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Corpo

Il 26 gennaio 2018 parteciperò a un Convegno dal titolo Pensiero simbolico e disturbi della simbolizzazione: evoluzione e cura tra filosofia e psichiatria. L’evento si svolgerà a partire dalle 9,00 nell’Aula A1 del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania.
Il mio intervento è previsto alle 15,00 e ha per titolo Il corpo come materia e come simbolo.

Abstract della relazione
La corporeità umana è insieme Leib e Körper. È organismo complesso, fragile e tenace. È materia sottoposta alle leggi fisiche che intridono il tempo e lo spazio ed è la struttura dalla quale si generano tutti gli altri emblemi, concetti, forme che definiamo cultura.
Il corpo è quindi un dispositivo materico e simbolico, è la densità organica nella quale la materia del mondo si specchia, si conosce, incessantemente si trasforma. È anche per questo che vanno lasciate alla loro insufficienza sia le prospettive dualistiche che separano ciò che è costitutivamente uno sia le prospettive riduzionistiche che limitano la potenza della natura all’aspetto soltanto empirico.
La corporeità è invece corpomente unitario e plurale ed è corpotempo dispiegato nella storia filogenetica e ontogenetica, nel divenire collettivo della nostra specie e negli eventi e passioni individuali.
Il corpo è un plesso inseparabile di natura, cultura e tecnica, la cui indagine e comprensione corrisponde pienamente all’invito delfico a conoscere se stessi. Praticare la filosofia della mente significa e implica esercitare una filosofia del corpomente che non ci limitiamo ad avere ma che siamo.

Il Sole, i millenni

Egitto. La straordinaria scoperta del Faraone Amenofi II
Milano – Museo delle Culture
Sino al 7 gennaio 2018

Negli ultimi anni del XIX secolo l’egittologo francese Victor Loret scoprì nella Valle dei Re le tombe di alcuni faraoni, tra le quali quella -splendida- di Amenofi II (o Amenhotep II), morto intorno al 1400 a.e.v. Splendente perché ampia, sostenuta da colonne e fatta di pareti interamente decorate con le storie del mito, degli dèi, del Sole. La XVIII dinastia (1550-1295) rappresenta un ἀκμή della millenaria storia vissuta intorno al Nilo. Uno sfolgorìo che si esprime nel sorriso, nella serenità, nella distanza di statue che sembrano quelle di κοῦροι diventati adulti e sovrani.
Il re Amenofi e il dio Thot in forma di babbuino alzano insieme le braccia e adorano il Sole. È profonda in Egitto la continuità tra l’umano e l’animale. Insieme a quelle della nostra specie vi si trovano le mummie di altri animali, in particolare di coccodrilli, cani, scimmie, gatti. Gli dèi -che sono centinaia- vengono rappresentati con teste di uccelli, sciacalli, coccodrilli. L’animale è raffigurato nei magnifici gioielli -collane, bracciali, anelli- che adornano i corpi dei vivi e dei morti, che cantano nello spazio, che splendono il tempo. I corpi sono sacri, la loro cura è attenta e quotidiana -cosmetici, dentifrici, trucco- poiché la corporeità è simbolo e parte della luce, della sabbia, del fiume.
Porte di granito segnano il limes tra il vivere e il morire, il passaggio incerto e fondamentale del Dasein nel tempo, accompagnato e testimoniato da scarabei, divinità concubine, papiri. In mezzo a loro gli strumenti per scrivere, numerare, benedire.
La vicenda fondamentale è quella di Osiride smembrato, che viene ricomposto dalla sorella Iside e rinasce. Così come ogni giorno muore e ogni giorno rinasce Ra, la potenza del Sole. Mummie, sarcofagi, amuleti celebrano questo ritorno, raccontano la morte e la vita.
La sensazione che questa magnifica mostra trasmette è che l’Egitto stia al fondo della Grecità e quindi dell’Europa, di tutti noi. Se un vecchio sacerdote egizio potè rivolgersi a Solone dicendogli «ὦ Σόλων, Σόλων, Ἕλληνες ἀεὶ παῖδές ἐστε, γέρων δὲ Ἕλλην οὐκ ἔστιν» (Timeo, 22b), ‘Solone, Solone, voi Greci sempre giovani siete, un greco vecchio non c’è!’, è anche perché un egizio che sia giovane non c’è. La loro storia affonda nei millenni e non è ancora finita. A Tebe sono oggi in corso gli scavi dei templi che Amenofi eresse in quella città. Il loro nome in egizio è Tempio di milioni di anni.

«Un bambino ci è nato»

Blade Runner 2049
di Denis Villeneuve
USA, 2017
Con: Ryan Gosling (Agente K), Ana de Armas (Jol), Sylvia Hoeks (Luv), Harrison Ford (Rick Deckard), Robin Wright (Madame), Mackenzie Davis (la donna della memoria), Dave Bautista (Sapper), Edward James Olmos (Gaff)
Trailer del film

Si apre con la pupilla. Quella attraverso la quale in Blade Runner si scopriva se un’entità fosse umana oppure replicante. Si entra dentro l’occhio di un mondo tornato alle sue origini magmatiche, al suo caos. Stabilire l’ordine in questo mondo vuol dire erigere muri. Muri alti e spessi tra la specie generata dallo sperma e la specie prodotta dai circuiti elettrici. Ma nel tempo ogni muro è destinato a sbriciolarsi, a trasformarsi in mattoni posati nello spazio, silenziosi e antichi sino a che qualcosa di vivo non impianti quei mattoni dentro i ricordi sia dei corpi biologici sia dei corpi macchinici, tutti viventi dentro landscapes di rottami che si stendono per chilometri, che diventano città del male, del bisogno, della fine. Perché chi produce la memoria dei corpi è padrone del tempo ed è quindi signore delle menti, è un dio, anche se sembra una creatura come le altre, forse più sensibile, più pacata, più chiusa dentro la sfera della propria essenza.
Il software e le ferraglie, la lieve inconsistenza dei bit e il pesante rumore dell’acciaio, hanno entrambi bisogno di un βίος pulsante del limite e fatto di tempo -di date incise dentro gli alberi- per rivelare la propria natura profonda, per unirsi nell’amore, per sorridere, per piangere.
Dalle lacrime nella pioggia del replicante Roy al distendersi del suo successore nella neve, la purezza dell’acqua e degli elementi riscatta le macchine dal loro anonimato -‘K’ è un nome dagli echi kafkiani- e le consegna all’enigma più inquietante, fondativo e profondo, l’enigma della nascita. Esso sta al centro e al cuore di Blade Runner 2049, la cui densità filosofica mantiene il film su un livello splendente e rarefatto, che ha un solo momento di caduta -nel patetico e banale presentarsi di una sorta di Movimento di liberazione dei replicanti- e che conferma il talento di Villeneuve nel dare figura ai pensieri, alle inquietudini, al futuro e ai sogni.
Il vecchio Deckard ricompare sempre contrariato, frenetico e calmo. Alle domande di K ricorda ciò che fu, guarda lo spazio vuoto abitato da un cane, da rovine e dalle api, e dice «a volte se ami qualcuno gli devi diventare estraneo». Una piccola verità, un piccolo dolore, dentro la grande verità, dentro il grande dolore d’esser venuti al mondo. «Un bambino ci è nato, ci è stato dato un figlio» (Isaia, 9,5).

πολιτικον ζωον

Siamo individui soli eppure sociali, «abitati» da trame di relazioni
il manifesto
2 agosto 2017
pag. 11
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I comportamenti sono sempre sociali, anche quando stiamo da soli con noi stessi e con il corpo che siamo, il quale è tanto nostro quanto delle relazioni che lo intessono. Siamo con-essere sin nei gangli più fondi e profondi della vita e del tempo; siamo persona comunitaria in quel «testo e non solo contesto» che è la natura di cui siamo fatti, siamo intrisi, siamo dall’inizio alla fine attraversati.

Il coraggio teoretico

Recensione a:
L’uomo che deve rimanere
La
 smoralizzazione  del mondo

di Eugenio Mazzarella
(Quodlibet, 2017; pp. 214)
in Discipline Filosofiche (26 luglio 2017)

La filosofia ha sempre il suo coraggio. Sempre. Anche nei momenti -e sono numerosi- nei quali altre potenze, altre pratiche e altre interpretazioni sembrano volerla sostituire, irridere, ignorare. L’uomo che deve rimanere esprime il coraggio teoretico e la pietas etica che, convergendo, dicono del mondo quel che accade, ne sondano a fondo le radici, ne prefigurano sviluppi e vie d’uscita.

Etologia filosofica

Recensione a: Etologia filosofica. Alla ricerca della soggettività animale
di Roberto Marchesini
(Mimesis, 2016; pp. 121)
in Diorama Letterario – numero 336 – marzo/aprile 2017
pagine 38-39

È necessario cogliere l’evidenza di una comune matrice ontologica e fisiologica, che rende tutte le specie quello che sono. L’essere animale è l’insieme del quale ogni singola specie è una parte, una declinazione, una variante.

 

Kapitalism

Santiago Sierra
Mea Culpa
Milano – Padiglione d’Arte Contemporanea
A cura di Diego Sileo e Lutz Henke
Sino  al 4 giugno 2017

Il gesto semplice e ironico di Duchamp ha liberato l’arte dalla collocazione museale e l’ha trasformata in un fare artistico che travalica i luoghi, la stasi, il semplice guardare. Da allora l’arte opera ovunque e sempre nel tempo e nello spazio, diventando azione, documento, immersione. Santiago Sierra è uno dei più significativi testimoni di questo situazionismo inseparabilmente estetico e politico. La mostra al PAC di Milano -uno degli spazi più creativi d’Europa- ne documenta la fecondità in modo intelligente e profondo.
Entriamo dunque nella materia sonora degli spari in città messicane controllate dai narcos; nella materia liquida di 200 litri d’acqua del Mar Morto (che sta scomparendo); nella materia solida di un metro cubo di pietre provenienti da Gerusalemme.
Entriamo nei segni di enormi graffiti incisi nel deserto marocchino sottratto dal governo al popolo Sahrawi; nei segni della parola Sumision (sottomissione) scavata al confine tra Messico e Stati Uniti; nei segni di 3000 buchi tutti uguali creati a Cadice; nei segni di enormi No che viaggiano per l’Europa, uno dei quali venne proiettato dietro la persona di Benedetto XVI tramite un sistema tecnico con il quale è impedito agli umani di vedere il segno, che rimane invece ben impresso nelle foto.
Entriamo negli spazi immensi del Polo Nord e del Polo Sud dove Sierra pianta la bandiera nera dell’anarchia.
Entriamo nei corpi umani che si fanno tatuare una riga sulla schiena, che mostrano i denti degli ultimi gitani di Ponticelli, che scavano fosse sulla spiaggia di Livorno e vi spariscono, che reduci dalle guerre statunitensi stanno ritti in un angolo a guardare il niente, che sostengono parallelepipedi alle pareti, che si accoppiano (veramente) e si masturbano.
E tutto questo le persone lo accettano e lo fanno in cambio di denaro, anche di poco denaro. «L’acqua di un mare destinato alla scomparsa», le pietre sacre di Gerusalemme, i corpi feriti dai tatuaggi o posseduti senza intimità, sono prodotti comprati in alcuni casi «dall’artista con una telefonata da Zurigo, modalità che sottolinea il potere d’acquisto senza limiti del denaro» (le citazioni sono tratte dal testo di presentazione della mostra). L’opera più emblematica di Sierra è il video che documenta da luoghi diversi del pianeta la distruzione della nove lettere che compongono la parola KAPITALISM. Lettere che cancellano in modo plurale la pluralità delle forme nelle quali il Capitale si manifesta, vive, uccide. Si ha la netta sensazione di una vittoria politica ottenuta con mezzi estetici ma non per questo meno significativi. Il pane dell’economia si mescola con le rose dell’arte, nichilismo e situazionismo si fondono e trasmettono una sensazione di potenza politica, di prosecuzione della resistenza con i mezzi libertari della critica.
La foto che vedete qui sopra l’ho scattata nello spazio più ampio del PAC. Quelli che sembrano degli strani parallelepipedi di colore nero sono in realtà 21 moduli antropometrici di materia fecale umana -raccolta dai manual scavengers che in India puliscono le latrine- lasciata essiccare per tre anni. Escrementi umani, alla lettera. Ché questo siamo, tutti. Ed è per tale ragione che intoniamo -ogni giorno- il mea culpa dell’esserci.

Ἄναξίμανδρος….ἀρχήν….εἴρηκε τῶν ὄντων τὸ πειρον….ἐξ ὧν δὲ γένεσίς ἐστι τοῖς οὖσι, καὶ τὴν φθορὰν εἰς ταῦτα γίνεσθαι κατὰ τὸ χρεὼν διδόναι γὰρ αὐτὰ δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν.

Principio degli esseri è l’apeiron, la polvere della terra e del tempo, il suo flusso infinito…Da dove gli enti hanno origine, là hanno anche la distruzione in modo necessario: le cose che sono tutte transeunti, infatti, subiscono l’una dall’altra punizione e vendetta per la loro ingiustizia secondo il decreto del Tempo.

(Anassimandro, in Simplicio: Commentario alla Fisica di Aristotele, 24, 13 [DK, B 1])

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