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Squadristi

Squadristi
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
3 maggio 2024
pagine 1-8

Il 19 aprile 2024 è stato diffuso un comunicato del Cuda, un coordinamento di docenti dell’Università di Catania, a proposito di un Convegno che si sarebbe dovuto tenere il giorno stesso nell’Aula Magna dell’Ateneo. Nell’articolo riporto questo documento; subito dopo si può leggere la mia risposta, alla quale segue un resoconto del collega Carmelo Ferlito su quanto accaduto in Aula Magna quel pomeriggio. Il quarto e ultimo testo è parte di una mia ulteriore risposta apparsa sulla mailing list del Cuda.
Nell’articolo ho utilizzato la categoria «squadrismo» al di là dei suoi limiti storici per indicare il seguente significato: Azione di violenza fisica o verbale attuata da un gruppo organizzato per impedire ad altri, singoli o gruppi, di esercitare i diritti costituzionali, di muoversi nello spazio pubblico, di esprimere le proprie opinioni.
Credo che l’insieme di tali documenti descriva in modo assai vivido gli impulsi fortemente autoritari che guidano il politically correct e dei quali l’Università di Catania è stata vittima senza reagire.

Unict: l’elezione del nuovo Rettore (con lettera dalle Bahamas)

Pubblico un documento del Coordinamento d’Ateneo sulle ipotesi -già respinte anche dal Ministero- di differimento dell’elezione del nuovo Rettore dell’Università di Catania. Visto che alcune “Associazioni di consumatori” hanno addirittura presentato un esposto contro la decisione di espletare in agosto le procedure elettorali, previste e dunque imposte dallo Statuto di Ateneo, aggiungo una lettera della sezione del CudA delle Bahamas, nella quale -in effetti- si conferma che votare in agosto è disdicevole.

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Lo stato d’emergenza balneare

È circolata in questi giorni, da parte di alcuni amici e colleghi, una richiesta di rinvio delle elezioni per il rinnovo della carica del Rettore dell’Università di Catania.
In tale richiesta, pacata nelle forme e nei toni, si ribadisce l’assoluta legittimità del percorso stabilito dal decano, Prof. Vincenzo Di Cataldo, ma si lamenta l’“opportunità” del voto a fine agosto e la necessità di un più ampio dibattito elettorale.
Con ben altro tono, le solite fonti – strillate se non ormai isteriche – esterne all’università, chiedono invece, addirittura, un intervento del Consiglio dei Ministri per una procedura d’urgenza che consenta un fulmineo  commissariamento (ipotesi che lo stesso MIUR ha recisamente cassato). A tali urla non vale la pena rispondere. Che tra una crisi internazionale e l’altra, un conflitto con l’Unione Europea e l’arrivo di una nuova ondata di esuli dalle guerre, il governo italiano trovi spazio per procedure di tale sorta, con decretazione d’urgenza, è pura fantascienza, amata e coltivata da chi altro non sa népuò fare.

Ci permettiamo dunque, sempre in modo pacato, e nell’interesse dell’Ateneo, di contribuire alla riflessione su questo tema a partire dalle utili considerazioni delle colleghe e dei colleghi che hanno rivolto l’appello.
Pare evidente che non vi è una legittimazione normativa stabile che consente di uscire fuori dal dettato statutario, il quale prescrive senza possibilità di equivoco il voto entro i sessanta giorni. In mancanza di tale legittimazione nessuno può operare al di fuori delle norme.
La richiesta di un dibattito ampio e di un vero e sereno confronto democratico è un tema rilevante.
Ci permettiamo però di sottolineare alcuni elementi di non poco conto.

  • Invocare l’inopportunità del voto in agosto pare – di certo in modo involontario – fare pericolosamente leva su una sorta di privilegio del corpo universitario. Ovvero: come spiegare a chi a fine agosto lavora in un centro commerciale, magari per pochi euro e con doppi turni, o conduce una vettura pubblica nel caldo battente, che ci è di peso muoverci da una comoda sede balneare e andare a deporre una scheda in un’urna dentro un’aula dotata di fresca aria condizionata? Per affermare – se non recuperare, per chi ne avesse bisogno – una immagine pubblica di normalità e integrità morale, ci pare ovvio che i docenti universitari e il personale tecnico-amministrativo, come tutti i lavoratori del mondo civile, si rechino a compiere un esercizio del loro dovere mentre i negozi sono aperti e le istituzioni pubbliche in piena attività. Ci pare piuttosto che sarebbe un segnale grave se le urne venissero disertate per motivi di “forza maggiore balneare” (altra e comprensibile motivazione è invece quella dei pochi che possono avere impegni scientifici, cosa possibile in qualsiasi momento dell’anno).
  • Richiamare una procedura che esula dalle norme rischia di condurre, domani, a una richiesta di invalidazione delle elezioni stesse per vizio formale. Non sarebbe la prima volta – lo sappiamo – alle nostre latitudini. E che a qualcuno venga voglia di adire le aule giudiziarie per annullare un voto sgradito è cosa che non si può escludere, anzi. Forse non si è capito fino in fondo che bisogna uscire subito da questo gioco al massacro. E per farlo bisogna subito operare con rigore e serenità nell’alveo della normalità possibile (che è quella poi di ogni istituzione e di ogni istituto civile).
  • Chi insegna e vive l’Università – non certo chi di questo non ha idea né a questo è minimamente interessato – sa bene che iniziare un anno accademico senza le strutture di governo è un massacro gestionale annunciato. Rinnovare le cariche politiche dell’Ateneo con un nuovo assetto di governo, legittimato e forte del prestigio del voto e della qualità della scelta (e tutti i colleghi che si stanno preparando al voto ci paiono di alto o altissimo profilo) è un aiuto fondamentale, anche al processo di iscrizione e immatricolazione che rischia, oggi, una contrazione che sarebbe grave; e che verrebbe pagata a caro prezzo dal corpo studentesco e da chi ha meno opportunità.
  • Infine; non si è forse sufficientemente notato che vi è già un intervento politico, che è quello del prossimo invio di ispezione ministeriale. Che l’Ateneo riparta con nuovo assetto, credibile e forte; e che i cassetti siano aperti. Tutti i cassetti. È evidente infatti che gli ispettori avranno necessità di valutare un arco ampio di azioni e attori, che nel tempo hanno operato a più livelli nell’Ateneo. Ben venga tale ispezione, capace di rafforzare un nuovo corso e aiutare l’Ateneo di Catania a risollevarsi da questa tremenda crisi. Sempre nell’assoluto e doveroso rispetto – richiesto da norme scritte e non scritte – per chi indaga, per chi è indagato e per chi ha il compito di giudicare.

Qualcuno diceva che “sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione”, ovvero sulla proclamazione dell’emergenza. Spesso a chi invoca l’emergenza segue chi vuole comandare in modo assoluto (il dato è storico e, come qualcuno direbbe, “fattuale”). Grazie al cielo siamo ancora in stato di diritto e nella possibilità piena di determinare mutamenti e crescita della nostra Istituzione, senza principi, principesse o loro surrogati.

Rinnoviamo infine l’appello per una campagna elettorale ricca di contenuti – diritto allo studio, trasparenza di procedure e gestione amministrativa, rilancio di didattica, ricerca, internazionalizzazione, terza missione – e scevra da personalismi e meschinità.
Anche su questo, siamo certi, tutte le docenti e i docenti, tutti lettori e le lettrici, il PTA e gli studenti dell’Ateneo di Catania sono concordi.

Catania, 17 luglio 2019

CUDA 

(Coordinamento Unico dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera, aperta e democratica)

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Care colleghe e cari colleghi, amiche e amici,
Vi scriviamo dalle Bahamas, dove ci troviamo per un convegno che si protrarrà fino al giugno 2020 (si sa, gli impegni scientifici qui sono caraibici anche nei tempi…).

Non abbiamo però voluto perdere l’occasione per consultare la locale associazione dei consumatori (la celebre Caraibiconsum: una vera potenza per dottrina e autorevolezza); e abbiamo posto all’esimia istituzione la vexata quaestio, che oggi dilania la riviera jonica nel suo versante accademico: il Decano dell’Ateneo catanese ha poteri o no? Può o meno indire le elezioni? È sua facoltà scegliere per i comizi elettorali la data che più gli aggrada o deve attenersi al dettato statutario? E poi, diciamola tutta, è questi una figura reale o appartiene al genere della letteratura fantastica? Ma soprattutto, questione delle questioni: si puote o non si puote votare sotto la sferzante canicola estiva?

La Caraibiconsum, dopo un’attenta disamina della questione che ha impegnato con strenua dottrina – sono giuristi provetti – i suoi componenti, ha deliberato che nulla rileva il fatto che in assenza di governo dell’Ateneo si creerebbero danni ai consumatori veri e propri, in primis agli studenti (con rischi potenziali di crollo iscrizioni, aumento tasse, taglio dei servizi); nulla rilevano i decreti e nemmeno i luogotenenti; e soprattutto è gravissimo anche solo immaginare un voto con una temperatura al suolo superiore ai 10 gradi centigradi nelle ore centrali della giornata (il voto è pratica notturna, da stagioni buie, va evitata e praticata tra le brume, almeno finché non venga fuori dall’urna il candidato giusto…).

La Caraibiconsum ha dunque decretato senza possibilità di appello che l’Università di Catania va commissariata – magari, perché no, con decreto della locale giunta militare – almeno fino al 2021; e quindi i corsi sospesi e le lezioni rinviate a data da destinarsi, in attesa di un inverno talmente rigido da consentire un veloce e furtivo ricorso alle urne in aule degnamente riscaldate.

Data l’autorità della fonte arbitrale e l’urgenza del momento, ci periteremo di inviare la comunicazione agli organi dell’Ateneo e alla solerte stampa cittadina.
Invitiamo intanto tutte e tutti a diffondere la lieta novella e il verbo giuridico che giungono da sì alta contrada.
Nella piena consapevolezza che la situazione sia grave ma non seria, ci dichiariamo tropicalmente vostri e salutiamo con osservanza (di un magnifico tramonto caraibico),
CudA

Lettera aperta ai candidati alla carica di Rettore di Unict

Sono giorni di tempesta per l’Università di Catania, che ha bisogno di ritrovare identità, trasparenza, correttezza. E dunque anche attenersi allo Statuto. La richiesta, o addirittura la pretesa, di differimento dell’elezione del nuovo Rettore e di commissariamento di Unict pur in presenza delle dimissioni del precedente Rettore, è un sintomo molto chiaro non soltanto del livello del ceto politico nazionale che parla in questi termini ma anche e soprattutto dell’atteggiamento di alcuni docenti dell’Ateneo e dei media locali.
Le forze che hanno contribuito all’attuale disastro vogliono tempo per ritessere le trame dei loro affari. A costoro nulla importa degli studenti, della ricerca, del territorio, dell’insegnamento, della scienza. Presto verranno invece formalizzate le candidature; da qual momento si discuta in modo aperto e pubblico della situazione in cui ci troviamo e delle vie d’uscita. E poi si elegga il nuovo Rettore, nei tempi previsti dallo Statuto e stabiliti dal Decano. Un Rettore radicato nella didattica e nella ricerca.
Mai come in questo momento ci devono accompagnare lucidità, energia, freddezza. Ne usciremo, nonostante le forze oscure che vogliono distruggere l’Università di Catania.
Qui sotto la Lettera aperta che il CudA indirizza ai candidati alla carica di Rettore.

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Lettera aperta ai candidati per la carica di Rettore dell’Università di Catania

L’Università di Catania si appresta a eleggere nei prossimi mesi il quarto Rettore in sei anni (ovvero l’arco previsto per una sola carica rettorale). Dal 2013 al 2019 già tre Rettori dell’Ateneo catanese si sono dimessi anzitempo o sono decaduti per deliberazioni della giustizia amministrativa. Basta questo dato per dire quanto complessa se non drammatica sia la situazione della nostra Istituzione.

La Nostra Università si trova oggi dinanzi a una duplice e ardua sfida: rigenerare la sua fisiologica autonomia istituzionale, ricuperando così quella credibilità e affidabilità che le è necessaria per operare all’altezza della sua tradizione; e insieme intraprendere un percorso di profonda riforma interna – sul piano culturale, gestionale e amministrativo – che le consenta non solo di recuperare il tempo in parte perduto nelle vicende di questi ultimi anni, ma anche di mettersi al passo con quei processi di trasformazione dell’Università che essa non ha ancora pienamente assimilato, in un tempo ancor più lungo.

A render ancor più complesso questo quadro, l’Ateneo dovrà, nel corso del 2020, sottoporsi a una non facile validazione della sua complessiva attività (didattica, ricerca, terza missione) da parte dell’Agenzia Nazionale della Valutazione dell’Università e della Ricerca (ANVUR).

Una tempesta perfetta.

Riteniamo che il Nostro Ateneo abbia le risorse per rispondere a queste sfide, a patto di sapere mobilitare il meglio delle sue energie, dei suoi talenti e delle sue capacità.

Riteniamo che questo non sia il momento per pur comprensibili ambizioni personali e individualismi; ma che sia necessario un valido e credibile progetto di gruppo che coniughi una visione condivisa e disinteressata nei confronti della missione formativa e scientifica con un alto profilo programmatico e gestionale.

Il prossimo Rettore dell’Ateneo – oltre a un ovvio ma indiscutibile curriculum di scienziato/a e studioso/a, stabilmente radicato/a nell’Università e nei suoi problemi – dovrà dunque, a nostro parere, esser capace di produrre quella “mobilitazione di idealità e ingegni” che è l’unica vera chance per la nostra comunità, oggi ferita, da ultimo (ma non solo) dalle vicende giudiziarie che la hanno interessata; ma viva e forte del suo passato, del suo futuro ma soprattutto del suo presente di comunità di eccellenza costituita da giovani, studiosi, lavoratori e lavoratrici.

È per questo fondamentale che il prossimo Rettore sia il pivot di un processo di trasformazione forte del nostro ateneo, legato a doppio nodo ai valori della legalità, della trasparenza, dell’autonomia vera e reale da interessi di cricche, lobby e partiti; e dunque dedicato senza esitazioni alle esigenze di benessere e futuro delle nostre studentesse, dei nostri studenti, delle loro famiglie e del nostro territorio.

In questo quadro proponiamo alcuni temi che ci paiono qualificanti per una vera ripresa del nostro Ateneo.

A livello locale consideriamo fondamentali i seguenti punti:

- Il rafforzamento del codice etico interno recentemente approvato (con il connesso codice deontologico dei doveri del docente) e la sua discussione in tutte le sedi istituzionali dell’Ateneo, oltre che la presentazione pubblica dello stesso ai portatori d’interesse, ai Comitati Consultivi dei Corsi di Studio e alle Consulte Studentesche.

- Una energica politica di sostegno al diritto allo studio, attraverso il finanziamento delle borse di studio e dei servizi agli studenti meritevoli ma non abbienti, per i quali UNICT (pur avendo messo in campo in questi anni alcune positive iniziative) è pur sempre tra i fanalini di coda del sistema universitario (si vedano le ultime statistiche nazionali). In generale è fondamentale il sostegno agli studenti come attori centrali dell’Università, cui garantire spazi e opportunità di crescita collettiva e individuale, nonché la possibilità di incidere sulle scelte dell’Ateneo a vari livelli. In questo quadro ci pare fondamentale un rinnovato rapporto con il sistema scolastico, affinché l’Università sia soggetto propulsivo e ascensore di crescita sociale per il suo territorio.

- Una revisione statutaria della governance di Ateneo, finalizzata a limitare la concentrazione dei poteri in poche mani e garantire meccanismi di controllo dal basso; in particolare per quel che riguarda la diminuzione del numero di direttori presenti in Senato Accademico, l’istituzione della consulta dei direttori di dipartimento, la scelta dei membri interni del Consiglio di Amministrazione effettuata tramite elezioni, l’innalzamento della quota studentesca e del PTA nelle elezioni del Rettore.

- Una politica di rilancio dell’offerta didattica in ambito di lauree triennali, una politica di incentivo e rafforzamento delle lauree magistrali, con una difesa dei saperi di base in tutti gli ambiti scientifici, e un programma strategico e urgente di sostegno ai dottorati di ricerca e ai processi di internazionalizzazione dell’Ateneo, su cui si è ancora in una condizione di insufficiente capacità.

- Una politica di investimento continuo nell’ambito della ricerca, con particolare riferimento ai bandi internazionali.

- Una programmazione condivisa e trasparente per gli investimenti sulle grandi apparecchiature.

- Un processo di crescita e riqualificazione del PTA, connesso allo snellimento delle procedure amministrative, al potenziamento del monitoraggi o della didattica e della gestione e diffusione dei risultati ottenuti nell’ambito della ricerca.

- Una piattaforma delle attività di Terza Missione e Public Engagement, che parta dal rilancio del sistema museale e della Città della Scienza.

- La ripresa della pratica delle conferenze programmatiche aperte a tutto l’Ateneo e al territorio sui temi principali della missione istituzionale: didattica, ricerca, internazionalizzazione, public engagement.

Nella dimensione nazionale della presenza di UNICT riteniamo che il nuovo Rettore debba promuovere un Coordinamento con gli altri Atenei, a partire da quelli meridionali, ai seguenti fini:

- La revisione del meccanismo di attribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario con una rideterminazione del peso della VQR

- La revisione dei criteri di distribuzione dei Punti Organico, con la richiesta di un piano straordinario di assunzioni di giovani leve, di un piano di almeno 100 mln per i passaggi da RTI a PA, della rideterminazione dell’indicatore nazionale di sostenibilità economico-finanziaria e delle spese di personale e l’incremento delle risorse del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio.

- L’apertura di un tavolo nazionale sulla riforma della legge Gelmini e in particolare dello stato giuridico della docenza; un tavolo aperto di lavoro che vagli tutte le proposte oggi in campo, tra cui la creazione di un pre-ruolo unico che sfoltisca e razionalizzi la giungla di figure precarie della ricerca, la separazione tra reclutamento e avanzamento e la creazione di un ruolo unico della docenza universitaria con valutazione paritaria e permanente della didattica e della ricerca, come presente in altre realtà europee.

Infine, una richiesta accorata.
La campagna elettorale, breve ma intensa, che ci apprestiamo a vivere ci chiama tutte e tutti a una responsabilità diretta.
Non è il tempo di polemiche sterili e veleni personali.
È il tempo della trasparenza, del confronto democratico e franco e del comune sentimento di appartenenza a un’Istituzione che vede oggi messo in discussione il suo futuro.
Un’Istituzione – lo sappiamo tutti – da cui dipende il benessere di un territorio e di nuove generazioni che potrebbero vivere nel degrado culturale e nella desertificazione economica; o essere protagoniste di quel rilancio socio-economico e civile che da tempo tutte e tutti aspettiamo.
E che a loro dobbiamo.

Catania, 10 Luglio 2019

CUDA

(Coordinamento Unico dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera, aperta e democratica)

Unict non è un’associazione a delinquere

Il Coordinamento Unico dell’Ateneo di Catania, del quale faccio parte, ha scritto, discusso e diffuso il documento che pubblico qui sotto e allego in pdf, documento che ho contribuito a redigere e che spero aiuti a comprendere la realtà effettiva dell’Ateneo rispetto alle inesattezze, banalità e vere e proprie bugie che sono state in questi giorni ripetute.
Vorrei richiamare l’attenzione soprattutto su un passaggio del documento, sulla richiesta di «fare piena luce sugli ultimi e travagliati dieci anni della vita dell’Ateneo di Catania e sugli attori che hanno realmente e drammaticamente condizionato il suo operato, tramando con i partiti – che abbiamo sempre detto dover rimanere esterni alle vicende universitarie – e sottraendosi così a precise responsabilità per colpire chi ne aveva evidenziato le trame. Chi ha sinceramente a cuore l’esistenza e la funzione di questo Ateneo e l’opera che esso svolge nel suo territorio non può che chiedere con forza che emerga veramente tutto».

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Versione in pdf


L’Università di Catania non è un’associazione a delinquere ma va rigenerata

Lettera aperta agli studenti

Prima che come docenti è come educatori che ci rivolgiamo alle studentesse e agli studenti della nostra Università.
L’inchiesta della Procura di Catania sui vertici dell’Università della nostra città pone molti interrogativi e lancia molte ombre.
Noi riponiamo la massima fiducia nella magistratura giudicante e ci auguriamo che la giustizia faccia il suo corso nel più breve tempo possibile.
Chi ha sbagliato, infangando il nome del nostro Ateneo, dovrà pagare per quanto può avere commesso, e per l’onta che inevitabilmente da ciò può investire tutta la comunità accademica. Ci colpisce e indigna, al di là delle responsabilità penali, il tono di alcune delle anticipazioni, per il profilo culturale ed etico che emerge, non consono a un’istituzione come quella nella quale lavoriamo e per la quale spendiamo la nostra missione educativa nel nome della formazione delle nuove generazioni e della promozione della ricerca scientifica.
Al tempo stesso dobbiamo subito e con forza mettere in guardia da alcuni toni e interpretazioni dei fatti resi noti, in cui si confondono elementi concreti con altri irrilevanti. Riteniamo che i primi approfondimenti consentiranno di chiarire diversi aspetti di ciò che oggi viene contestato. Ad esempio, quando nelle intercettazioni si parla di ’18’ e ’24’ ci si riferisce semplicemente a due articoli della Legge Gelmini (Legge che noi abbiamo criticato aspramente alla sua approvazione, che è origine di molte delle storture attuali dell’Università, ma che tale è), i cui articoli stabiliscono le diverse modalità di espletamento dei concorsi; quando si parla di 12 o più pubblicazioni ci si riferisce al limite numerico delle ricerche scientifiche che si possono presentare a un concorso: anche questo elemento è stabilito dalle leggi in vigore, è presente in molti ordinamenti europei e non è frutto di alcuna macchinazione; alcuni dei concorsi – quelli “dell’articolo 24” – sono infine riservati a candidati già in servizio nell’Ateneo che bandisce: ciò è prescritto dalla legge, la quale stabilisce che gli atenei possono utilizzare il suddetto articolo fino al massimo del 50% delle risorse disponibili destinandole agli avanzamenti locali. Dunque si applica una legge, anche quando vi è un solo candidato perché uno solo è il docente dell’ateneo abilitato in quel settore scientifico-disciplinare.

Che l’Università abbia bisogno di rinnovamento – a partire dal regime dei concorsi sancito dalla Legge Gelmini e che ha forti patologie di sistema in tutta Italia – è fuori di ogni dubbio, lo denunciamo da anni proponendo, insieme ai movimenti nazionali per la riforma universitaria, soluzioni concrete: come il ruolo unico della docenza per il ricambio generazionale – quella italiana è l’Università più vecchia e meno finanziata d’Europa a partire dal diritto allo studio – e la valutazione paritaria e permanente dei docenti, della didattica e della ricerca. Paradossalmente però, occorrerà vigilare affinché questa vicenda non riporti l’orologio indietro ma contribuisca al rinnovamento nel segno della trasparenza e del merito.
Al di là del tremendo danno di immagine, il pericolo che fronteggia oggi il nostro Ateneo – per l’ennesima volta decapitato nei suoi vertici politici – è che la sua attività venga rallentata, i concorsi bloccati, le discipline non erogate.
Le vittime prime e ultime di tutto questo non saranno solo le persone indagate, e tra loro anche colleghi della cui correttezza siamo convinti, che ci auguriamo e riteniamo verranno sollevati da accuse i cui contorni lasciano molto perplessi, annegate come sono nell’ipotesi dell’associazione criminale.
Le vittime prime e ultime non saranno i docenti già incardinati, che continueranno a fare il loro lavoro: bene chi già lo svolgeva bene e male chi già lo svolgeva male.
Le vittime di tutto questo non saranno i soggetti più discutibili e oscuri che da troppi anni condizionano l’Università di Catania.
Le vittime di tutto questo saranno gli studenti siciliani e catanesi, le loro lauree, i dottorati, la ricerca, le loro speranze di futuro e benessere.

Speriamo che nei prossimi giorni il quadro appaia più definito e concreto. E speriamo che la magistratura giudicante possa celermente accertare la validità o meno dell’intero impianto probatorio annunciato. In ogni caso, qualunque cosa accada, noi proseguiremo nel nostro lavoro con il rigore e la competenza di cui siamo capaci, ancor più motivati a bene operare e convinti delle moltissime professionalità di cui l’Ateneo è forte e da cui oggi deve ripartire. Ma anche con l’orgoglio di appartenere alla nostra Università. Un’Università che vanta eccellenze scientifiche, didattiche e culturali e che non elegge certamente i Rettori con i “pizzini”(come qualcuno, con sboccata analogia, afferma).
Una Università che è giusto criticare per ciò che non funziona (e noi lo facciamo, da anni, richiamando spesso inascoltati le esigenze di un’etica pubblica nuova e avanzata); ma anche difendere come istituzione da accuse generiche e generalizzate.
L’Università di Catania è un bene comune, un grande e insostituibile valore pubblico del nostro territorio. Invitiamo per questo la città e la sua opinione pubblica a vigilare affinché non si alzi un polverone in cui buoni e cattivi, vittime ed “eroi”, vengono tragicamente confusi. Non sarebbe la prima volta a Catania; e lo sappiamo tutti molto bene.

Proprio per questo auspichiamo che il Ministero dell’Università – che di certo dovrà intervenire – invii un’ispezione che possa fare piena luce sugli ultimi e travagliati dieci anni della vita dell’Ateneo di Catania e sugli attori che hanno realmente e drammaticamente condizionato il suo operato, tramando con i partiti – che abbiamo sempre detto dover rimanere esterni alle vicende universitarie – e sottraendosi così a precise responsabilità per colpire chi ne aveva evidenziato le trame.
Chi ha sinceramente a cuore l’esistenza e la funzione di questo Ateneo e l’opera che esso svolge nel suo territorio non può che chiedere con forza che emerga veramente tutto. Solo così l’Università di Catania potrà ripartire, svincolata dalle tare del passato e forte del suo patrimonio di comunità fatta di donne e uomini liberi.

Catania, 1 luglio 2019 

CUDA

(Coordinamento Unico dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera, aperta e democratica)

Unict, il pane

Pubblico un documento del CUDA che condivido per intero. Il mio auspicio di docente dell’Ateneo e di cittadino di Catania è che la sconfitta delle forze e degli interessi più oscuri che hanno agito contro l’Università costituisca una ragione in più per operare, con rinnovata energia, a favore del sapere e dei nostri studenti.

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Non siamo tornati indietro. Ora bisogna andare avanti…

L’elezione del professore Francesco Basile a Rettore di Unict rappresenta un momento di continuità e insieme di rottura nella vicenda dell’Ateneo e della città.

Si è affermata infatti la continuità con l’azione di Giacomo Pignataro, come è stato evidente sin dal programma e dalle intenzioni espresse in favore di legalità, trasparenza e autonomia dell’Ateneo da influenze indebite e malaffare (non sfugge a nessuno infatti che la serenità del presente si misura anche dalla chiarezza sul passato); una continuità che ieri sera è stata segnata dal lungo, sincero e caldo applauso che ha accolto Pignataro nell’Aula Magna del Rettorato, a dimostrazione che la sua azione a favore di una gestione trasparente e lineare del nostro Ateneo è stata compresa e apprezzata, e che non sarà certo dimenticata ma piuttosto valorizzata. Pare significativo inoltre che tale applauso si sia ripetuto al saluto e al ringraziamento che il nuovo Rettore ha voluto rivolgere al suo predecessore; e in questo quadro non si può che apprezzare la cortesia istituzionale e lo stile (mancati purtroppo nella precedente elezione) per i quali il Rettore uscente dà il suo benvenuto al collega che gli subentra…

L’elezione di Basile è invece un deciso momento di rottura rispetto al tentativo di restaurazione delle modalità e dello stile che hanno caratterizzato l’amministrazione di Antonino Recca. 1022 voti a favore di Basile e 374 a favore di Enrico Foti (che non ha davvero raccolto, spiace dirlo, né il voto di opinione né molto voto di protesta) rappresentano con la forza dei numeri un chiaro segnale di rifiuto di ogni tentativo di far tornare indietro l’Ateneo rispetto ai risultati conseguiti negli ultimi quattro anni, pur in presenza di una situazione ambientale non certo favorevole e di attacchi debiti e indebiti. Un voto chiaro che respinge tra l’altro, in modo che speriamo definitivo, i soliti claudicanti (e ormai scontati) giochetti di endorsement e disendorsement, e il consueto balletto di segnali obliqui e inquinamenti del clima di vita e lavoro dell’Ateneo.

Quanto accaduto ieri è quindi un punto di arrivo ma soprattutto un punto di partenza, come Pignataro e Basile hanno subito affermato. I docenti, il personale tecnico-amministrativo, gli studenti che si sono espressi con tale chiarezza non hanno però rilasciato deleghe in bianco a nessuno. Sia le grandi scelte che attendono l’Ateneo sia l’azione quotidiana di governo dovranno essere fattivamente improntate:
– al rispetto per le persone, condizione prima e diremmo naturale di ogni comunità scientifica rivolta all’insegnamento;
– alla scelta dei collaboratori e delle cariche in base a delle qualità non generiche ma specifiche rispetto agli scopi e soprattutto alla volontà dei soggetti incaricati di lavorare duramente e quotidianamente al raggiungimento degli obiettivi;
– alla consapevolezza che un Ateneo come quello di Catania è una struttura stratificata e complessa che può essere gestita positivamente soltanto anteponendo gli interessi collettivi a quelli individuali;
– al ribadire che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento», anche rispetto a ogni tentativo burocratico di svuotare questo principio costituzionale;
– al coinvolgimento dell’intera comunità accademica, che coinvolta vuole essere, come è risultato chiaro anche dalla partecipazione massiccia, democratica e consapevole che ha caratterizzato l’elezione del nuovo Rettore.

Come docenti e membri di questo Ateneo, augurando buon lavoro al nuovo Rettore, vigileremo propositivamente e daremo il nostro contributo dialettico al raggiungimento di tali scopi, affinché le parole si trasformino in atti e le intenzioni espresse in queste settimane diventino il tessuto quotidiano della nostra comunità. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri studenti, a una città che di ricerca e di pensiero ha bisogno come il pane.

2 febbraio 2017

Il CUDA (Coordinamento Unico di ricercatori, docenti, Pta e studenti di UNICT)

«Tutto quello che non uccide…»

Il CUDA (Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica) ha diffuso un documento che fa il punto sulla situazione dell’Università di Catania, anche alla luce delle sentenze dei tribunali amministrativi e delle recenti elezioni (5 ottobre) per il rinnovo del Senato Accademico.

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Non è vero che il carro segua i buoi, come logica e buon senso vorrebbero. O meglio, è vero dovunque, ma non in questa splendida e “autonoma” terra siciliana, bagnata da una Giustizia Amministrativa orgogliosa della sua differenza e della sua alterità.

Veniamo ai fatti. Il TAR di Catania, con la sentenza n. 2441 del 6 ottobre c.a., ha sancito che vadano avviate le procedure per la ricostituzione degli organi statutari di UNICT, nei termini e con le modalità già fissate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa nella decisione n. 243/2016. Nel contempo, essendo proprio tale sentenza del CGA a dir poco ambigua se non pilatesca sul punto in oggetto (elezioni o meno del Rettore, tenuto conto che a tale carica si applicherebbe, a detta del Ministero, la norma che fa salvo il mandato in corso di svolgimento, ai sensi dell’art. 2, commi 8 e 9 della legge n. 240/2010), lo stesso CGA ha fissato e più volte rimandato (prima a settembre, poi a ottobre, adesso addirittura al 16 novembre!) un’udienza di interpretazione ottemperativa, tempestivamente chiesta dall’Ateneo già ai primi dell’agosto scorso. Situazione paradossale (se non vergognosa) e tutta “siciliana”, dunque, quella di un tribunale di primo grado che invoca l’applicazione di una sentenza definitiva, la quale però, ancora, non ha per niente raggiunto la sua stabilità e definitività. A voler essere maliziosi (e noi non lo siamo) si potrebbe pensare ad una sorta di “strategia del sandwich”; blocco la decisione a valle, e poi colpisco a monte con un’ulteriore sanzione. Ovvero indebolisco l’istituzione e cerco di porla, de facto, in condizione di stallo ed emergenza. E a continuare a voler essere maliziosi (e noi continuiamo a non esserlo) si potrebbe pensare che questa strategia abbia il fine di temporeggiare, di prendere tempo, logorare e lavorare sull’usura dell’avversario.

Nel contempo infatti, di certo in modo anch’esso “autonomo”, mentre la Giustizia Amministrativa siciliana litiga all’arma bianca con il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica (perché è con questo che sta litigando, come abbiamo più volte e chiaramente illustrato), all’Università di Catania i soliti noti manovrano per fare cadere l’attuale Amministrazione, rea di essere impegnata a ripristinare trasparenza e legalità a fronte di amicizia e clientela (anch’esse ben più “autonome” e siciliane, oltre che redditizie). E i soliti noti – gli stessi che prima avevano fretta fretta fretta di fare cadere il Rettore Pignataro – adesso hanno bisogno di tempo, tempo, tempo. Perché il loro candidato, aldilà di ipotesi-civetta e poco credibili, è come la pentola Lagostina: si cerca e cerca e cerca: ma proprio non si trova!

Facciamola breve e azzardiamo una previsione finale. Il 16 novembre il CGA (nel quale siedono esimi ex docenti dell’Ateneo di Catania) scioglierà la sua riserva e chiarirà quello che ha scritto (o meglio che non ha voluto scrivere da subito e davvero) chiedendo anch’esso le elezioni del Rettore, in barba all’interpretazione del Ministero e alla ratio di legge. A quel punto si dovranno indire elezioni, ma non si potranno tenere prima di gennaio. I soliti noti cercheranno allora (estrema e disperata chance) di non fare presentare l’attuale Rettore, il quale però ha pieno diritto legale (oltre che esplicito dovere morale) a concorrere a una nuova elezione fino ai sei anni di mandato prescritti dalla Legge. Seguiranno, à la carte, polemiche, denunce, falsi scoop di organi di millantata “inchiesta”, personalizzazioni parossistiche, minacce a mezzo di atti giudiziari; la solita routine, insomma, che ormai fa anche ridere se non fosse frutto della peggiore subcultura…

Fino al voto, in gennaio. Voto che confermerà (si vedano le recenti elezioni al Senato Accademico) un concetto semplice, anche se a taluni indigesto: a UNICT indietro non si torna. E se qualcuno vuole guidare questa Università, si prepari a farlo, dal 2019; ma con argomenti nuovi, proposte per un nuovo decennio e una cultura della legalità e della trasparenza chiare e non equivocabili.

Ai colleghi e alle colleghe che stanno producendo questo parapiglia di fine anno, dopo tre anni di “strategia della tensione”, ricordiamo il detto di un filosofo, che chi conosce un po’ la vita (ma non chi vive solo di potere e denaro) può comprendere .

“Tutto quello che non uccide, fortifica.”

Qui siamo tutte e tutti in buona salute…

Abbracci e serenità

Il CUDA
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Paranoie

Dopo Il gioco al massacro riporto qui un nuovo documento del Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica.
Spero che questa accurata ricostruzione degli eventi serva a comprendere meglio che cosa sta accadendo a Catania.

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Il caos della paura e la forza del buon senso

L’Ateneo di Catania è nuovamente sotto i riflettori.
Qualcuno sembra terrorizzato dal fatto che l’attuale Rettore giunga all’esito naturale del suo mandato, ovvero il 2019. Per questo qualcuno il 2019 è troppo lontano, soprattutto troppo pericoloso, troppo fuori controllo.
Per comprendere che cosa stia accadendo sarà necessario vedere con pazienza – e per un attimo “da fuori” – dentro quale narrazione ci troviamo catapultati; e come questa narrazione, passo dopo passo, sia stata volutamente costruita nel corso degli ultimi due anni.

L’invenzione del caos

Alcuni “Organi di stampa” – in particolare uno, la testata online SUDPRESS – portano avanti da tempo e in modo martellante e ossessivo una tesi, di continuo gridata e urlata (spesso si urla e grida se si ha paura di ciò che le urla e le grida nascondono); e questa tesi – elemento importante se non fondamentale – ha una esatta data d’inizio, che corrisponde al manifestarsi del contrasto tra il dr. Lucio Maggio, allora Direttore Generale nominato dalla precedente gestione, e l’Amministrazione attuale.
In realtà, il conflitto non è né è mai stato tra il  Rettore Pignataro e il Direttore generale dott. Maggio; il contrasto è sorto invece e in modo chiaro tra l’Amministrazione con i suoi Organi rappresentativi da un lato (in primis il Consiglio di Amministrazione, salvo alcuni dei consiglieri nominati dal precedente rettore, e poi il Senato Accademico), e l’ex Direttore Generale dall’altro. L’Amministrazione, sostenuta dalla quasi totalità dei direttori di dipartimento, dei docenti, del personale tecnico-amministrativo e delle associazioni sindacali, ha ritenuto che la gestione del Maggio sia stata illegittima su alcuni specifici e significativi passaggi amministrativi (la proroga autonoma e non concordata di alcune figure dirigenziali a tempo determinato e la decisione non rispettosa del regolamento su alcuni appalti di consistente importo, tra tutte); e soprattutto la comunità universitaria ha ritenuto che tale gestione sia stata radicalmente improntata a  una concezione e una pratica autocratiche, come tale inidonee a una conduzione equilibrata del ruolo che la legge assegna al DG. Questa tesi è una persecuzione ad hominem, o è piuttosto corroborata da elementi fondati e che i lavoratori e le lavoratrici dell’Ateneo hanno sperimentato quotidianamente? Questa seconda ipotesi è facilmente dimostrabile. Nel periodo della sua gestione, infatti, il dr. Maggio compie un processo di accentramento amministrativo che rende ardua se non impossibile la fisiologica dinamica tra dipartimenti e uffici centrali, per missioni non marginali ma fondamentali come il coordinamento di didattica e ricerca (l’ateneo in quegli anni scivola, tra l’altro, agli ultimi posti nelle performance della didattica a livello nazionale); si spinge addirittura (durante la breve fase del suo reintegro, dal 1/12/2014 al 22/1/2015) a emanare direttive che inibiscono i dirigenti e i funzionari dal parlare con gli organi di governo e i direttori di dipartimento senza una previa “autorizzazione” del DG stesso. Il DG teorizza la superiorità della funzione, certo importante ma amministrativa ed esecutiva, che la legge gli assegna, rispetto al ruolo degli organi d’indirizzo democraticamente eletti  o nominati; sostanziali effetti di paralisi della gestione amministrativa stessa);  ed è curioso, a dir poco, che egli non “scopra” tale sua centralità gestionale-politica, questa sua missione di centro focale dell’universo accademico, all’inizio della sua funzione (prima di Direttore Amministrativo e poi di Direttore Generale sotto l’amministrazione Recca): ma che tale illuminazione lo colga solo all’indomani dell’elezione del candidato che Recca stesso aveva combattuto fino all’ultimo, pur non potendone impedire l’elezione quasi plebiscitaria, ovvero Pignataro… Strano, vero?
Questo quadro, certo conflittuale ma anche “fisiologico” nella vita della Pubblica Amministrazione, viene sistematicamente deformato dal suddetto “organo di stampa”.
Il mandato è: drammatizzare e personalizzare. E soprattutto dipingere la vita dell’Ateneo – complessa e difficile, come quella di tutti gli atenei italiani in età di crisi e tagli strutturali – come un girone infernale di interessi e clientele. Il che forse è stato vero un tempo (a volte si proietta il passato sul presente), ma oggi di certo non è più.
Chi può accusare di irregolarità penalmente rilevanti chicchessia senza prove inoppugnabili? Nessuno che sia corretto con se stesso e con gli altri. Se il dr. Maggio lo fa, noi non lo seguiremo. Gli ricordiamo però un unico passaggio della sua vita professionale di dirigente, semplicemente, tra i moltissimi possibili, che dovrebbe spingerlo a maggior cautela e più serena capacità di contenimento: infatti, in occasione del tristissimo scandalo del Mailgate per il quale il prof. Recca è inquisito e per il quale l’Ateneo si è costituito parte civile, almeno un’intercettazione ambientale lo vede al tavolo col past rettore e un funzionario, mentre il primo indica le azioni necessarie e utili ad addossare a taluni le responsabilità, condivise, di quell’evento nefasto. Questo è del tutto inoppugnabile, ahinoi. Non sappiamo se qualche magistrato chiederà mai al dr. Maggio di rispondere di tale evidenza; ma l’evidenza resta. Sorvoliamo su altri passaggi, dunque, e continuiamo la nostra narrazione.
Non prima però di esserci posti una domanda, che sorge spontanea: perché mai un organo di stampa, che si definisce di giornalismo d’inchiesta,  dovrebbe sposare con tale perseveranza e violenza la tesi di una parte in un conflitto tutto sommato marginale? Perché SUDPRESS diventa il megafono della difesa del dr. Maggio? A questa domanda non troviamo risposta. Ma il dato è anch’esso difficilmente oppugnabile.

La paranoia penale 

La “strategia di pressione” del dr. Maggio – di cui ci sfugge la logica etica e istituzionale – non è tanto, francamente, importante in sé. Essa diviene piuttosto importante in quanto parte di una strategia ancor più complessiva di pressione sull’ateneo e  sul Rettore, attraverso una vera e propria forma di bombardamento mediatico. Questa strategia è viziata da una nemmeno tanto sotterranea paranoia penale e inquisitoriale. Chi vive una tale paranoia, chi concepisce un tale rapporto con il suo luogo di lavoro e i suoi colleghi, tradisce una realtà nemmeno troppo difficile da capire: egli nutre tremendi dubbi non sull’incolumità degli altri (su cui vorrebbe scatenare folgori e pestilenze e  distruzioni), ma su di sé, sulla sua sicurezza, sulla sua stessa incolumità. Ognuno ha i suoi fantasmi, ha anche diritto di averli e coltivarli; ma nessuno è titolato a trasferirli sugli altri né, soprattutto, sulle istituzioni che operano per il bene comune.
Questa “strategia” è dunque dettata dalla paura patologica di chi la ordisce e persegue. E ciò è psicologicamente semplice da capire quanto eticamente triste e difficile da accettare.
Il medesimo schema narrativo viene oggi utilizzato per la vicenda dello Statuto. Lo stesso Rettore che ha creato il vulnus istituzionale dello Statuto illegittimo per il MIUR (nel 2011) usa la vicenda per tentare la vendetta giudiziaria nei confronti del suo avversario.
Il copione è il medesimo. Recca si fa passare quale paladino della legalità, esempio positivo e difensore della legittimità costituzionale (dopo aver fatto quello che ha fatto).
Il Rettore Pignataro viene additato come già decaduto (con grave ma consueta confusione tra desideri e realtà) e come esempio negativo di renitenza all’applicazione di sentenze esecutive e inoppugnabili (anche quando non lo sono).
Infine, la natura del conflitto giudiziario viene drammatizzata e personalizzata in modo infantile. Infatti, la vicenda del contenzioso sullo Statuto non è un conflitto, come caricaturalmente rappresentato, tra un singolo rettore e il Consiglio di Giustizia Amministrativa; la natura vera di quel conflitto è altra, del tutto, ed è quella di un conflitto tra MIUR e CGA sull’applicazione e sugli esiti della Legge 240, generato come polpetta avvelenata dalla passata gestione di Recca, e utilizzato dall’entourage recchiano per ottenere un capovolgimento giudiziario dell’elzione democratica di questa amministrazione (torneremo su questo punto).
C’è un ultimo aspetto. Il dr. Maggio, con grande tempismo, fa sfornare al suo esercito di avvocati (si vede che ha i mezzi per sostenerne le spese), quasi ogni settimana ormai, minacce di denunce o denunce penali vere e proprie contro il Rettore Pignataro. E – fatto davvero inconsueto! – sono gli stessi avvocati a produrre e divulgare dei comunicati stampa. La prima di queste, con una memoria di 1200 pagine (!!!), invero archiviata – supponiamo nel ludibrio degli organi inquirenti – accusa il Pignataro addirittura di “maltrattamenti familiari”; e ancora querele per diffamazione, denunce per danno psicologico, mobbing, inadempienza alle sentenze… manca solo una denuncia per terrorismo internazionale (ma confidiamo che sia in preparazione).
Perché tutta questa enfasi sulle denunce penali?
Vediamo due obiettivi, oggettivamente comprensibili (da un certo punto di vista): il primo è  tenere alta la pressione mediatica tentando di convincere l’opinione pubblica locale (molto distratta, ahinoi, anche nelle sue testate giornalistiche più “titolate”) che la quantità sia qualità. Convincere anzi della qualità attraverso la quantità. Ma avere il bancone pieno di merce è inutile, se la merce è falsa. Siamo ormai consumatori accaniti e smagati, un po’ tutti…
Un secondo obiettivo è però più sottile: ovvero quello di ottenere una qualche forma di inibizione penale in caso di nuove elezioni del rettore (auspicate da qualcuno che fa male i conti, ma di molto). Questo secondo obiettivo ci pare ben lontano dal raggiungersi, ma, se questa seconda ipotesi fosse vera, sarebbe una semplice mascalzonata, che nessun docente dell’ateneo è disposto a sopportare e di cui ogni cittadino avvertito del nostro territorio dovrebbe essere cosciente.

 Ognuno risponde delle sue azioni

Immaginate di essere un genitore la cui figlia o il cui figlio sta per compiere la scelta della vita: l’iscrizione ad un corso universitario, il bivio del proprio futuro lavorativo ed esistenziale. Immaginate che la giovane o il giovane si vogliano iscrivere all’Università di Catania. Come potrà farlo, con serenità, dinanzi ad una rappresentazione mediatica che espone l’Ateneo alla gogna quotidiana? “Tutti contro tutti”, “Muro contro muro”, “Organi azzerati”, “Caos all’Università di Catania”…
Chi guadagna (pochissimi) e chi perde (tutti noi) da questa rappresentazione apocalittica del caos viziata da una paranoia e da una paura “penali” profonde?
Il danno è oggettivo. Crediamo sia venuto il momento di chiedere conto di questo danno, come degli altri che si sono verificati in passato. Il tempo del silenzio è finito. Per questo riteniamo si tratti di valutare l’opportunità di controdenunce e di azioni penali collettive volte a tutelare la vita e l’immagine del nostro Ateneo; che è il nostro luogo di lavoro e la nostra missione sociale.
Quando il prof. Recca era Rettore, noi del CUDA lo abbiamo contrastato apertamente. Abbiamo denunciato le sue scelte e criticato gli atti della sua amministrazione: le linee guida per i provvedimenti disciplinari; i provvedimenti disciplinari stessi; la politica delle lauree honoris causa; la scelta di fare il rettore e insieme il presidente regionale del partito di Cuffaro, con un conflitto di interessi inopportuno  ed essendo dunque politicamente vicino all’allora Presidente della Regione Sicilia nel periodo in cui maturavano gli esiti che avrebbero condotto alla condanna di questi per concorso esterno in associazione mafiosa; lo scandalo Mailgate, gravissimo; le scelte sul mancato pagamento dei ricercatori per la didattica frontale; e potremmo continuare…
Abbiamo criticato e contrastato Recca. Ma l’abbiamo contrastato A VISO APERTO; candidandoci nelle elezioni degli organi, venendo isolati e additati, fregandocene dei servi , dei pavidi e degli opportunisti (che allora fiorivano) della prima e della seconda ora, ma continuando a metterci la faccia, senza spostare mai la contesa dal piano politico a quello giudiziario, salvo denunciare e motivare pubblicamente quello che non ci convinceva se non ci convinceva.
Abbiamo condotto una battaglia politica.
Chi sposta immotivatamente e sistematicamente il confronto sulle scelte amministrative sul piano del complotto o della vendetta giudiziaria si pone di fatto fuori dal sistema fisiologico di funzionamento di una comunità. E, soprattutto, mostra debolezza e paura.
Ci chiediamo allora: paura di cosa? Cosa si teme?
Che qualcosa del passato venga alla luce? Che scelte, procedure di appalto, sistemi di controllo magari pressati da interessi privati passino al vaglio degli organi competenti? Accadrà, quando accadrà, inevitabilmente. Se ne faccia ciascuno una ragione. Noi continuiamo a pensare alla vita dell’università; la magistratura penserà al resto, vogliamo credere e confidiamo, con imparzialità e rigore.
La risposta della comunità universitaria catanese di fronte alla “crisi” di questi giorni è stata ed è compatta: si vedano i documenti, le prese di posizione di tutti i direttori (meno uno…), di varie sigle sindacali.
Crediamo però che – per il futuro del nostro ateneo – si debba ragionare ancor più a fondo di come si è fatto finora sugli effetti della passata gestione, su ciò che è accaduto e su come è accaduto, senza mettere la testa sotto la sabbia, senza tacere la realtà delle paure e delle pavidità colpevoli, perché il presente è figlio del passato; e riteniamo che si debbano ampliare gli spazi di riflessione, dibattito e dialogo aperto e franco sull’università e sui suoi problemi, locali e nazionali. Solo così si potrà con ancora più forza non solo difendere un presente, ma rilanciare la nostra università e costruire un futuro di fisiologico confronto e di reciproco rispetto, senza padrini né padroni, in una comunità di ricercatori liberi, responsabili della loro funzione in questo contesto che di libertà e cultura ha bisogno vitale; e consapevoli della possibilità unica, loro offerta, di promuovere benessere morale e materiale delle nuove generazioni.
Dire tutto questo, oggi, senza paura, senza ipocrisia, è già investire su un futuro migliore. Ne abbiamo bisogno, anzi dobbiamo farlo.

IL CUDA

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