow, a poor player / That struts and frets his hour upon the stage / And then is heard no more. It is a tale / Told by an idiot, full of sound and fury, / Signifying nothing», «La vita è un’ombra che cammina, un povero attore che si agita e pavoneggia la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente. È un racconto narrato da un idiota, pieno di strepiti e furore, significante niente» (Macbeth, atto V, scena 5). 

[Foto di scena di Francesco Niccolai]

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